ARNOLD JOSEPH TOYNBEE

A cura di Federico Leonardi




TOYNBEE

 

 

 

 

Vita

Opere

A Study of History

Il soggetto della storia e una storia senza centro: il policentrismo delle civiltà e il metodo analogico

L'Occidente e il mondo greco-romano

 

 

 

Vita

 

Nato nel 1889 in una famiglia alto-borghese dell'epoca vittoriana, Arnold  Joseph Toynbee è avviato precocemente agli studi classici: a sette anni comincia lo studio del latino, a dieci quello del greco; la madre, una delle prime donne a compiere gli studi universitari in Gran Bretagna, si laurea in storia moderna e avvia il figlio alla conoscenza della storia inglese. Nel 1901 il piccolo Arnold accede alla più prestigiosa scuola di allora, il Winchester College, dove familiarizza con molte lingue moderne. Il passo successivo è costituito dal Balliol College di Oxford, nato con la missione di formare la classe dirigente dell'Inghilterra con un duro curriculum intensivo quadriennale di letteratura, storia e filosofia antica, che frequenta dal 1907 al 1911. Qui viene notato da uno dei suoi insegnanti, Gilbert Murray, il grande grecista, la cui visione del ruolo decisivo della religione per comprendere il mondo classico lascerà un profondo segno sul giovane allievo. Dopo aver pubblicato un articolo di taglio filologico su Erodoto, gli viene offerto un posto di insegnante e tutor di filologia classica, che non ricopre subito perché vince una borsa di studio annuale che gli consente di viaggiare fra il settembre 1911 e l'agosto del 1912 per l'Italia e la Grecia, viaggio che affronta spesso a piedi, a volte in compagnia, più spesso da solo. Vuole vedere con i suoi occhi i luoghi che furono teatro della storia greca e romana, cercando di entrare in empatia con essi, tanto da avere alcune intuizioni sugli eventi cardine del passato; viaggiando a piedi, comincia lentamente ad apprezzare la differenza fra i paesaggi selvaggi e quelli invece plasmati dall'uomo, grazie alla quale comincia a ragionare sull'origine e il senso della civiltà. Preso finalmente servizio a Oxford nel 1912, comincia a tenere corsi e seminari, ma avverte anche un profondo iato fra il proprio metodo e quello meramente accademico. Analizzando le guerre puniche in un lungo corso fra il 1913 e il 1914, allarga  lo sguardo fino a comprendere tutte le realtà politiche dell'epoca, dal Mediterraneo fino alle porte dell'India, fra loro interconnesse: si profila già qui la sua visione sistemica dei problemi; e poi fino a indagare gli effetti di lunga durata di quelle guerre sul paesaggio, sul modo di vivere, sul costume. In quest'ottica sistemica progetta di scrivere una storia greca a partire dall'origini fino alla fine dell'impero bizantino. Lo scoppio della prima guerra mondiale e la sua escalation pone davanti ai suoi occhi di interprete una analogia via via più stringente con Tucidide, mentre lo commenta ai suoi studenti. E' in quei momenti che ha l'intuizione della contemporaneità delle civiltà: “Qualunque cosa la cronologia potesse dire, il mio mondo e il mondo di Tucidide dimostravano di essere contemporanei. E se questa era la vera relazione fra la civiltà Greco-Romana e la civiltà Occidentale, non poteva darsi che fra tutte le civiltà da noi conosciute si rivelasse una relazione medesima?” (Civiltà al paragone).

Toynbee svolge il suo servizio durante la guerra presso la propaganda governativa, in particolare come analista della situazione mediorientale. In quegli anni escono: Nationality and the War e una dura denuncia delle atrocità turche, The treatement of Armenians in the Ottoman Empire, 1915-1916, che negli intenti del governo inglese dovrebbe contribuire a spingere gli USA in guerra. Lasciata ufficialmente la cattedra di Oxford, entra nel dipartimento di intelligence del governo e nel 1919 è membro ufficiale della delegazione inglese agli accordi di pace di Versailles. Intanto una iniziativa concertata di facoltosi privati e del governo greco dà vita al King's College di Londra alla cattedra “Koraes” di storia e cultura bizantina e della Grecia moderna, che Toynbee viene chiamato a ricoprire.

L'esperienza della guerra lo segna come segna tutta quella generazione. L'idea dell'agonia della civiltà, che anima molti dibattiti, ha il suo culmine nel Tramonto dell'Occidente di Spengler, opera che ha su Toynbee una profondo impatto, misto di ispirazione e di delusione. Ispirazione perché in essa trova teorizzato il metodo analogico, la comparazione fra le civiltà, contro la continuità storica di epoche che procedono verso il progresso; delusione invece non solo perché non viene spiegata la nascita delle civiltà ma anche perché il fatalismo le lega al ciclo che va dalla nascita alla morte.

In una conferenza del 1920, The tragedy of Greece, infatti Toynbee teorizza la necessità dell'analogia, per esempio fra l'antichità e l'oggi, per comprendere la storia, in quanto guardando l'una con gli occhi dell'altra si riesce a guadagnare la distanza prospettica per mettere a fuoco il fenomeno. La comparazione esplicita con la rivoluzione bolscevica permette di vedere più a fondo nel crollo dell'impero romano, dovuto alla crescente spaccatura fra una minoranza dominante e un proletariato interno. La storia greca viene paragonata a una tragedia in tre atti: 1) nascita e sviluppo dall'undicesimo secolo al 431 a.C., ovvero fino alla crisi interna della guerra del Peloponneso 2) il caos dal 431 al 31 a.C., fino alla pacificazione e unificazione sotto Augusto 3) la lunga decadenza e il crollo fino al settimo secolo d.C. L'incarico presso la cattedra “Koraes” gli consente di viaggiare fra Grecia e Turchia, approfondendo e mettendo alla prova la sua visione sistemica e analogica dei fenomeni storici, proprio nel momento in cui la Grecia, approfittando della disgregazione dell'impero ottomano estende il suo dominio sulla regione di Smirne, salvo poi essere risospinta indietro dall'azione di Atatürk, che fonda poi la Turchia moderna. Risultato di questa esperienza è The Western Question in Greece and Turkey: a Study in the Contact of Civilizations, che fa esplodere violente polemiche a causa delle denunce delle atrocità greche in Turchia: nel 1924 Toynbee lascia l'incarico. Nel 1925 ottiene la cattedra di Storia Internazionale presso l'Università di Londra che tiene solo pochi anni, per poi passare, in qualità di direttore degli studi, presso il Royal Institut of International Affairs, dove ogni anno si impegna a pubblicare, insieme al gruppo di studiosi dell'Istituto, un'ampia panoramica della politica mondiale e dell'evoluzione delle relazioni internazionali.

Ormai cerca di ritagliarsi sempre più tempo per dedicarsi all'opus magnum per cui si sente maturo. Intensifica le letture e comincia a scrivere un'opera monumentale che spazia in tutte le civiltà conosciute, morte e vive, una filosofia della storia intitolata A Study of History, complessivamente in 12 volumi. I primi sei volumi escono fra il 1934 e il 1939. Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo vede di nuovo impegnato al servizio del governo inglese, con vari incarichi presso il Foreign Office, fino a che nel 1946 non è ancora fra i membri della delegazione inglese nella Conferenza di pace di Parigi. Lo stesso 1946 è l'anno in cui un suo collega, Sommervell, redige un riassunto, poi approvato da Toynbee, dei sei volumi, che dà all'autore una grande fama in Inghilterra e poi negli successivi negli USA: mai dei libri di storia avevano avuto vendite così alte.

Si cerca nell'opera di Toynbee la risposta ai gravi problemi suscitati dalla seconda guerra mondiale e poi dall'aprirsi della guerra fredda: l'Occidente è destinato alla sconfitta oppure può rigenerarsi?  In questa atmosfera da passaggio epocale, A Study of History conosce anche molti studi specialistici: si possono citare i due più celebri, la tesi di laurea di Henry Kissinger, e quella dottorale di Ivan Illich. Su entrambi Toynbee lascia una influenza profonda.

Escono poi i volumi 6 e 7, poi nel 1954 ottavo, nono, decimo, i quali chiudono il piano dell'opera. Con la fama arrivano anche le critiche, soprattutto al tentativo, ritenuto titanico ed eccessivo, di ripensare la storia universale, tentando addirittura di uscire da un paradigma eurocentrico, confrontandosi con la lingua, i costumi, la storia di altre civiltà. Con il volume undicesimo escono mappe e tabelle, invece il dodicesimo e ultimo (1961) costituisce insieme a una risposta ai critici anche un tentativo di bilancio e di ripensamento dei temi centrali.

Nel frattempo, nel 1955, Toynbee lascia la direzione dell'Istituto, che ha tenuto per trent'anni. Scrive ancora moltissimo, tiene conferenze in tutto il mondo. Ha ancora molti progetti da portare a termine, in particolare quello sulla visione complessiva del mondo greco-romano che comprenda anche il mondo bizantino. Le sue ultime monografie storiche infatti sono: Hellenism. History of a Civilization (1959), una visione sintetica della civiltà greco-romana; Hannibal's Legacy, due volumi sulle conseguenze delle guerre puniche e le origini dell'impero romano; Some problems of Greek History (1969), su varie questioni, dalle origini delle civiltà greca fino a una indagine sui motivi della sua mancata unificazione politica; Constantine Porphirogenitus and his World (1973), sul X secolo, il periodo d'oro dell'impero bizantino.

