DALL'INTOLLERANZA RELIGIOSA ALLA TOLLERANZA
A cura di Nunzio AngiolilliDefinizione del concetto di tolleranza
La tolleranza viene definita come un atteggiamento o uno stato d’animo per il quale si ammette che altri professino differenti principi religiosi, etici, politici. In senso stretto essa non è una virtù poiché ha come oggetto un male che viene tollerato per necessità variamente motivate e fondate che non portano mai ad un’autentica e piena affermazione di ciò che è tollerato. Nonostante tale definizione essenzialmente negativa di tolleranza, tuttavia si riconosce a quest’ultima una funzione positiva: la tolleranza permette infatti che esista una pluralità di posizioni e quindi di opinioni in tutti i campi dove essa sia esercitata. Contribuisce perciò alla ricerca della verità, alla quale si rapporta in modo dialettico.
Sviluppi del dibattito sul concetto di tolleranza
Nascita del principio di tolleranza La questione della tolleranza inizia ad essere discussa soprattutto in Francia, Inghilterra e Boemia (stati in cui si affermano diversi punti di vista religiosi) intorno al XVI secolo, periodo ricco di avvenimenti come la Riforma, la Controriforma, la costituzione degli stati assoluti e le guerre per il predominio europeo. L’omogeneità ideologica e culturale viene meno con l’indebolirsi dell’Impero e con la nascita di confessioni diverse da quella cattolica, che proprio in questo periodo conoscono la loro diffusione. Ciò dimostra come sia inizialmente l’ambito religioso quello ad essere interessato al problema della tolleranza: la teoria della tolleranza religiosa stabilisce che è meglio astenersi dal perseguire posizioni morali o religiose giudicate riprovevoli. In questo caso la scelta di tollerare è vista come il minore dei mali, perché la repressione delle idee contrastanti provocherebbe problemi ancora peggiori. Un precursore della teoria della tolleranza religiosa fu Marsilio da Padova (1275-1343), che sosteneva la validità di un metodo di insegnamento e di correzione piuttosto di uno che imponesse la fede per coercizione; la fede imposta con la forza non procura la salvezza dell’anima. Inoltre, nel suo Defensor Pacis, viene attribuita una qualche validità anche a convinzioni e regole che esulano dalla rispondenza stretta dalla verità proclamata dalla Chiesa. Un’altra tappa principale dello sviluppo del principio della tolleranza è l’Umanesimo. Esso favorisce la dimensione interiore dell’individuo per il raggiungimento della tranquillità con Cristo. Sempre in campo umanistico prende poi corpo un significato ideologico-politico della religione come forma di controllo sulle masse. Una delle cause del fanatismo religioso, questione particolarmente dibattuta dal protestantesimo, deriva dallo scontro fra una concezione umanistica della religione (che propone un libero esame nel rapporto uomo-Dio) e una assolutistica (che nega, considerandolo un crimine, tale libero esame). Il fenomeno del fanatismo è da intendere diversamente nella confessione protestante e in quella cattolica: nella prima si attua la persecuzione poiché il dissenso viene visto come un crimine contro le istituzioni, mentre nella seconda si afferma la cultura del sospetto che ha il suo strumento nell’Inquisizione.
