MIGUEL DE UNAMUNO

A cura di Giorgia Baldin


INDICE
VITA, OPERE E PENSIERO
ANEDDOTI

VITA, OPERE E PENSIERO

Di famiglia borghese e cattolica, Miguel de Unamuno nasce a Bilbao il 29 settembre 1864, e qui frequenta la scuola primaria e secondaria. Tre anni più tardi muore la sorella Maria Jesusa e due anni più tardi la sorella Maria Mercedes, all'età di appena un anno, a cui seguirà il padre, nel 1870, quando Unamuno aveva sei anni. La sua casa era un focolare femminile che, in un modo o nell'altro influenzò molto il suo comportamento. A dieci anni assiste all'assedio della sua città durante la seconda guerra carlista. A soli venti anni (nella Spagna di allora gli studi universitari duravano solo tre anni) è dottore in lingua basca e si dedica per alcuni anni all'insegnamento privato nella sua città natale. Nel 1891, anno del suo matrimonio con Concha Lizàrraga, donna di cui era innamorato sin da bambino, viene assunto come professore di greco all'Università di Salamanca, dopo aver vinto un concorso a cui si preparò per tutto l'inverno. In questa città visse fino alla morte, a parte la parentesi forzata o volontaria del suo esilio. Nel 1897 soffre una profonda crisi religiosa: momento cruciale della sua vita, fungerà da spartiacque nel suo pensiero e nella sua produzione letteraria. Descritta da Unamuno stesso come una " scarica fulminante " in una notte, il giorno seguente si recò nel convento dei frati domenicani di Salamanca, dove rimase tre giorni dedito alla lettura di Blaise Pascal. Seguirono quindi molte letture religiose, soprattutto di natura protestante, che alimenteranno sempre più il suo pensiero antidogmatico e anticlericale. Questa profonda crisi, introdusse nel suo pensiero quella che sarà la sua caratteristica principale: l' agonìa . Unamuno scriverà nel 1907: " la mia religione è cercare la verità nella vita e la vita nella verità […]; la mia religione è un lottare incessante con il mistero ". Nel 1901 viene eletto rettore dell'Università di Salamanca, carica da cui verrà destituito nel 1914 dal ministro dell'Istruzione Pubblica (per ragioni politiche) pur conservando la cattedra fino al 1924, anno del suo arresto a causa dei suoi attacchi al re Alfonso XIII e al dittatore Primo de Rivera, che aveva assunto il potere a seguito di un colpo di stato nell'anno precedente. Portato al confino nelle Canarie (isola di Fuerteventura), evade alla volta di Parigi e poi di Hendaye, sulla costa basca, città in cui divise il suo volontario esilio. Con la caduta della dittatura, nel 1930 torna a Salamanca e gli viene restituita la cattedra. Lo stesso anno, scrive Antonio Machado su Unamuno politico:

" è la figura più alta dell'attuale politica spagnola […] è un uomo orgoglioso di esserlo, che parla agli altri uomini in un linguaggio essenzialmente umano. Si dirà che questa non è politica. Io credo che è la più originale. […] Non basta invocare la cittadinanza. E' un concetto pagano e già superato per la storia. Un cittadino può essere un uomo libero che vive sopra una massa di schiavi. L'ultima grande rivoluzione politica non invocò i diritti del cittadino; proclamò i diritti dell'uomo. Perché lo si dimentica tanto frequentemente? Unamuno non lo scordò mai. Ma Unamuno pensa che l'uomo può malamente invocare i suoi diritti senza una previa coscienza della sua umanità. L'ingente opera politica di Unamuno consiste nell'illuminare questa coscienza, con la sua parola e con il suo esempio, nelle viscere del suo popolo ".