Toynbee muore nel 1975. Postumo uscirà Mankind and Mother Earth, A Narrative History of the World, uno sforzo di sintesi della storia universale, trattata non più per temi, ma secondo la sua scansione cronologica.

 

 

 

Opere


 

Nationality and the War, Dent, 1915

The Armenian Atrocities, The Murder of a Nation, with a speech delivered by Lord Bryce in the House of Lords, Hodder & Stoughton, 1915

The New Europe, Some Essays in Reconstruction, with an Introduction by the Earl of Cromer, Dent, 1915

Contributor, Greece, in The Balkans, A History of Bulgaria, Serbia, Greece, Rumania, Turkey, various authors, Oxford, Clarendon Press, 1915

Editor, The Treatment of Armenians in the Ottoman Empire, 1915-16: Documents Presented to Viscount Grey of Fallodon by Viscount Bryce, with a Preface by Viscount Bryce, Hodder & Stoughton and His Majesty’s Stationery Office, 1916

The Belgian Deportations, with a statement by Viscount Bryce, T Fisher Unwin, 1917

The German Terror in Belgium, An Historical Record, Hodder & Stoughton, 1917

The German Terror in France, An Historical Record, Hodder & Stoughton, 1917

Turkey, A Past and a Future, Hodder & Stoughton, 1917

The Western Question in Greece and Turkey, A Study in the Contact of Civilizations, Constable, 1922

Introduction and translations, Greek Civilization and Character, The Self-Revelation of Ancient Greek Society, Dent, 1924

Introduction and translations, Greek Historical Thought from Homer to the Age of Heraclius, with two pieces newly translated by Gilbert Murray, Dent, 1924

Contributor, The Non-Arab Territories of the Ottoman Empire since the Armistice of the 30th October, 1918, in HWV Temperley, editor, A History of the Peace Conference of Paris, Vol 6, OUP, Issued under the auspices of the British Institute of International Affairs, 1924

The World after the Peace Conference, Being an Epilogue to the “History of the Peace Conference of Paris” and a Prologue to the “Survey of International Affairs, 1920-1923”, OUP, Issued under the auspices of the British Institute of International Affairs, 1925

With Kenneth P Kirkwood, Turkey, Benn, in Modern Nations series edited by HAL Fisher, 1926

The Conduct of British Empire Foreign Relations since the Peace Settlement, OUP, Issued under the auspices of the Royal Institute of International Affairs, 1928

A Journey to China, or Things Which Are Seen, Constable, 1931

Editor, British Commonwealth Relations, Proceedings of the First Unofficial Conference at Toronto, 11-21 September 1933, with a Foreword by Robert L Borden, OUP, Issued under the joint auspices of the Royal Institute of International Affairs and the Canadian Institute of International Affairs, 1934

A Study of History
Vol I: Introduction; The Geneses of Civilizations
Vol II: The Geneses of Civilizations
Vol III: The Growths of Civilizations

OUP, 1934 (trad. it., solo dei primi due volumi, Panorami della storia, Milano, 1954-1955)

Editor, with JAK Thomson, Essays in Honour of Gilbert Murray, George Allen & Unwin, 1936

A Study of History
Vol IV: The Breakdowns of Civilizations
Vol V: The Disintegrations of Civilizations
Vol VI: The Disintegrations of Civilizations
OUP, 1939

DC Somervell, A Study of History, Abridgement of Vols I-VI, with a Preface by Toynbee, OUP, 1946

Civilization on Trial, OUP, 1948 (trad. it. Civiltà al paragone, Milano, 1983)

The Prospects of Western Civilization, New York, Columbia University Press, by arrangement with OUP, 1949

Albert Vann Fowler, editor, War and Civilization, selections from A Study of History, with a Preface by Toynbee, New York, OUP, 1950

Introduction and translations, Twelve Men of Action in Graeco-Roman History, Boston, Beacon Press, 1952 (Extracts from Thucydides, Xenophon, Plutarch and Polybius.)

The World and the West, OUP, 1953 (trad. it. Il mondo e l'Occidente, Palermo, 1993)

A Study of History
Vol VII: Universal States; Universal Churches
Vol VIII: Heroic Ages; Contacts between Civilizations in Space
Vol IX: Contacts between Civilizations in Time; Law and Freedom in History; The Prospects of the Western Civilization
Vol X: The Inspirations of Historians; A Note on Chronology
OUP, 1954

An Historian’s Approach to Religion, OUP, 1956 (Based on Gifford Lectures delivered in the University of Edinburgh in 1952 and 1953.) (trad. it. Storia e religione, Milano, 1984)

DC Somervell, A Study of History, Abridgement of Vols VII-X, with a Preface by Toynbee, OUP, 1957

Christianity among the Religions of the World, New York, Scribner, 1957; London, OUP, 1958

Democracy in the Atomic Age, Melbourne, OUP, Issued under the auspices of the Australian Institute of International Affairs, 1957

East to West, A Journey Round the World, OUP, 1958

Hellenism, The History of a Civilization, OUP, Home University Library, 1959 (trad. it. Il mondo ellenico, Torino, 1967)

With Edward D Myers, A Study of History, Vol XI: Historical Atlas and Gazetteer, OUP, 1959

DC Somervell, A Study of History, Abridgement of Vols I-X combined in one volume, with a new Preface by Toynbee and new tables, OUP, 1960 (trad. it. -parziale- Le civiltà nella storia, Torino, 1950, a cura di Cesare Pavese!; trad. it. -integrale- Storia comparata delle civiltà, 3 voll., Roma, 1974)

A Study of History, Vol XII: Reconsiderations, OUP, 1961

Between Oxus and Jumna, OUP, 1961

The Present-Day Experiment in Western Civilization, OUP, 1962

America and the World Revolution, OUP, 1962

The Economy of the Western Hemisphere, OUP, 1962 (The three sets of lectures published separately in the UK in 1962 appeared in New York in the same year in one volume under the title America and the World Revolution and Other Lectures, OUP.)

Universal States, New York, OUP, 1963 (Separate publication of part of Vol VII of A Study of History.)

Universal Churches, New York, OUP, 1963 (Separate publication of part of Vol VII of A Study of History.)

With Philip Toynbee, Comparing Notes, A Dialogue across a Generation, Weidenfeld & Nicolson, 1963 (trad. it. L'urto tra i padri e i figli, Milano, 1964)

Between Niger and Nile, OUP, 1965

Hannibal’s Legacy, The Hannibalic War’s Effects on Roman Life
Vol I: Rome and Her Neighbours before Hannibal’s Entry
Vol II: Rome and Her Neighbours after Hannibal’s Exit
OUP, 1965 (trad. it. L'eredità di Annibale, Torino, 1981-1983)

Change and Habit, The Challenge of Our Time, OUP, 1966
Acquaintances, OUP, 1967

Between Maule and Amazon, OUP, 1967

Editor, Cities of Destiny, Thames & Hudson, 1967 (trad. it. Le città del destino, Roma, 1069)

Editor and principal contributor, Man’s Concern with Death, Hodder & Stoughton, 1968

Editor, The Crucible of Christianity: Judaism, Hellenism and the Historical Background to the Christian Faith, Thames & Hudson, 1969

Experiences, OUP, 1969

Some Problems of Greek History, OUP, 1969

Cities on the Move, OUP, 1970 (trad. it. La città aggressiva, Bari, 1972)

Surviving the Future, OUP, 1971

With Jane Caplan, A Study of History, new one-volume abridgement, with new material and revisions and, for the first time, illustrations, Thames & Hudson, 1972

Constantine Porphyrogenitus and His World, OUP, 1973 (trad. it. Costantino Porfirogenito e il suo mondo, Milano, 1977)

Editor, Half the World, The History and Culture of China and Japan, Thames & Hudson, 1973

Toynbee on Toynbee, A Conversation between Arnold J Toynbee and GR Urban, New York, OUP, 1974

Mankind and Mother Earth, A Narrative History of the World, OUP, 1976, posthumous (trad. it. Il racconto dell'uomo, Milano, 1977)

With Daisaku Ikeda; Richard L Gage, editor; Choose Life, A Dialogue, OUP, 1976, posthumous (trad. it. Dialoghi. L'uomo deve scegliere, Milano, 1988)

EWF Tomlin, editor, Arnold Toynbee, A Selection from His Works, with an introduction by Tomlin, OUP, 1978, posthumous

The Greeks and Their Heritages, OUP, 1981, posthumous

Christian B Peper, editor, An Historian’s Conscience, The Correspondence of Arnold J Toynbee and Columba Cary-Elwes, Monk of Ampleforth, OUP, Boston, Mass, 1987, posthumous

 

 

A Study of History

 

Toynbee fin da giovane si convince che per comprendere qualsiasi fenomeno storico occorre collocarlo nell'insieme di altri fenomeni che influiscono su di esso e che quindi non può darsi storia se non come storia universale. Per questo i suoi autori sono Vico, Ranke, Meyer. 

