TURGOT
INDICE
INTRODUZIONE
APPROFONDIMENTO
Anne Robert Jacques Turgot, barone di Laulne (1727-1781), fu un noto uomo
di stato ed economista di notevole levatura, oltre che filosofo. Legandosi al circolo dei philosophes, prese parte alla stesura dell'Encyclopédie; fu uno dei massimi esponenti della cosiddetta “fisiocrazia” (la dottrina secondo cui i processi socio-economici quali la produzione, la circolazione e la distribuzione delle merci sono ritmati dall’ordine della natura). Nel 1761 venne nominato intendente di Limoges, carica che mantenne fino al 1774 quando, dopo essere stato segretario di stato alla Marina, divenne controllore generale delle finanze del regno. Il suo programma politico, improntato a un graduale riformismo economico, prevedeva una riduzione delle spese belliche, l'abolizione della ferme générale e la libertà di commercio. Nell'ottobre 1774 decretò la libera circolazione dei grani (estesa, poi, anche ad altre derrate). Tuttavia, un cattivo raccolto provocò il rincaro del pane e una serie di rivolte note come la "guerra delle farine". Inviso ai grandi finanzieri e ai privilegiati, fu costretto a dimettersi (1776). Fra le sue opere vanno ricordate le Riflessioni sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze (1766).
Molti lo ricordano solo come grande economista e politico e ben pochi come filosofo. Turgot è il vero inventore della dottrina del progresso: e non solo con delle pagine tra le più interessanti di tutta la letteratura filosofica settecentesca (Ludovico Geymonat nella sua monumentale Storia del pensiero scientifico e filosofico, gli dà lo spazio che si merita) ma con le azioni, cioè l'applicazione delle sue teorie, applicate già nel 1761, quando il giovane e geniale funzionario fu nominato intendente a Limoges, dove non solo formulò
la sua teoria (oggi nota come “teoria del progresso”) ma la applicò
ottenendo dei grandi risultati, suscitando l'attenzione a Parigi, dove fu
chiamato da Luigi XVI prima a fare il segretario
di Stato della marina, poi a fare il segretario generale delle finanze del
regno. A tal proposito, è significativa l’importanza che Turgot attribuisce alla storia: essa è il luogo privilegiato per la conoscenza dell’uomo. La storia è diversa dalla natura, perché al contrario di essa non si riproduce in modo sempre uguale. Essa è opera dell’uomo e per questo nella storia c’è il progresso verso una sempre maggiore perfezione. Questo è il cardine della filosofia della storia di Turgot: il progresso come meta a cui inarrestabilmente tende il genere umano.
“La storia universale abbraccia pertanto la considerazione dei progressi successivi del genere umano, e l’esame particolare delle cause che vi hanno contribuito. Essa comprende cioè i primi inizi dell’umanità, la formazione e l’incontro delle nazioni, l’origine e le trasformazioni dei governi, i progressi delle lingue, della fisica, della morale, dei costumi, delle scienze e delle arti, le rivoluzioni per cui gli imperi sono succeduti agli imperi, le nazioni alle nazioni, le religioni alle religioni: in questi mutamenti il genere umano rimane sempre lo stesso, come l’acqua del mare nelle tempeste, e procede sempre verso la propria perfezione. Scoprire l’influenza delle cause generali e necessarie, delle cause particolari e delle azioni libere dei grandi uomini, ed il rapporto di tutti questi elementi con la costituzione stessa dell’uomo, mostrare le energie e la meccanica delle cause morali attraverso i loro effetti — ecco che cosa rappresenta la storia agli occhi di un filosofo”.
Il giovane re Luigi XVI era ben cosciente del valore di Turgot, ed era anche
cosciente che bisognava dare una drastica svolta a tutta la politica economica,
e a quella delle finanze dello stato. E per prima cosa bisognava eliminare
i parassiti delle finanze dello stato: gli appaltatori che riscuotevano le
imposte in regime di monopolio.
Ma l'opera di Turgot, appena iniziata, prima fu fortemente contrastata dalla casta di rapaci sovrintendenti delle finanze, poi dai perenni parassiti
di corte, ed infine pur messo al vertice, fu cacciato dagli aristocratici
nel 1776 (da notare che Luigi XVI, che non era certo un’aquila,
fu l'unico ad essere d'accordo con le sue idee).
Nominato ministro Controllore Generale delle Finanze, Turgot abolisce le dogane interne del commercio dei grani e cerca di stabilire una libertà nel commercio e nell'industria; applica insomma il
“liberismo economico”, sopprimendo nelle grandi città le corporazioni
che soffocavano alcuni settori dell'economia, ed eliminando le strozzature
doganali che spesso esistevano anche nei piccoli possedimenti di piccoli nobili,
che impedivano (con pesanti pedaggi) la circolazione delle merci fra
grandi territori a maggior vocazione mercantilistica. E fu Turgot (e non la Rivoluzione, nè Napoleone) ad abolire con un decreto
le corvèe feudali e il servaggio. Né dimentichiamo che l'economista Adam Smith fu particolarmente influenzato
dalle sue teorie, utilizzandole nella sua celebre opera Ricchezza delle nazioni (1776).
Per risanare le finanze statali, Turgot crea l'Imposta Fondiaria Unica. Ma
già all'inizio di questa riforma, egli incontra delle serie opposizioni all’interno dei ceti privilegiati, la nobiltà e il clero. Sono del resto loro a detenere
la maggior parte dei terreni, e quindi ad essere colpiti dalla riforma. Buona
parte di loro hanno il diffuso privilegio di non pagare le tasse o pagarne
poche, mentre il clero ne è del tutto esente.
Ma soprattutto Turgot cerca di riprendere in mano le attività dei sovraintendenti,
degli appaltatori, che ormai da quasi un secolo non sono stati più sostituiti,
anche se una norma regia di Luigi XIV del 1681 stabiliva la sostituzione ogni sei anni.
Fu quindi subito inviso ai grandi finanzieri e ai privilegiati.
Poi quando propose l'abolizione della fermè general (Fermiers generaux),
fu poi costretto a dimettersi. La Francia, fin dal 1681, era stata messa in mano agli appaltatori. Da tempo questi erano una vera piaga della Francia, con il lassismo di corte
Una piaga perché non solo rimasero sempre gli stessi, ma resero ereditaria
anche la loro carica; fino a costituire una potente lobby finanziaria, che
riscuoteva le imposte in regime di monopolio, e che si prendeva anche il lusso
di versare in ritardo di anni all'erario le somme incassate. Anzi, con gli
stessi denari ricevuti in pagamento facevano prestiti alla corona a tassi
di interesse che arrivavano al 30/40%, indebitando così esponenzialmente lo
stato; interessi sugli interessi.
Estirpare queste lobby all'esterno, o i loschi avventurieri e avventuriere
all'interno delle corte, non era facile. Dentro c'erano cavalieri e madame
serventi meschine, ma c'erano anche quelli che
tramavano e istigavano dentro la stessa corte dove mangiavano
e si sollazzavano e alla corte dovevano il loro
tenore di vita. Dopo la
grave crisi causata da un disastroso raccolto, Turgot fu licenziato; i nemici trovarono un pretesto
per dare le colpe tutte a Turgot e alle sue teorie del libero commercio.
Solo un autoritario sovrano con una buona milizia e buoni comandanti ai suoi
ordini poteva applicare i metodi drastici. Ma Luigi XVI non era uno di questi,
era un brav'uomo, generoso, pio e modesto, perfino operoso in cento mestieri;
ma queste erano qualità apprezzabili in un uomo comune, deprecabili in un sovrano.