THOMAS HILL GREEN
Allievo di
Coleridge, Thomas Hill Green (1836-1882) è una delle massime espressioni dell’
idealismo inglese. Se in Francia la reazione al dilagante
positivismo si attua con lo spiritualismo, in Inghilterra (dove la corrente dominante
era da sempre l’empirismo stesso, stante alla base tanto dell’Illuminismo
quanto del positivismo) la reazione si compie volgendo lo sguardo alla
Germania. Come Coleridge e Carlyle avevano reagito all’Illuminismo e
all’utilitarismo guardando al Romanticismo tedesco, così ora la cultura inglese
si oppone al positivismo recuperando l’idealismo di Hegel, in particolare
restaurando quei valori dello spirito azzerati dalla cultura positivistica. In
particolare, questo «ritorno a Hegel» si configura come un ritorno allo
spiritualismo e alla dialettica hegeliani. In questa prospettiva si muove
Green. Attento studioso di David Hume, Green fu – insieme a Thomas Grose – il
curatore dell’edizione delle opere del filosofo scozzese (oltreché autore delle
Introduzioni alle due sezioni dello humeano Trattato della natura
umana). Ciò non di meno, egli riscontra un’irrisolvibile contraddizione
nella teoria empiristica della conoscenza. Tale teoria, infatti, risolve la
coscienza nella molteplicità delle impressioni che via via si susseguono, le
quali sono considerate come atti percettivi isolati e intrinsecamente privi di
connessione (l’io humeanamente inteso come fascio di percezioni). Ma la stessa
specificità di ciascuna impressione non sarebbe possibile – rileva Green – se
non esistesse una coscienza indipendente dalla percezione stessa e, per ciò stesso, in grado di distinguerla da tutte le
altre. Tanto più necessario appare il riferimento alla coscienza quando si
voglia spiegare – cosa che nell’empirismo risulta assai ardua – la connessione
tra una percezione (o un’idea) e l’altra: quest’operazione appare possibile
solo quando, ancora una volta, esiste una coscienza che, essendo indipendente
dalle percezioni stesse, può operare dall’esterno la loro unificazione. Di coscienza
esistono però due diversi livelli, nota Green: al grado più basso, v’è la coscienza individuale, la quale apprende i propri contenuti in maniera progressiva,
giacché è condizionata dai processi biologici che scandiscono la conoscenza
dell’organismo animale. Al grado più alto sta invece una coscienza assoluta
e infinita, la quale già
contine in se stessa il sapere come una totalità perfetta e immota, ancorché
concettualmente articolata al suo interno. Al di là della sua base naturale, la
quale è stata descritta dalla filosofia empiristica e positivistica, la
conoscenza appare dunque come un processo di graduale partecipazione della
coscienza individuale a quella assoluta. L’Assoluto, del resto, non soltanto
una determinazione gnoseologica, ma anche assiologia e morale: esso non è
soltanto laVerità, ma anche il Bene. La progressiva partecipazione della
coscienza assoluta si configura pertanto come un progressivo innalzamento
morale del soggetto: ciò implica un riflesso politico nella creazione di una società
nella quale tutti gli individui collaborano spontaneamente e armonicamente.
L’idealismo gnoseologico funge così da base per la difesa di una concezione
organicistica e spiritualistica della morale e della politica: ciò spiega la
ragione per la quale l’analisi di Green sulla percezione e sulla coscienza
siano illustrate in un’opera il cui titolo recita significativamente Prolegomeni
all’etica (1883). Nella prospettiva di Green, è erronea la totale riduzione
humiana della coscienza ai suoi fenomeni; questa è «fuori» sia dalle idee sia
da ogni successione, proprio per poter cogliere idee e successioni. E contro
ogni interpretazione naturalistica della coscienza egli afferma che il mondo è
una serie di fatti; un fatto non ha capacità di comprendere né se stesso né gli
altri fatti né il loro mutamento; pertanto la coscienza non è un fatto
naturale; essa sta oltre i fatti. Di qui Green ricava che l'individuo è
espressione di un Soggetto unico, eterno, assoluto, universale, infinito,
estraneo al tempo e alla materia. Soggetto che però è il fondamento di tutte le
relazioni tra i fatti. Tale Soggetto, o Coscienza assoluta, attraverso gli
individui assume dimensione temporale e storica; esso «diventa» coscienza umana
sul piano mondano quando l'organismo animale diventa «veicolo» della sua
manifestazione. Sicché la coscienza umana, in quanto funzione dell'organismo
animale che veicola la coscienza eterna, cambia, è successione di fatti interni
dipendente dalla successione dei fatti esterni ad essa; ma in quanto coscienza
assoluta che si veicola nell'organismo, essa è indipendente dal tempo e dalle
mutazioni dei fatti, è atemporale ed eterna. Perciò della coscienza umana si
può dire ugualmente che è divina, in relazione al secondo senso, e che è
naturale, cioè dipendente dalle funzioni vitali dell'organismo, secondo il
primo senso. Proprio perché la coscienza umana è l'una e l'altra cosa, l'uomo
ha il «compito» etico di realizzare in sé, compiutamente, la Coscienza assoluta. Questa, che altro non è che Dio, «è» infatti tutto ciò che l'uomo «può»
diventare. Certo, Dio è l'Essere che ci ha originati, ma è anche l'Essere «in
cui» noi esistiamo Però il nostro essere in Lui non significa che noi abbiamo
«attualmente» le sue proprietà. Ecco perché all'uomo si pone come compito
morale quello di diventare «identico» a Lui, perfezionando la propria
condizione mondana. Tale perfezionamento non è da concepirsi però come un
impresa che riguardi solo l'individuo singolo. Poiché Infatti nella Coscienza
assoluta sono installati allo stesso titolo tutti gli uomini, bisogna concepire
questo perfezionamento in senso anche sociale: il bene, insomma, consiste in
una vita sociale in cui tutti gli individui cooperino armonizzando le loro
volontà libere.
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