Forte della sua esperienza di consulente del governo inglese per il Medio Oriente, dell'incarico di direttore dell'Istituto di Affari Internazionali e della sua ormai vasta competenza di storia greca e romana, matura l'idea di scrivere uno studio che codifichi e studi tutte le civiltà, vive e morte, il ritmo di nascita-sviluppo-decadenza-disgregazione, le eventuali filiazioni dell'una rispetto all'altra, gli imperi e le chiese universali, concepiti sulla scia di Spengler (anche se quest'ultimo ha quasi tralasciato il ruolo delle religioni nel suo studio) come istituzioni che, collocandosi proprio nella fase della disgregazione, arrestano temporaneamente l'auto-lacerazione nel corpo sociale, grazie alla pacificazione imposta dall'esterno da una minoranza dominante; poi i contatti fra le civiltà nello spazio (in un processo a ritroso fra Occidente e le altre civiltà, poi fra civiltà ellenica e le altre civiltà antiche) e nel tempo (i rinascimenti, che sgorgano dall'incontro fra una società ancora viva e una ormai morta, ad esempio fra l'Europa del Quattrocento e la cultura greca, che vi giunge dopo la caduta di Bisanzio); infine, a mo' di conclusione, una disamina del rapporto fra determinismo e libertà nella storia e poi un volume specifico sulle prospettive dell'Occidente, dato che esso ha dal Cinquecento in poi dominato tutte le altre civiltà ma ora la sua supremazia è al tramonto ed è in corso una reazione all'occidentalizzazione, nonostante l'aspetto principale di essa, la tecnologia, sia nelle mani di tutti, che la sfruttano e la riprendono. Il frutto di questa visione poderosa della storia è A Study of History, in 12 volumi usciti fra il 1934 e il 1961 (i primi dieci esauriscono il piano dell'opera, mentre gli ultimi due contengono rispettivamente atlanti, tavole comparative, parole chiave e risposte a critici).

 

Questo è il piano dell'opera:

1)      INTRODUZIONE

2)      COME NASCONO LE CIVILTA'

3)      COME SI SVILUPPANO

4)      COME CROLLANO

5)      COME SI DISGREGANO

6)      STATI UNIVERSALI

7)      CHIESE UNIVERSALI

8)      ETA' EROICHE

9)      CONTATTI FRA LE CIVILTA' NELLO SPAZIO

10)  CONTATTI FRA CIVILTA' NEL TEMPO

11)  LEGGE E LIBERTA' NELLA STORIA

12)  LE PROSPETTIVE DELLA CIVILTA' OCCIDENTALE

13)  CONCLUSIONI

 

Dunque per Toynbee le civiltà sono l'autentico soggetto storico e queste, come per Spengler, sono sincroniche e parallele. Rispetto a quest'ultimo però, Toynbee cerca di mostrare alcuni, seppure non univoci, segnali di trascendenza nel ciclo vitale delle civiltà, gli elementi appunto che rallentano la decadenza, che dilazionano la morte e che creano, pur o proprio dileguandosi, una prospettiva, anzi, di più, una base di rinascita: sulle rovine delle istituzioni universali, altri possono trovare stimolo alla creazione di un'altra civiltà. Filiazioni di una civiltà con un'altra, contatti non estemporanei, tensioni universali mostrano dei segnali di trascendenza rispetto al ciclo. Ruolo decisivo assumono dunque le religioni universali, che pur nascendo in epoche di decadenza e di scissione nel complesso sociale, garantiscono una base su cui nascono altre civiltà: il caso su cui Toynbee insiste di più è quello del cristianesimo che si afferma quando il declino del mondo ellenico ha visto sorgere l'impero romano, ma, quando quest'ultimo crollerà decretando la fine di quella civiltà, sarà la linfa per i popoli della Völkerwanderung per costruire un'altra civiltà, quella occidentale appunto.

Seguiamo il piano dell'opera tappa dopo tappa. Il meccanismo attorno al quale ruota l'interpretazione della vita di una civiltà è quello di sfida-risposta: quando un gruppo, che poi costituirà la minoranza dominante, o un uomo solo, un futuro leader, riescono a rispondere alla sfida che le difficoltà dell'ambiente, naturale e/o umano (umano soprattutto nelle fasi più avanzate), lanciano, si dà la civiltà, proprio come soluzione a questi problemi; quando invece non si riesce più a rispondere alle sfide, quando la creatività si sclerotizza e si fissa sulle istituzioni che avevano portato alla vittoria precedente, senza produrre niente di nuovo, si dà la decadenza, quasi una nemesi della creatività originaria. Dunque la nascita delle civiltà avviene quando si sa rispondere alle avversità: 1) paesi difficili 2) territori nuovi, non già plasmati da altri 3) gravi sconfitte subite come stimolo a ripartire 4) la vita ai confini quindi più esposta alle pressioni dall'esterno 5) la condizione di minorazione, emarginazione o schiavitù in un particolare contesto. La vittoria su ostacoli materiali mette le energie della società in grado di di dar risposte a sfide che ormai saranno interne più che esterne, spirituali più che materiali. Questa spiritualizzazione (o “eterizzazione” nel lessico di Toynbee) è un progresso che porta all'autodeterminazione, al di là della determinazione dell'ambiente che fondava la civiltà. Questa fase di sviluppo è contraddistinta dall'azione o di individui creatori o di una minoranza creatrice che hanno un duplice compito: primo la riuscita, la realizzazione della loro ispirazione o scoperta, secondo la conversione della società cui appartengono a questo nuovo modo di vita. Siccome la massa non può partecipare integralmente dell'esperienza degli individui creatori, rispetto alla condivisione interiore si afferma l'imitazione esteriore, una mimesi, che è più meccanica e in perdita rispetto al modello. Il ritiro e ritorno dell'individuo è simile a quello del mito della caverna platonico, quello invece delle minoranze o sotto-società è costituito da una sorta di ritiro, di periodo di incubazione nel quale essa quasi scompare dalla scena della storia per poi ripresentarsi più forte (esempi: Atene prima delle guerre persiane, l'Italia prima del Rinascimento, l'Inghilterra prima del Cinquecento). Lo sviluppo per di più imprime alle civiltà una forte differenziazione fra le parti sociali, sulla base del maggiore o minore avvicinamento al modello creatore; e poi tende a differenziare la civiltà fra loro sulla base della direzione dell'inventiva dei fondatori: arte, religione, industria, ecc. Col passare del tempo cominciano a manifestarsi i segni del crollo: 1) diminuzione o perdita di potenza creatrice nella minoranza, che da creatrice scade a dominante, esercita potere senza il carisma creatore 2) di conseguenza viene meno la fedeltà della maggioranza, che abbandona la, pur meccanica ed esteriore, mimesi 3) quindi si rompe l'unità sociale. Questo è un altro punto nel quale Toynbee si discosta da Spengler e dalla sua visione organicista e determinista. La perdita di controllo sull'ambiente fisico (decadenza tecnica) o umano (decadenza sociale, esempio nel caso dell'impero romano, “barbarie e cristianesimo”, come sosteneva Gibbon – in realtà l'epoca degli Antonini, da lui considerata l'acme dell'antichità, l'età dell'oro, era già una fase di decadenza, il cui crollo la creazione dell'impero poté soltanto procrastinare – per Toynbee come per Spengler l'età dell'impero o del cesarismo è la fase di decadenza in cui il tempo viene come sospeso e il crollo spostato molto in là nel tempo) sono conseguenze non tanto cause del crollo. Causa vera e profonda è nel fallimento dell'autodeterminazione. L'unico modo in cui la maggioranza non creatrice può seguire la guida dei capi creatori è la mimesi, che però si configura come una scorciatoia, essendo meccanica e superficiale, non è basata sul rivivere un'esperienza dall'interno: i capi possono allora scadere anch'essi, quasi per contagio della massa, nel meccanicismo, accomodarsi nell'abitudine e quindi ne risulta una civiltà arrestata; d'altra parte possono sostituire il carisma dell'autorevolezza o della persuasione con l'uso della forza, nel qual caso la minoranza creatrice diventerà dominante e il resto della società una massa proletaria (nel senso di alienata) riluttante a seguire i capi. Quando ciò accade la società è sulla strada della disgregazione, perde la capacità di autodeterminarsi e si indebolisce rispetto alle sollecitazioni esterne (anzi molti cominciano a guardare a modelli esterni e quindi lo scisma si approfondisce). Si aprono due strade possibili, a fronte di un mancato adattamento alle nuove sfide: o la rivoluzione, via molto rischiosa perché si profila come un atto di mimesi ritardato e quindi potenzialmente esplosivo (si impone un modello che invece si sarebbe dovuto seguire prima; qualcuno l'ha bloccato, quindi scoppia la rivoluzione); oppure l'istituzione diventa più spietata nella gestione del potere, soffocando però alla radice la mimesi stessa che teneva unito il complesso sociale. La storia mostra che la tendenza più frequente nei gruppi che felicemente rispondono alle prime sfide, raramente riescono a rispondere alle successive, come se si riposassero sugli allori. E' quella che Toynbee chiama nemesi della creatività, che ha tre manifestazioni fondamentali: 1) idolizzazione di un io effimero, ovvero quello che ci ha portato alle prime vittorie 2) idolizzazione di un istituto effimero, per esempio la città-stato, alla quale i Greci rimasero legati come a una trappola, non sapendo cogliere gli elementi di novità, che avrebbero richiesto un rinnovamento politico 3) idolizzazione di una tecnica effimera.