Tolleranza fra Riforma e Controriforma
La riforma protestante, non immune da forme di fanatismo religioso, dà nuovo rilievo al problema della tolleranza. La confusione religiosa e politica e le persecuzioni religiose portano alla ricerca di nuove definizioni circa i concetti di fede e di eresia. Tre figure principali dominano questo scenario. La prima è Lutero (1483-1546). Egli fu il primo a sostenere che la pena prevista per gli eretici, il rogo, era contraria alla volontà dello spirito santo: si ritrova così la concezione di Marsilio da Padova secondo cui la fede non può essere imposta con la violenza. Tale posizione, che trova il suo fondamento nelle sacre scritture, non venne però seguita nel caso della cosiddetta guerra dei contadini (1525) promossa dal predicatore T. Muntzer. Lutero di fronte alle rivendicazioni dei rivoltosi reagisce con inaudita violenza, non esitando ad invocare la pena di morte per tutti i sediziosi. Il potere politico incaricato di questo compito diviene così per il monaco tedesco la spada di Dio che interviene per fermare il male e l'ingiustizia di questo mondo. Strettamente legato all'Umanesimo cristiano è il secondo protagonista, Erasmo da Rotterdam (1469-1536). Nelle sue opere troviamo un forte invito alla tolleranza in nome di quegli ideali di educazione che tempo prima avevano mosso l'autore del Defensor Pacis. La terza figura che opera in quegli anni turbolenti è Calvino (1509-1564). Egli attaccò veementemente i metodi perentori con cui la chiesa romana combatteva le nuove confessioni; ciò nonostante, com'era avvenuto per Lutero, parve contraddire se stesso quando nel 1553 condannò e fece bruciare a Ginevra Miguel Servet, medico spagnolo, per eresia. Quest’ultimo, infatti, negava il dogma della trinità, l'esistenza in Dio di tre persone divine uguali e distinte. Calvino giustificò la sua intransigente posizione nel suo testo Defensio orthodoxae fidei: l'eresia equivale ad una bestemmia contro la gloria e l'onore di Dio, quindi tollerarla significherebbe diventarne complice. Infine, l'ultimo personaggio ad alimentare il dibattito sulla tolleranza nel Cinquecento è Castellion (1515-1563). Nella sua opera fondamentale, De haereticis an sint persequendi (1554), egli pubblicò un antologia di testi a favore della tolleranza non solo dei Padri della chiesa, di Erasmo, degli Anabattisti, ma anche delle prime concezioni moderate di Calvino e di Lutero. In essa è evidente l'influsso della teoria erasmiana, secondo cui il cristianesimo è innanzitutto impegno di vita morale, pratica di carità e pace. Sul piano dottrinale si afferma che non vi è nessuno in terra in grado di fungere da giudice nelle contese di fede; in particolare la difesa dell'ortodossia non potrà mai giustificare un'azione immorale quale l'omicidio. Si introduce così l'idea del rispetto della dignità dell'uomo: "Uccidere un uomo non è difendere una dottrina; è uccidere un uomo". Con un atteggiamento non dissimile da quello che, qualche anno dopo, avrebbe animato Montaigne, Castellion propugna un cristianesimo non già dogmatico e autoritario, bensì malleabile e aperto al dialogo (mettendo in luce come nei Testi Sacri la violenza sia sempre esecrata): ciò ben emerge dal suo scritto De arte dubitandi, ove l’approdo al cristianesimo è il frutto della messa in discussione dei processi conoscitivi umani. Nel De haereticis an sint persequendi, egli riporta brani antologici in appoggio della tolleranza religiosa, fingendoli scritti da altri autori (in realtà è lui stesso l’autore, dietro bizzarri nomi): la tolleranza deve avere la meglio sull’intolleranza.