Al crollo segue necessariamente la disgregazione? No, può succedere anche una pietrificazione, come capitò anche al mondo ellenico e potrebbe capitare all'Occidente. Il criterio essenziale della disgregazione è lo scisma del corpo sociale in tre frazioni: 1) minoranza dominante (non più creatrice) 2) proletariato interno 3) proletariato esterno. Criticando la visione marxiana per cui dalla lotta di classe fra queste fazioni nascerà un ordine nuovo, Toynbee sostiene a sua volta che ognuna di queste fazioni partorisce una sua creazione caratteristica (la forza creativa si disperde, non è più unificata): la minoranza dominante uno Stato universale, il proletariato interno una chiesa universale, il proletariato esterno bande guerriere barbariche. Minoranze dominanti sono: le figure tiranniche o militariste, oppure i legislatori o gli amministratori che cercano di dare sostanza alle leggi o alla burocrazia che devono tener legato lo stato universale oppure ancora i filosofi che cercano una soluzione teorica a queste società così vaste. Il proletariato interno, costituito da cittadini diseredati o rovinati da catastrofi politiche, popoli vinti o vittime della tratta, raccoglie dunque una massa che si sente mera componente della società, non partecipe, si è rotto il legame con la minoranza creatrice che teneva unito il complesso. Alle reazioni violente e ai tentativi di imporre la rivoluzione con la forza, segue invece la creazione di religioni universali, come giudaismo, zoroastrismo, mitraismo o cristianesimo nel mondo greco-romano. Proletariato esterno: finché una civiltà è in sviluppo, il suo influsso culturale irradia e permea i vicini primitivi a distanza indefinita (vedi l'ellenizzazione e l'ellenismo). Questi divengono parte della maggioranza non creatrice che segue la guida della minoranza creatrice. Ma quando una civiltà è crollata, il potere di irradiazione scema fino all'esaurimento, i barbari (cioè i popoli limitrofi, esclusi dalla cittadinanza) maturano ostilità e si stabilisce una frontiera militare prima temporanea e che poi diventa stazionaria. A questo stadio la pressione dall'esterno fa crollare l'edificio che ormai già scricchiolava: il risultato è che i barbari producono una poesia epica dove protagonista è una banda guerriera che ha lottato contro un nemico molto più forte, vincendo.

La “religioni superiori” o universali pongono però un problema: esse nascono da un influsso di una civiltà straniera, dunque devono essere prese in considerazione almeno due civiltà (quella da cui viene tratta l'ispirazione, quella in cui si radica il nuovo credo), la qual cosa mette in crisi l'idea di partenza per cui le civiltà prese isolatamente costituiscano un “campo intelligibile di studio”.

Lo scisma però, oltre che nel corpo sociale, si profila anche nell'anima di ognuno: ai vari modi di condotta tipici della fase di sviluppo creativo sottentrano sostituti alternativi, uno passivo, l'altro attivo.

1) senso d'abbandono e autocontrollo, sostituti alternativi della creatività 2) diserzione e martirio, sostituti alternativi della disciplina mimetica 3) senso d'andare alla deriva e senso del peccato come sostituti alternativi dello slancio che accompagna lo sviluppo 4) senso di promiscuità e senso dell'unità che sostituiscono il senso dello stile, ovvero il riscontro soggettivo dell'oggettivo differenziamento che accompagna lo sviluppo. Il senso dell'unità produce l'impero universale.

Sul piano della vita ci sono due coppie di varianti alternative nel movimento verso lo spostamento del campo d'azione dal macrocosmo al microcosmo, che è alla base del processo di spiritualizzazione che contraddistingue lo sviluppo: 1) arcaismo e futurismo, che non compiono lo spostamento e generano violenza 2) distacco (spiritualizzazione dell'arcaismo) e trasfigurazione spiritualizzazione del futurismo): il primo è un ritiro dal mondo nella roccaforte dell'anima, il secondo è un'azione dell'anima che produce le religioni universali.

Fra società in disgregazione e individui si danno sei tipi di figure: 1) genio creatore come salvatore,  che non danno più risposte felici a sfide successive, ma appaiono come salvatori di o da una società in disgregazione 2) salvatore con la spada, fondatori di stati universali, che risultano essere però effimeri 3) salvatore con la macchina del tempo, arcaisti e futuristi, che, a causa delle armi, incorrono nello stesso destino 4) filosofo mascherato da re, rimedio platonico, che fallisce per l'incompatibilità fra il distacco del filosofo e i metodi coercitivi del tiranno 5) dio incarnato dell'uomo: Cristo.

La disgregazione ha il suo segno nella standardizzazione, una sorta si scimmiottatura della creatività autentica, dove si continua a spremere le vecchie istituzioni e i gli stili di vita conosciuti, senza accorgersi che a problemi nuovi occorrerebbe rispondere in modo nuovo.

Dopo aver analizzato le cause della disgregazione e della scissione, Toynbee esamina i tre corpi in cui una civiltà si scinde nella sua fase terminale, appunto Stati universali, Chiese universali, proletariati esterni (anche detti “bande da guerra barbariche”).

Qui si apre la questione più problematica ma anche più interessante nell'immensa architettura di A Study of History: gli Stati universali devono essere visti come le fasi finali della civiltà oppure come prologhi per successivi sviluppi? Dunque fini o mezzi?

Data la secolare età d'agonia, di caos, di torbidi e di guerre la dominazione tirannica dell'impero viene accolta come soluzione, percepita quasi come salvifica: da qui il senso di immortalità che i suoi abitanti gli attribuiscono, tanto che pare rinascere anche dopo la sua morte, tanto che l'Impero Bizantino o il Sacro Romano Impero sono visti come una sua reincarnazione. Per quanto anche gli imperi siano destinati a crollare, essi preparano il terreno ad altre istituzioni, le chiese universali create dai proletariati interni. Gli Stati universali, imponendo ordine e uniformità, creano un modello di unione e di conduttività sia dei vari stati locali prime in lotta, sia dei vari strati sociali in tensione; fanno poi nascere una sorta di psicologia della pace perché devono comporre in modo tollerante varie visioni del mondo. Molte delle istituzioni create dalle minoranze dominanti risulteranno poi utili a concretizzare la visione ecumenica delle religioni superiori dei proletariati interni: l'esempio più clamoroso – quello anche più seguito da Toynbee come modello di confronto è quello dell'Impero Romano e della Chiesa Cristiana: 1) Comunicazioni: strade e rotte commerciali sempre più estese e ramificate consentono la diffusione di un messaggio come quello cristiano 2) Guarnigioni e colonie: abituano alla mescolanza e al sentimento di uguaglianza 3) Province: l'organizzazione provinciale viene sfruttata dalle chiese 4) Le capitali: una città centrale, percepita come punto di riferimento per molti popoli, diventa, anche quando l'impero è caduto, quartier generale o luogo simbolico di una religione 5) La lingua: la diffusione di una lingua consente insieme alla rete di comunicazione anche la diffusione di un messaggio 6) Il diritto: un sistema di leggi viene usato anche da altri, come ad esempio quello romano usato dai musulmani o dalla Chiesa Cattolica, oppure il Codice di Hammurabi usato da chi ha composto la legge mosaica 7) Eserciti permanenti: l'esercito romano fu modello d'ispirazione per l'idea cristiana della vita come mobilitazione (parabole evangeliche dell'attesa) 8) Amministrazione o burocrazia: modello di organizzazione e fedeltà a un istituzione 9) Cittadinanza: (forse il concetto più interessante e approfondito) pur essendo causa di contesa per chi è escluso da questo diritto, fa nascere e diffonde l'idea di uguaglianza.

Le Chiese universali, dai più considerate elementi patologici e disgregatori, sono comunque il sostegno occulto con cui, sulle rovine di una civiltà disgregata, può nascere una civiltà nuova, figlia della precedente: un esempio è fornito dalla fine dell'Impero Romano, sfruttando le cui istituzioni i barbari che da tempo premevano sui confini e soprattutto avendo come guida e modello vivo la Chiesa Cattolica, nata in seno all'Impero, diedero vita alla civiltà occidentale. Le civiltà da una parte si presentano come preludi, tanto che le Chiese debbono molto della loro architettura concettuale ed organizzativa alle civiltà di partenza, ma anche come regressioni, quando riusano invece, in modo non creativo, ma schematico e semplicemente mutandone il contesto semantico d'uso, i termini tecnici rielaborati creativamente dalle chiese (ad esempio la secolarizzazione di concetti teologici): da questo punto di vista Toynbee legge ed indaga le fratture e il progressivo distacco fra la civiltà occidentale e la Chiesa cattolica dalla quale ha pure tratto origine.

Dopo aver analizzato le cosiddette “Età eroiche”, cioè quella in cui la morte di una civiltà ha lasciato il campo libero a orde barbariche (proletariati esterni) che poi creeranno sulla base di una religione universale (creata dal proletariato interno) una civiltà nuova, si passa ad un'altra parte dell'opera: quella dei contatti fra le civiltà nello spazio e nel tempo, che costituisce una vera e propria filosofia degli incontri-scontri fra i popoli e della conflittualità insita nel loro relazionarsi; per di più questa parte dell'opera segnala un ulteriore elemento di trascendenza del ciclo vitale delle civiltà perché la loro spinta ad uscire da sé lascia dei segni nelle altre, generando comunque, pur in un stimolo reattivo, delle eredità che rimangono al di là della loro morte. Lo studio si concentra, in un procedimento a ritroso: 1) i contatti fra il moderno occidente e la Russia, il corpo principale della cristianità ortodossa, il mondo indù, il mondo islamico, gli ebrei, l'estremo oriente, le civiltà americane indigene: siccome la caratteristica del moderno occidente è quella della classe media, anche le altre hanno cercato di costruire, spesso artificialmente e dall'alto una classe media, che però spesso è diventa una classe rivoluzionaria che si volta contro il potere centrale che l'aveva creata 2) i contatti fra fra l'occidente medievale nel caso delle Crociate, poi con l'aria siriaca e la cristianità greco-ortodossa 3) incontri con la civiltà ellenica post-alessandrina e prealessandrina: è questo una delle parti su cui Toynbee insiste maggiormente, istituendo un amplissimo ventaglio di analogie, che spazia in tutti i campi, fra la diffusione della cultura ellenica in questa fase e l'espansione dell'Occidente nel Cinquecento, grazie alle quali intravvede somiglianze e differenze, ma soprattutto gli consente di tentare una profezia sull'Occidentalizzazione del mondo.  Ora riesprimendo con una proporzione l'idea, civiltà ellenica: resto delle civiltà = civiltà occidentale: resto del mondo; siccome il primo è un processo compiuto, il secondo incompiuto il paragone consente sulla base del primo di prevedere il compimento del secondo (molte sono le analogie, metodiche come di contenuto con lo stesso Spengler). Questo discorso per altro viene ripreso in molte altre opere di Toynbee, come Civiltà al paragone o Il mondo e l'Occidente.

Comincia qui una lunga disamina delle grandi guerre e degli incontri-scontri fra “est” e “ovest” a partire dall'assalto dell'impero Achemenita sulla Grecia per arrivare fino al ventesimo secolo, alla reazione opposta all'imperialismo occidentale dai popoli non-occidentali. Prima vengono considerate le vittorie che non conducono alla eliminazione completa dell'avversario o alla sua sottomissione. Dal punto di vista del vincitore: i mezzi con cui si vince una guerra anziché essere smantellati per tornare alla situazione precedente vengono invece mantenuti e addirittura ingranditi, sia perché si tende a sopravvalutare la vittoria (il che però è normale di fronte uno scontro duro e lungo) sia perché a volte quei mezzi da temporanei diventano permanenti (diventa meglio mantenere l'esercito con il bottino di guerra che dover reintegrare i reduci): il risultato è la militarizzazione che però ha esiti finali disastrosi (proprio così avvenne per la società ellenica, che crollò dopo una cinquantina d'anni dopo aver conseguito la vittoria sull'Impero Achemenita invasore, autodistruggendosi nella guerra del Peloponneso. Dal punto di vista del più debole o dello sconfitto: la reazione bellica non è l'unica possibile, la Russia nella guerra fredda rafforzò gli armamenti per una guerra soltanto ideologica; dove la risposta militare si è rivelata impossibile, oppure fu tentata ma fallì, alcuni dei popoli conquistati reagirono mantenendo la loro identità come comunità coltivando intensamente la religione, come gli ebrei all'epoca della diaspora; la risposta più efficace è data dalla creazione di una religione superiore, che mescola elementi dei popoli aggrediti con quelli degli aggressori, come nel caso del cristianesimo o del buddismo mahayana che risultano da sintesi creative di elementi orientali con elementi ellenici e vengono poi adottate dagli stati aggressori, specie nella fase di decadenza quando l'impero si presenta come soluzione ad un'epoca di torbidi e di scontri interni.

Ora le conseguenze di assalti riusciti. La più clamorosa è il prezzo sociale che una civiltà aggressiva deve pagare in caso di vittoria, ovvero l'infiltrazione della cultura straniera delle sue vittime all'interno della propria vita, il che intacca l'unità del corpo sociale; poi si pone il problema dell'integrazione delle vittime, esempi della quale sono la Lega di Delo fra Atene e alleati,  l'impero alessandrino, la doppia cittadinanza sotto l'impero romano, dove la polis greca o la civitas romana vengono estese al contempo snaturandosi in imperi, ma facendo nascere l'idea della cittadinanza universale. Partendo invece dall'effetto dell'assalto sulle vittime Toynbee elabora la teoria della rifrazione: la cultura dell'aggressore come un raggio si rifrange, l'idea di riplasmare una cultura da zero risulta un'illusione; anche l'Occidentalizzazione (ricostruire il mondo a immagine e somiglianza dell'Occidente) o la globalizzazione (un insieme di regole economiche che applicate abbatteranno ogni differenza). Nel vincitore, gonfiato dalla hybris, s'innesca un meccanismo di disumanizzazione dei conquistati visti di volta in volta o come “pagani” (che quindi dovranno convertirsi) o come “barbari” (che quindi devono acquisire i modi di vita dei vincitori per acquisire lo status di uomini a tutti gli effetti) oppure, caso estremo, come “indigeni”, senza possibilità di accedere allo status di uomini o cittadini a pieno diritto se non ribellandosi o convertendo a sua volta i dominatori.

La risposta dei conquistati o delle vittime di una aggressione si gioca in tre modi diversi in rapporto alla cultura dell'aggressore, codificati secondo un paragone con la cultura ebraica: 1) erodianesimo: accettare in toto la cultura dell'aggressore cercando di cancellare la propria (come Erode il Grande, sovrano ellenizzante, o in tempi più recenti Pietro il Grande di Russia, zar che cercò di imporre la cultura europea ai suoi sudditi, o Mustafa Kemal Ataturk che cercò di eliminare l'Islam dalla Turchia moderna); 2) zelotismo: tentativo, sempre fallito, di rifiutare in toto la cultura dell'aggressore rispondendo militarmente con una ideologia basata sulla purezza delle proprie tradizioni, la cui ricostruzione è sempre arbitraria 3) evangelismo: come nell'antico ebraismo, a fronte della sconfitta dei progetti di Erode o degli zeloti si stagliò il cristianesimo, che risultò, certo dopo lunghe vicissitudini, vincente, così si può codificare una terza risposta, quella vincente delle religioni universali, vere sintesi creatrici, tese a superare sia l'accoglienza sie il rifiuto senza riserve, posizioni non realistiche, in una visione dei rapporti fra culture senza barriere fra amico e nemico, combinando la propria religione di partenza con elementi della cultura del vincitore (per esempio nel cristianesimo si combina il monoteismo ebraico con la cultura umanistica greca nella figura di Cristo, che si presenta appunto come Dio-uomo).

Toynbee dedica poi una lunga disamina ai Rinascimenti, ovvero ai contatti fra le civiltà nel tempo, quando una civiltà viva viene a contatto con una già morta, di cui però sopravvivono le idee e la cultura nei libri. Considera dunque i rinascimenti di idee politiche e di istituzioni, di sistemi di legge, di filosofie, di linguaggi e letterature, di arti figurative, di ideali religiosi e istituzioni.

Dopo il volume su “Legge e libertà nella storia”, molto teorico e dedicato anche all'analisi delle posizioni di altri grandi storici sulla questione appunto delle leggi della storia, ma anche di leggi economiche, sociali, oppure dei cicli di guerra e pace in cui sembra riscontrarsi una certa regolarità.

L'ultima parte, prima delle conclusioni, s'intitola “Le prospettive della civiltà occidentale”: questa indagine segna un allontanamento rispetto al punto di vista adottato e mantenuto durante tutto il lavoro, cioè di trattare le civiltà conosciute in modo sinottico. Il mutamento è giustificato dal fatto che la società occidentale finora è l'unica che sopravvive senza dare manifesti segni di dissoluzione; che sotto certi aspetti si era ormai estesa in tutto il mondo e che le sue speranze stavano in un mondo “in via di occidentalizzazione”. Anche se l'oggi sembra dare qualche segno di tramonto della supremazia occidentale e una reazione delle altre culture.

L'analisi precedente sui collassi e le dissoluzioni delle civiltà può gettare una certa luce e soprattutto la storia della civiltà greco-romana, le sue soluzioni di integrazione delle altre culture e le reazioni che quelle hanno costruito (per esempio la dialettica di erodianesimo-zelotismo-evangelismo). Il militarismo e la guerra, ma anche la costruzione di imperi universali si pongono come potenti illusioni di immortalità ma che però risultano essere le cause di caduta delle civiltà. L'Occidente sembra proprio su questa via ma ha saputo però produrre elementi che vanno in senso contrario: l'abolizione della schiavitù, lo sviluppo della democrazie e dell'istruzione. Però l'Occidente presenta una divisione infausta fra minoranza dominante, proletariati interni e esterni, che è la situazione tipica delle fasi di decadenza, ma ha anche ottenuto successi considerevoli nell'affrontare i problemi della diversità dei proletariati del mondo in via di occidentalizzazione. Toynbee analizza infine i problemi della tecnologia, riprendendo la teoria della rifrazione culturale, ma anche della lotta di classe.

In conclusione le civiltà sono prove, tentativi di ovviare a dei problemi, nessuna definitiva perché i problemi si rinnovano e nessuna soluzione può essere definitiva. Esse muoiono suicide, quando non sono più capaci di rispondere a delle sfide che la situazione storica lancia loro. Unicamente quando non sono in grado di mobilitare risorse fresche, di inventare nuove vie d'uscita dalle difficoltà, allora la condanna è sicura. Esse si sfaldano, si disintegrano oppure ristagnano, si mummificano, si sclerotizzano, perdono in energia e elasticità. Ma il paradigma “sfida-risposta”, non va confuso con quello comportamentistico “stimolo-risposta”. Non si tratta qui di reagire semplicemente agli stimoli, ma di andare al di là delle situazioni di partenza, di immaginare soluzioni non contenute nei termini dati. Lo stesso concetto di mimesi è collegato a quello di modello, poiché si imita sempre un modello e spesso in difetto, in maniera meccanica, non creativa, ma i modelli di volta in volta devono essere riformulati, plasmati di nuovo.