Seicento e Settecento
I riflessi politici della teoria della tolleranza religiosa trovano piena espressione sul finire del XVI secolo, quando Jean Bodin (1530-1596) propugna la tesi che afferma l'estraneità dello stato nei conflitti religiosi e propone la tolleranza verso i riformati in cambio dell’obbedienza civile. Il principio di tolleranza religiosa ha il merito di aver anticipato quello della libertà politica: fazioni contrastanti sono legittime se rientrano in un sistema di regole da tutti convenute. In ambito politico, soprattutto in Francia, il dibattito sulla tolleranza si afferma nell'età delle guerre di religione del secondo Cinquecento. I principali fautori furono gli esponenti del "partito dei politici": essi erano ostili al cattolicesimo fanatico-filoasburgico e sostennero che il problema religioso poteva essere risolto solo all'interno di uno stato potente e accentrato. I Politici seguono la via dell'irenismo religioso (eirène = pace). Un altro passo verso la tolleranza religiosa fu compiuto con l'Editto di Nantes (1598), grazie al quale venne riconosciuta la libertà religiosa e di culto agli ugonotti francesi. Questo periodo è infine caratterizzato da un'ultima teoria religiosa connessa alla politica: la tolleranza religiosa è "instrumentum regni", uno strumento del sovrano per ricompattare lo stato, una concessione della corona accordata ad alcuni gruppi sociali. Tali idee saranno criticate dai calvinisti, che contesteranno la forte autorità del monarca in campo sia politico che religioso, a favore di una sovranità popolare che regoli tutti gli ambiti della società, inclusi i difficili rapporti fra confessioni differenti. Verso il XVII secolo si sente la necessità di conservare l'ordine politico e la pace sociale nonostante la pluralità di confessioni religiose. E' in questo contesto che si colloca l'opera di John Locke (1632-1704). Nella sua Epistola de Tolerantia (1689) sono definiti i doveri di chiesa, privati, magistratura ecclesiastica e civile verso la tolleranza: la chiesa si limiterà a scomunicare chi non segue la sua dottrina, senza arrecargli alcun danno materiale; nessun privato può danneggiare chi si professi estraneo alla sua religione; Chiesa e stato sono due istituzioni diverse e separate; la magistratura civile deve astenersi da ingerenze nella sfera religiosa degli individui. Il principio di tolleranza è sancito nella Dichiarazione di indipendenza (1776) e nella successiva Costituzione federale degli Stati Uniti d’America (1791), anche se trova la sua prima formulazione già alcuni anni addietro col Traité sur la tolérance (1763) di Voltaire.
Le teorie contemporanee sulla tolleranza
Rispetto al passato si assiste ad una graduale accettazione di una pluralità di opinioni in campo etico, politico e morale; la tolleranza acquisisce la connotazione di valore politico e morale e prelude alla nascita della libertà politica. In particolare, a partire dalla seconda metà dell'800, caratterizzata socialmente e politicamente dall'egemonia borghese, la tolleranza garantisce la coesistenza conflittuale, nel quadro della dialettica democratica istituzionale, di posizioni ideologiche differenti, talora anche radicalmente opposte; ancora una volta la tolleranza si propone come baluardo del diritto alla libertà d'opinione e per la prima volta essa non solo contribuisce alla ricerca di una definizione della verità, come già precedentemente faceva, ma è anche assunta essa stessa come fonte di vera e propria verità. Il fatto che la tolleranza si svincoli sempre più dalla problematica religiosa trova pieno riscontro nelle teorie contemporanee di Wolff e Marcuse. Secondo Wolff (1868-1943) non si può parlare di piena tolleranza nella società moderna americana, perché i diritti sono riconosciuti ai gruppi e alle corporazioni, non agli individui che se ne distaccano; ad esempio, un lavoratore che non si allinea alle decisioni del sindacato che lo rappresenta, perde ogni potere di contrattazione sociale. Marcuse (1898-1979) critica il modello di tolleranza delle democrazie avanzate; esse tendono a conservare le loro strutture e non seguono fino in fondo il principio di tolleranza che, applicato fino alle sue estreme conseguenze, presenterebbe invece una natura sovversiva e fortemente liberale. Sugli sviluppi moderni del principio di tolleranza si può da ultimo citare la posizione della Chiesa: fino alla prima metà del novecento, essa accetta la tolleranza, ma come un atteggiamento pratico, rivolto per opportunismo verso l'errore e il male; solo in seguito, dopo il Concilio Vaticano II (1962-65) e i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI, la Chiesa si è avvicinata ad una concezione che riconosce la piena dignità dell'individuo, presente anche nell'errare. Non si deve tuttavia credere, da quanto sin qui detto, che non esistano limiti alla tolleranza e alla libertà di opinione. Infatti, come si legge nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789), "... nessuno deve essere disturbato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla legge". Nel contesto novecentesco il problema dei limiti posti alla tolleranza ha nuovamente un ruolo centrale, stimolando, con Karl Popper (1902-1994), una valorizzazione della reciprocità per quanto attiene il piano politico e la possibilità della critica e del confronto nel progresso scientifico.