 

 

Il soggetto della storia e una storia senza centro: il policentrismo delle civiltà e il metodo analogico

 

Il soggetto della storia è plurale: le civiltà. Esse non hanno un centro da cui la loro storia si diparte e dove converge, sia esso spirituale (la libertà) o geografico (l'Occidente) o una cultura (il cristianesimo occidentale). La visione della storia secondo il paradigma delle civiltà si presenta come riedizione di Voltaire (Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni), ma ancora più radicale, perché tende a rompere con l'eurocentrismo verso cui tenderebbe il progresso. Non essendoci una linea precisa della storia, gli eventi delle varie civiltà non si possono disporre l'uno dopo l'altro in una sequenza di epoche, dato che fra ogni civiltà c'è una frattura: esse possono essere contemporanee ed entrare in rapporto fra loro, ma il loro modo di dar forma alle cose, a livello spirituale come materiale, è diverso e le sospende in una sorta di incomunicabilità; possono succedersi come la greco-romana o l'occidentale, ma soltanto con una frattura in mezzo che le separa profondamente, per cui anche le riedizioni di forme antiche, come la democrazia ad esempio, sono poi profondamente diverse. La rottura del continuum rende ragione però della possibilità di paragonare fra loro le varie civiltà.

Il relativismo diventa il fondamento delle comparazioni: le civiltà non si succedono su una linea temporale ma sono sincroniche e dunque possono essere comparate, anzi l'analogia diventa il modo in cui possono essere conosciute, perché istituendo paragoni posso mettere a fuoco le caratteristiche dell'una o dell'altra. L'una mi fa vedere meglio l'altra.

Pur in questa visione relativista, rimane una questione aperta: il rapporto fra la civiltà greco-romana e l'Occidente e il loro rapporto con le altre. L'Occidente è erede della civiltà ellenica o, per dirla con Toynbee, è una civiltà affiliata, che sorge sulla fase di disintegrazione dell'altra, quando il mondo ellenico si scinde appunto in un impero (minoranza dominante), una chiesa (proletariato interno), dei popoli considerati barbari (proletariato esterno)? L'una e l'altra sembrano avere come caratteristiche peculiari la tensione universale, che le porta ad uscire dal proprio ambito geografico per estendere il proprio modo di vita alle altre civiltà, anzi a tutto il mondo conosciuto. Non solo sembra esserci un rapporto privilegiato fra le due ma sembra correre anche una somiglianza non superficiale.

Spengler paragona l'attuale momento dell'Occidente all'antico cesarismo, pensando di poter prevedere appunto il crollo dell'Occidente sulla stessa base del mondo antico.

Toynbee attribuisce al mondo antico tre caratteristiche: 1) la storia greco romana è una storia conclusa, di cui si conoscono gli esiti finali 2) costituisce una materia dominabile perché risulta da una selezione equilibrata di documenti 3) fornisce una visione ecumenica, universale piuttosto che particolaristica e regionale, perché è una unione di vari popoli. Per di più greci e romani fanno parte della stessa civiltà, detta appunto ellenica, perché gli uni continuano gli altri. Prendendo coscienza di questa analogia, Toynbee infatti studia a fondo i contatti fra le civiltà, la psicologia degli incontri e degli scontri, ponendo al centro appunto la civiltà ellenica (greco-romana) e quella occidentale e la loro tensione all'unificazione del mondo nel tentativo di costruire una civiltà unica. 

 

 

L'Occidente e il mondo greco-romano

 

Dunque dopo aver capito se e come è possibile questo relativismo delle civiltà, si presenta un'altra questione, che sembra diventare centrale, ovvero quella della preminenza della civiltà greco-romana  fra quelle antiche e di quella Occidentale fra le moderne. Sono vari i punti in gioco: 1) continuità fra Grecia e Roma (che Toynbee chiama con un termine unico civiltà ellenica) 2) analogia o eredità fra mondo ellenico e occidentale 3) l'una nel mondo antico, l'altra nel moderno si pongono come civiltà universali, che tendono a unificare il mondo, quindi superando la spaccatura fra le civiltà. 4) soprattutto il mondo ellenico in Toynbee diventa anche il modello di comparazione delle civiltà: da una parte, su un piano potremmo dire gnoseologico e soggettivo, perché i vari elementi sopra descritti (genesi, sviluppo, decadenza, morte, poi la scissione in impero, chiesa, pressione dall'esterno di barbari, da cui poi si genera una “civiltà affiliata”, poi lo studio del suo protendersi all'esterno sia con la diffusione di modelli culturali sia con l'imposizione armata) configurano un modello epistemologico, non categoriale e fisso, ma processuale, dinamico con cui studiare tutte le civiltà ma anche e soprattutto quella civiltà che tende a superare questa spaccatura sia culturale che politica nel tentativo di fondare un'unica civiltà mondiale; dall'altra su un piano più oggettivo, perché molte altre civiltà nella storia hanno eletto quella ellenica come modello di riferimento, da quella occidentale (compresa da un certo punto in poi anche quella americana), in vari modi e fasi, a quella bizantina, a quella russa.

Fin dalle origini e quindi dalle fondamenta la civiltà ellenica ha posto i germi del proprio futuro: 1) una identità non basata su un elemento fisico come una terra definita o una lingua. “Come definire la civiltà ellenica, se non è possibile circoscriverla in una particolare regione, né identificarla con una lingua particolare? La sua essenza non era geografica o linguistica, ma sociale e culturale; era un caratteristico sistema di vita realizzato in un'istituzione capitale, la “città-stato”: chiunque si acclimatasse al modo di vivere delle città-stato elleniche, era considerato Elleno, qualunque fosse la sua origine e l'ambiente da cui proveniva” (Toynbee, Il mondo ellenico). La sfida infatti a cui i Greci devono far fronte è doppia: un ambiente ristretto, ma proteso verso il mare e l'anarchia nella convivenza fra loro, fra popoli della montagna e della pianura. Per ovviare a entrambi si mettono assieme (sinecismo) e costruiscono una costellazione di città-stato e organizzano la colonizzazione di altri territori, sfruttando il mare. La risposta a questa sfida denota il carattere specifico ellenico: quello di essere un modello aperto, non identificabile fisicamente (quindi potenzialmente universale?), esportabile tramite il mare, quindi espansiva (quindi potenzialmente mondiale?), basato però su una istituzione particolaristica, la polis appunto.

La città-stato non è però una creazione originale ellenica (se ne trovano testimonianze in tutte le civiltà coeve), originale è semmai la specifica declinazione che i greci le conferiscono, ovvero il culto dell'uomo. La stessa religione greca oscilla fra il culto dell'uomo (comunque sentito come insufficiente, basti pensare alla hybris) e il culto del potere collettivo(e qui fra polis - ovvero delle divinità protettrici della polis, ma anche della antiche famiglie che hanno operato il sinecismo -  e l'altra grande prospettiva collettiva, l'impero) ma anche fra queste due e la religione naturale tradizionale (nella natura e nella famiglia si rivede, a mo' di simbolo, il mistero della morte e della rinascita); infine fra la religione naturale e quella olimpica, aristocratica ed eroica, meno legata alla famiglia, dove ad essere adorato è l'uomo singolo, visto come signore rispetto agli altri. (Secondo Toynbee la soluzione di queste contraddizioni si avrà con l'ellenismo, ovvero quando il mondo greco entrerà in contatto con altre religioni, specialmente il giudaismo e il buddismo. Dall'incontro fra giudaismo-religione trascendente, nuova per i greci- e il culto ellenico dell'uomo sorge il cristianesimo, dove divinità e uomo si mescolano in una sintesi nuova; dalla mescolanza di buddismo-religione dell'abbandono totale del mondo, nuova per i greci- e visione greca del mondo sorge il buddismo mahayana, religione dell'uscita e del ritorno nel mondo, basata sulla compassione per l'uomo. All'analisi approfondita di tutti questi aspetti Toynbee dedica la una monografia  tradotta in italiano col titolo Storia e religione).

Altro elemento caratterizzante è la stretta connessione fra guerra e civiltà, ma anche fra queste e l'ingiustizia sociale: certamente le guerra è un aspetto di tutte le civiltà, ma nel caso greco (poi anche romano) pare che essa sia fortemente legata al processo di civilizzazione. Le sfide originarie erano rappresentate dalla severità dell'ambiente, fertile ma molto ristretto, e dall'anarchia della convivenza, lascito della primitiva Völkerwanderung (momenti che Toynbee studia a fondo nel libro Some Problems of Greek History). “La vittoria degli abitanti della pianura su quelli della montagna era stata ottenuta con la forza delle armi, e la guerra – il procedimento mediante il quale si era compiuto il primo passo nell'aurora della civiltà ellenica – divenne, al pari della città-stato un'istituzione fondamentale della vita ellenica. Questo precoce connubio della guerra con la civiltà fu nella storia dell'Ellade ancora più infausto perché l'ordine nuovo, contrariamente a quello antico, si basava su di un gran numero di centri locali politicamente indipendenti l'uno dall'altro e perciò più facili a venire in conflitto fra loro” (Toynbee, Il mondo ellenico). Grazie alla guerra e alla città-stato vengono risolte le sfide originarie, ma anche le seguenti. Comincia qui l'intreccio di vari elementi caratterizzanti la civiltà greca: il culto dell'uomo, la città-stato, la guerra, l'identità culturale e sociale, non fisica, la spinta all'espansione. Dunque la cittadinanza si presenta come soluzione al problema del conflitto fra varie comunità con mentalità diverse e diversi interessi: organi fissi e rappresentanti al posto del conflitto fra comunità che appunto operano il sinecismo. Questo comporta comunque una ingiustizia sociale, sia perché si creano delle gerarchie, sia perché a fronte di alcuni che hanno diritti ve ne sono altri esclusi. Il cittadino per di più è colui che è in grado, economicamente e per capacità militari, di difendere la città. La guerra verrà usata come mezzo per risolvere però i problemi legati all'espansione coloniale, ma anche i problemi fra greci (basti pensare alla tremenda guerra del Peloponneso, un vero e proprio conflitto totale che non esclude nessun greco, Sicilia compresa). Sparta, la città egemone della prima fase della classicità, fa della guerra il perno della sua visione del mondo, delle sue istituzioni, delle sue manifestazioni culturali: disciplina ferrea, competizioni, sottomissione, senso della gerarchia, sobrietà, coesione basata sullo spirito di corpo (Toynbee dedica un vasta sezione, di circa 240 pagine, di Some Problems of Greek History a “rise and decline of Sparta”). L'espansione marittima che aveva risolto alcuni problemi della prima ora viene però arrestata dalla reazione dei concorrenti, in particolare fenici ed etruschi; i fenici in particolare accettano l'unificazione sotto Cartagine e si trovano alle spalle non più un impero ostile come quello babilonese ma uno che lo coopta tramite accordi nel proprio sistema come quello persiano. Il freno all'espansione spinge la tensione verso l'interno. La contemporanea invenzione della moneta e della falange induce una rivoluzione sociale: con la prima nasce e si potenzia l'economia di scambio (grazie anche alle rotte marittime) che sostituisce gradatamente il sistema autarchico; con la seconda anche i contadini entrano nelle fila dell'esercito. L'indebitamento dei contadini parallelamente alla loro crescita d'importanza spinge verso soluzioni dittatoriali, dove la massa si appoggia a una figura di riferimento per superare l'aristocrazia oligarchica. Soltanto Sparta ne rimane esente perché nel suo sistema v'era già uguaglianza agricola-militare-civile. Mentre Sparta cerca di frenare la rivoluzione facendosi garante dell'alleanza fra la vecchia aristocrazia egemone nelle poleis e il nuovo ceto commerciante, Atene grazie a Solone si rifonda sul patto fra opliti contadini e ceti nullatenenti, ovvero grazie alla democrazia, che diventa via via più radicale. Si gettano le basi del bipolarismo Sparta-Atene, che segna i due più importanti eventi successivi, le guerre persiane e la guerra del Peloponneso, ma anche la mancata unificazione politica fra greci e l'aumento della conflittualità sia interna che verso l'esterno. Atene si pone dapprima come rivale nell'egemonia rispetto a Sparta nella comune difesa dall'aggressione persiana, fondando l'egemonia marittima contro quella terrestre spartana. Terra e mare diventano però anche simboli di due visioni del mondo: da una parte commercio, democrazia, cultura, ricchezza, filosofia, rischio e impresa; dall'altra agricoltura, oligarchia, tradizione, austerità, laconismo, conservazione della proprietà. Entrambe però imperiali, l'una con la Lega del Peloponneso, l'altra con la Lega di Delo (quest'ultima nasce proprio per la difesa contro la Persia, ma imitando il modello persiano della cooptazione e dei rapporti commerciali: “Il tentativo greco di raggiungere un ordinamento politico internazionale fu la cosiddetta Lega di Delo (...). Ed è importante notare, frattanto che la Lega di Delo è organizzata su modello persiano. Questo si vede confrontando gli elementi che lo statista ateniese Aristide  indusse le città liberate ad accettare con quelli (vedi Erodoto, VI, 42) del sistema già imposto alle stesse città dalle autorità persiane, dopo la repressione della così chiamata “Rivolta Jonica”, circa quindici anni prima” - Toynbee, Civiltà al paragone). La dinamica del conflitto ci mostra una caratteristica interessante: la sua capacità di costruire un terreno comune con l'altro proprio mentre ci sentiamo quanto più opposti rispetto a lui e proprio mentre ci stiamo organizzando per eliminarlo. Infatti proprio mentre nasce la grande propaganda del persiano visto come barbaro e come despota, se ne desumono molte delle caratteristiche, proprio quelle più dispotiche (la lega di Delo che nasce su modello persiano appunto); poi proprio mentre nasce lo scontro per l'egemonia greca anti-persiana e quindi Sparta e Atene si percepiscono come opposte (opposizione appunto fra terra e mare), le loro caratteristiche cominciano a somigliarsi  o addirittura a scambiarsi le caratteristiche(“Così, nel giro di trent’anni, la democrazia ateniese si era messa sulla stessa strada del suo predecessore spartiata. Era diventata una “potenza” militare parassita coi propri iloti (gli alleati pagatori di tributi) e perieci (gli alleati ancora privilegiati che contribuivano squadre navali)” - Toynbee, Il mondo ellenico).

Atene però fonda un modello ancor più espansivo e ancor meno radicato alla terra. La Lega di Delo estende la cittadinanza attica ma a prezzo della dominazione imperiale. Per di più dato il nuovo sistema economico non più autarchico le poleis sono diventate economicamente interdipendenti: l'anarchia locale era stata superata con l'instaurazione della città-stato che però aveva lasciato intatta quella fra Greci, che però stavolta cominciava a risultare mortale, data la connessione economica.

La tensione unitaria si compie, ma in ritardo soltanto in epoca ellenistica con Roma, ma l'unità fisica dell'impero è segno di decadenza, come già Toynbee rileva in A Study of History, quando cioè una minoranza creatrice che viene imitata senza imposizione, anche se la mimesi avviene per difetto ed più esteriore che interiore, scade a minoranza dominante, impone il proprio modello perché gli altri ormai sono restii a seguirla. “La rovina della civiltà greco-romana a causa della fallita instaurazione di una legge e di un ordinamento internazionali, in luogo di una internazionale anarchia, occupa la storia per ben quattrocento anni, dal 431 al 31 a. C. Dopo questi secoli di fallimento e di miseria ci fu nella generazione di Augusto una parziale e temporanea ripresa. L'Impero Romano, che in realtà era una lega internazionale di polis greche e di altre città-stato unite fra loro da relazioni culturali, può essere considerato come la tardiva soluzione del problema che la Lega di Delo non aveva saputo risolvere. Ma l'epitaffio dell'Impero Romano è “troppo tardi”. La società greco-romana si era pentita soltanto dopo essersi inflitta ferite mortali con le sue stesse mani. La Pax Romana fu una pace di esaurimento, non fu creativa, e perciò non poté essere duratura. Quella pace e quell'ordine arrivavano con quattro secoli di ritardo. Bisogna studiare la storia dei melanconici quattro secoli intermedi per poter capire che cosa è stato l'impero romano e perché è crollato. La mia conclusione è che occorre guardare a questa storia come a un tutto. Soltanto se vista nella sua completezza, getta una luce sulla nostra odierna situazione nel mondo. E allora, si tratta di una luce, experto crede, sorprendentemente rivelatrice”. (Toynbee, Civiltà al paragone).

Toynbee dunque vede il mondo greco e romano come una civiltà unica, ellenica appunto, il che è comprovato da molte fonti antiche. E insiste a lungo sull'ellenismo, cioè sul periodo di contaminazione culturale, di tentativi di unificazione politica, dell'esportazione di costumi ellenici e dell'importazione di religioni orientali dopo l'impresa di Alessandro Magno, periodo nel quale si colloca anche l'ascesa di Roma. Ad essa Toynbee dedica appunto una massiccia analisi,L'eredità di Annibale, in cui da una parte Roma è vista in rapporto a tutte le civiltà del mondo ellenistico, dal Mediterraneo fino all'India, dall'altra viene studiata la struttura imperiale che sorge in maniera decisiva proprio dopo le guerre puniche.

C'è un'altra somiglianza profonda fra la Grecia e Roma: entrambe non hanno un'identità rigida e definita, nemmeno da un territorio. Ciò che contraddistingue Roma è l'istituto della doppia cittadinanza: più Roma cresce, più si estende la doppia cittadinanza (il processo di completerà con la Constitutio antoniniana del 212 d.C.), il che sembra mostrare che chiunque può diventare cittadino romano, che Roma potenzialmente è estensibile in tutto il mondo. Il problema è dare una conformazione all'estensione, partendo dalla cittadinanza romana che compete alle antiche famiglie, integrando i cittadini di altre città. Si configura col tempo una gamma di status civici, municipi romani (città al di fuori di Roma con diritti simili a quelli romani), città latine, città alleate e soggette, cantoni e zone tribali, che si dispone gerarchicamente sul parametro della maggior o minore prossimità alla cittadinanza piena. La grande visione romana è un mondo di libere città, per cui Roma è soltanto punto di riferimento. La guerra è giusta se difensiva o fatta per portare la civiltà. Dove delle città vengono distrutte si cerca di ricostruirle e fare in mondo che si acquisisca o ri-acquisisca la cultura e l'abitudine civica (Pompeo, anche per evitare che rinascano regni ostili a Roma, riorganizza l'Asia legando alle città alle campagne, creando appunto un insieme di distretti: le campagne imparano la cultura civica e si liberano dal bisogno di avere un re-protettore; Cesare stesso ricostruirà molte città nella Grecia). L'ideale che penetra in Roma (tramite Posidonio prima, Cicerone poi) è quello stoico, per cui c'è un logos originario che ispira tutte le culture e tutte saranno unificate nell'ideale cosmopolitico, in cui il parametro rimane appunto quello del cittadino comunque (cosmo – polis appunto). Rimangono spinose contraddizioni, quella fra l'impero-sudditi e insieme di città, fra guerra e cittadinanza, che esplodono già dopo la grande vittoria su Cartagine. Anche Roma esce definitivamente dall'autarchia, grazie all'immenso patrimonio economico che si trova a gestire. La rivoluzione economica è dovuta all'accresciuta produzione delle campagne (che quindi ormai producono per la vendita) e al commercio (grazie al controllo delle rotte commerciali principali). Ma si aprono tre grossi problemi: 1) la campagna dopo le guerre puniche passa nelle mani dello Stato, che la riorganizza lasciandola a nuovi ricchi (commercianti che si sono arricchiti con le guerre) o alla classe senatoriale; nascono dunque latifondi che lavorano la terra con schiavi, il che spinge i piccoli proprietari verso la disoccupazione 2) questa massa rurale, che va perdendo le sue prerogative, tende a riguadagnarle con l'impegno bellico: infatti il nuovo impero ha continuo bisogno di difendere i confini e la coscrizione viene fatta soprattutto presso i contadini, che legano sempre più le loro sorti, con la speranza di riconquistare la piena cittadinanza, o ai vari “signori della guerra” (Silla, Mario, Pompeo, Cesare) o a “rivoluzionari” che si battono per la distribuzione della terra (Tiberio e Caio Gracco) 3) queste varie figure tendono sempre più a fondare il loro consenso in maniera carismatica, quindi tendono a mantenere la situazione nella quale hanno costruito il loro potere; i cittadini pongono invece le loro speranze non più nelle vecchie istituzioni e abitudini civiche ma o nelle figure rivoluzionarie o nella guerra.

La classe dirigente romana cerca di amministrare un impero senza un esercito professionista e senza una burocrazia professionista, rimanendo legata alle vecchie istituzioni. Così qualcuno, l'homo novus Mario, comincia a reclutare l'esercito fra i cittadini che hanno perso le terre e che quindi erano esentati dal servizio militare obbligatorio. “Così l'esercito romano fu trasformato da una “associazione” di proprietari terrieri in un “sindacato” di proprietari spossessati dei loro beni e in cerca di nuovi poderi. E questo, a sua volta, portò come conseguenza la trasformazione dei comandanti militari in capipartito politici che compravano l'appoggio delle truppe per combattere i propri rivali, promettendo ai soldati lotti di terre espropriate in Italia, come ricompensa per le vittorie riportate sui propri concittadini” (Toynbee, Il mondo ellenico).

La vittoria contro Cartagine genera le guerre civili fra romani (dato che l'espansione, pur resa necessaria da una mera difesa, aveva fatto saltare gli equilibri interni), le guerre sociali fra romani e alleati (alleati che si rivoltano pretendendo la piena cittadinanza) e le guerre servili fra romani e schiavi.  L'architettura delle polis legate a una polis di riferimento sembra esplodere. E' nel mondo ebraico che si profila la novità: alla reazione nazionalistica e violenta si comincia a intravedere in una setta eretica, quella cristiana, una reazione universale e pacifica.

Si apre quella che Toynbee chiama l'Età dell'agonia e che Spengler definisce invece degli Stati in lotta. Essa trova soluzione con Augusto ed è la soluzione del principato. Ma la pax augusta è appunto soltanto il ritardo di un crollo. La linfa del mondo ellenico era stata la città-stato, la cui struttura è ben chiarita ad esempio da Aristotele nella Politica: il cittadino è colui che partecipa attivamente, quindi creativamente alla vita comunitaria, e quindi 1) ha una proprietà privata 2) si dedica alla vita politica 3) alla difesa della città 4) ai riti religiosi; quanto al governo il migliore è la costituzione media o mista, una democrazia su base oligarchica. Questo circolo virtuoso di ingredienti si spezza nel momento in cui questa condizione tende a estendersi e a svilupparsi al di fuori dei confini (sulla limitatezza geografica della polis è ancora Aristotele a ragguagliarci). Il nuovo ordine augusteo rimane rivoluzionario, per due motivi: 1) le figure plenipotenziarie secondo la costituzione romana potevano essere elette soltanto in casi di emergenza e dovevano essere temporanee: il fatto che diventino durature sembra significare che il principato è visto come “stato d'eccezione permanente” 2) si continua con la vecchia costituzione, tanto che non c'è nemmeno una regola fissa per l'elezione dell'imperatore. La sua funzione è tutto sommato negativa, nel senso che porta pace e sicurezza, blocca le possibilità di conflitto ma lascia in piedi formalmente le antiche istituzioni, la vita cittadina va morendo, l'unità impressa a quel mondo dilaniato non gli restituisce slancio, l'armonia di attività, quella sintesi di ingredienti presentata da Aristotele vien meno.

Nel sistema augusteo la religione civica è superata dalla figura del re salvatore (Divo Cesare); la polis dallo stato mondiale; il cittadino che decide e amministra dalla burocrazia professionale; il cittadino combattente dall'esercito di professione. Si approfondisce la frattura fra minoranza dominante, proletariato interno (tutti coloro che chiedono parità di diritti) ed esterno (l'esercito posto ai confini tende a mescolarsi con le popolazioni indigene, queste invece tendono a imparare il modo di combattere romano, per poi usarlo contro Roma stessa, per di più l'esercito diventa sempre più decisivo nell'elezione degli imperatori). Cresce la tensione fra città e campagna, fra le città e la burocrazia, fra la burocrazia e l'esercito: il circolo virtuoso dell'antica polis diventa un circolo vizioso. Dopo la grande crisi del terzo secolo gli imperatori illirici cercano una svolta: Diocleziano potenzia la burocrazia, Costantino accetta il cristianesimo.

“La forza d'attrazione del cristianesimo riuniva in sé quella delle altre religioni rivali. Il Dio dei cristiani era l'unico onnipotente vero Dio del giudaismo e dello zoroastrismo; e, nel devoto timore da lui ispirato, la divinità poteva apparire quasi inaccessibile. Tuttavia per i cristiani, il Dio ebraico della giustizia era anche il Padre amoroso, e nel Figlio il Padre porgeva la mano ai suoi devoti nella persona di Gesù. Come un bodhisattva, il Figlio era il salvatore che sacrifica se stesso; ma il suo sacrificio era più meraviglioso. Per amore delle sue creature Per amore delle sue creature Dio si era spogliato della sua divina potenza e beatitudine per farsi uomo in Gesù e affrontare la morte per torture dei criminali. Come i miti martiri di Sparta e di Roma, il re Agide e l'aristocratico Tiberio Gracco, Gesù aveva dato la vita per il suo popolo senza ricorrere alla forza neppure per difendersi. Ma, al contrario dei due rappresentanti della classe dominante ellenica, Gesù era nato dal popolo e la sua gente era l'umanità intera. Come Agide e Tiberio e il re degli schiavi Trifone e il gladiatore ribelle Spartaco era stato condannato a morte; ma come l'assassinato dio della fertilità, Osiride-Addone-Attis-Tammuz, aveva vinto la morte ritornando alla vita (...). Come Augusto, Alessandro e i faraoni, Gesù era figlio di un Dio concepito da una madre umana; ma il Padre celeste di Gesù non faceva parte di un pantheon: era l'unico vero Dio; e Gesù stesso era Dio, e Gesù stesso era Dio, unico e vero, in quell'aspetto della divinità il cui nome è amore. Al pari di Mitra, aveva vinto i bassi istinti della natura resistendo dapprima alla tentazione di una carriera politica come leader del proletariato, e poi alla tentazione maggiore di cedere sgomento davanti alla crocifissione. Come Hadad, il dio della tempesta dolicheno, sarebbe ritornato nella sua potenza, cavalcando le nubi. E per tutto il tempo egli rimaneva anche l'Eterna Ragione Creatrice (il Logos), in cui gli intellettuali ellenici, dai tempi di Anassagora, riconoscevano e riverivano la realtà ultima dietro l'apparenza fenomenica dell'universo. L'ineffabile aspetto di Dio, incarnato nella figura di Gesù, dava al cristianesimo una forza propulsiva che da sola sarebbe bastata a trionfare sulle religioni rivali. Ma la madre terrena di Gesù, Maria, stava di riserva, in attesa del suo tempo per prendere il posto di Iside  e Cibele come Gran Madre di Dio (Theotokos). E le tombe dei martiri cristiani non avrebbero tardato a prendere il posto di quelle degli eroi ellenici. Gli eroi erano personaggi di leggenda, o, se appartenevano alla storia, erano poco edificanti figure di guerrieri barbari dell'età preellenica di anarchia. I martiri erano uomini e donne comuni dell'età presente, che avevano dato la vita per testimoniare la propria fede cristiana” (Toynbee, Il mondo ellenico).

Mentre nel mondo ellenico la minoranza dominante (non più creativa) continuava a elogiare i vecchi modelli senza però trovare in essi reale fonte d'ispirazione per rispondere alle nuove sfide, i cristiani invece cercano nella cultura ellenica nuovo alimento: usano la lingua greca o latina, esprimono il contenuto della loro fede con i termini della filosofia greca, specialmente neoplatonico, prendono spunto dalle istituzioni imperiali.

L'impero poi prendendo la via di Bisanzio cambia profondamente i suoi connotati (a questo Toynbee dedica la corposa monografia Costantino Porfirogenito e il suo mondo). La spaccatura fra due mondi, praticamente due imperi, rende ancor più profondo il senso di decadenza. Ormai l'impero orientale ha costruito un modo di vita profondamente diverso da quello ellenico, quello occidentale crolla, ma portando in eredità la cultura ellenica, quello che il cristianesimo selezionerà: ma questo sarà poi stimolo per altre rinascite.

L'analogia fra l'oggi e l'antichità, fra l'Occidente e il mondo greco-romano rimane dunque non soltanto una prospettiva metodologica ma anche il fondamento di una possibile prognosi sul tramonto dell'Occidente e lo scontro di civiltà.

 

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