Il 1931 è l'anno della proclamazione della Repubblica, ed Unamuno è nominato deputato. Nel 1936 scoppia la guerra civile spagnola e il filosofo non nasconde la sua scelta franchista. Muore il 31 dicembre dello stesso anno, sentendo passare sotto la sua finestra le truppe naziste. Così lo commemora Ortega y Gasset: " Unamuno è già da sempre in compagnia della morte, la sua perenne amica-nemica. L'intera sua vita, tutta la sua filosofia, sono state, come quelle di Spinoza, una 'meditatio mortis'. Oggi una ispirazione del genere trionfa dappertutto, ma bisogna dire che fu Unamuno ad esserne il precursore". Tra le sue opere meritano di essere menzionate: " En torno al casticismo " (1902), " La vita di don Chisciotte e Sancio " (1905), " La mia religione ed altri saggi " (1910), " Il sentimento tragico della vita " (1913), " Nebbia " (1914), " Agonia del cristianesimo " (1925), " San Manuel Bueno " (1933). La filosofia unamuniana parte dall'uomo (" l'uomo in carne ed ossa, che nasce, soffre e muore ") e in questo rivela saldi legami con l'esistenzialismo.. E' l'uomo concreto ed esistente, l'uomo vivente, soprattutto, " il soggetto e il supremo oggetto di tutta la filosofia ", perché il vivere è ciò che più importa: per questo si filosofa per vivere. Non si tratta, dunque, di ragione pura, di dogmatismo sistematico, per il motivo che Unamuno pone ragione e vita in due piani opposti su cui è necessario decidere. O si razionalizza la realtà, e in questo caso la si devitalizza, vista la sua linfatica prospettività; oppure la si vive irrazionalmente. Perché la realtà è vita, esiste, è dinamica e difficilmente imbrigliabile entro la morsa oggettivizzante di una ragione che astrae. In questo senso Unamuno ribalta la sentenza hegeliana: si legge nel " Sentimento tragico della vita " che " tutto ciò che è vitale è irrazionale, mentre tutto ciò che è razionale è antivitale ". Si tratta non di meno di una chiara presa di posizione contro le definizioni teoretiche e le concettualizzazioni, che vogliono fissare ciò che " è assolutamente instabile, assolutamente individuale ". Quindi la scienza, figlia della ragione, cosa può dire sui nostri dubbi, sui nostri più profondi bisogni e turbamenti? Cosa può dire sul senso autentico della vita individuale e sull'angoscia? La scienza è un cimitero di idee. Come bene afferma R.M. Albérès, infatti, il pensiero, la ragione e l'intelletto sono troppo ristretti per com-prendere totalmente tutto ciò che vogliono abbracciare; non per questo Unamuno rinunciò ad essi: li rese 'tragici' e 'agonistici', vale a dire, secondo l' etimologia greca, 'in lotta' . Non si pensa, insomma, solo con la testa, ma con il corpo tutto: per questo il pensatore spagnolo oppone il conoscere per conoscere al sentimentalismo agonico e tragico della vita. E in questo senso Unamuno è romantico. Ma è anche nel filone esistenzialista , alla stregua di Kierkegaard, di cui lesse le pagine e di cui si dichiarò "fratello", perché " in perpetua disperazione interiore ". La ragione, fabbricatrice di certezze schematiche, deve perciò essere vista nella sua limitatezza, nella sua finitezza; solamente se l'uomo, individualmente, si consapevolizza e accetta i limiti del proprio intelletto, se riesce a rendersi conto che molte realtà oltrepassano le capacità intellettive umane, allora l'uomo si troverà in lotta contro le arroganti pretese dell'intelletto e lottando metterà un peso alla ragione, perché non si stacchi da terra oltre al necessario e oltre il necessario. Unamuno sembra tornare agli esiti filosofici di Cusano e alla "dotta ignoranza" come consapevolezza della sproporzione, dell'alterità insita tra la mente umana e la verità assoluta, tra il finito dell'uomo e l'infinito a cui si anela. Non è possibile raggiungere la coincidenza. E se fosse possibile sarebbe solo un traguardo povero, alla San Bonaventura, perché al di là dell'assoluto astratto, perdiamo il prospettivismo del concreto, in cui peraltro viviamo. Unamuno, dunque, è diffidente nei confronti dei sistemi filosofici, in linea con il pensiero filosofico spagnolo, per esempio di Ortega y Gasset o di Maria Zambrano, per citare solo il XX secolo. In effetti, i nostri desideri, i nostri affetti, i nostri timori, non provengono dalla ragione, ma sono a posteriori, così come ogni altra dottrina filosofica. Persino dietro la scienza si nasconde la fede nella ragione, e " la fede nella ragione è destinata ad apparire, sul piano razionale, tanto insostenibile quanto qualsiasi altra fede ". L'esistenza dell'uomo, la realtà tutta, è contraddittoria: le lotte, soprattutto, sono le viscere ( " entran?as ") della vita stessa: " la vita è lotta ", lotta come agonìa greca. La nostra esistenza vitale è edificata su una lotta (" lucha ") tra il cervello e il cuore, tra la ragione e la fede. Unamuno vuole costruire con la fede ciò che ha distrutto con la ragione, di qui il suo tragicismo , che si radica in un abbraccio tra deismo sentimentale e scetticismo razionale. Ma un abbraccio, osserva il francescano Miguel Oromì, che non è " di pace e di concordia, ma di lotta disperata, da cui procede il dubbio, non metodico, ma passionale, vitale, fondato sulla disperazione sentimentale e lo scetticismo razionale; è l'eterno conflitto tra la ragione e il sentimento, la scienza e la vita ". Un ruolo importante nel sentimento tragico della vita è giocato dall'abisso, nel cui fondo si è lacerati dall'angoscia e non si trovano sicurezze, certezze: " tutto è nell'aria…la certezza assoluta e il dubbio assoluto non sono ugualmente vietate. Galleggiamo in un luogo incerto tra due estremi, come tra l'essere e il nulla ". Ma Unamuno non vuole arrivare ad un estremo, non vuole acquietarsi ma preferisce avvicinarsi senza giungere alla meta: è un continuo affannoso tendere che non trova esaurimento, perché la pace e l'appagamento, per lui, sono la morte. Torna dunque la lotta come cifra di vita, come sintesi dinamica entro cui muoversi e trovar respiro, in una vitale ricerca. Molto spazio è dedicato dal filosofo spagnolo alla figura di don Chisciotte. Secondo Unamuno, don Chisciotte è una figura mitica positiva per la Spagna. La cavalcata contro i mulini a vento non è un gesto di follia, anzi:

" aveva ragione il Cavaliere: la paura, e solo la paura, faceva vedere a Sancio, e fa vedere a noi semplici mortali, mulini a vento nei prepotenti giganti che seminano il male sulla terra. Quei mulini macinavano pane, e di questo pane mangiavano gli uomini induriti nella cecità. Oggi non ci appaiono più come mulini, ma come locomotrici, turbine, piroscafi a vapore, automobili […] mitragliatrici […] ma cospirano per il medesimo male. La paura, e solo la paura sanciopanzesca, ci ispira culto e venerazione per il vapore e l'elettricità […] ci fa cadere in ginocchio davanti ai prepotenti giganti della meccanica e della chimica, a implorare misericordia ".

Don Chisciotte, divenne folle " unicamente per maturità di spirito ". Il don Chisciotte di Unamuno è lo stesso Unamuno che si scaglia contro il gigantismo del nozionismo , del dogmatismo, della ragione pura che crea sistemi che si arrogano il potere di contenere una verità universale. I libri cavallereschi contro le pretese del razionalismo supersemplificatorio, che in realtà non arricchisce la vita, ma la riempie di formule astratte inservibili. Don Chisciotte è l'uomo che si scaglia contro " la peste del buon senso che ci tiene tutti soffocati e compressi ". Contro i vantaggi di un progresso non solo tecnologico, ma anche intellettualistico-nozionistico, Unamuno preferisce di gran lunga l'ignoranza, che " è più che scienza, è saggezza ". Proprio perché così estremamente antisistematico e rivolto all'individuo in tutta la sua singolarità e concretezza esistenziale, canta e ricorda la vita reale della gente, che va a sbattere non solo contro ogni nazionalismo di sorta, ma anche contro la visione che della Spagna hanno intellettuali e politici. Loro vedono un popolo a tinta unica, una macchia indifferente e non vanno oltre, non entrano nella diversità di ogni singolo spagnolo, che si alza al levar del sole e compie il suo " compito sicuro e silenzioso, quotidiano ed eterno ". Non vi è l'idea della Spagna: a Unamuno interessa il singolo, che esula ogni tentativo di generalizzazione. E' tuttora ancora viva la polemica sul caso religioso di Unamuno. C'è chi lo ritiene un ateo (Antonio Sànchez Barbudo); chi lo vede come un razionalista luterano intriso di romanticismo kierkegaardiano, perché alla ricerca di un Dio immanente e non trascendente, un Dio dentro l'uomo (Hernàn Benitez). Ma è certo che il Dio di Unamuno è un Dio che parla al cuore , la sua è una cristologia poetica che non rientra nella tradizionale teologia religiosa o filosofica. Al contrario del razionalismo teologico tomista, l'esistenza di Dio, per il nostro filosofo, non è provabile con una prova razionale a posteriori, tanto meno aprioristica. La prova dell'esistenza di Dio è data dalla nostra istintiva volontà di sopravvivenza, dall'incapacità di rassegnarsi di fronte alla morte, dal desiderio di immortalità. Credere è creare ciò che vogliamo: " la fede crea, in una certa maniera, il suo soggetto. E la fede in Dio consiste nel creare Dio; come è Dio che ci dà la fede in Lui, così è Dio stesso che si sta creando di continuo in noi ". Il sentimento tragico, la lotta, arriva fino a Dio stesso: Dio stesso soffre, ma " soffre in me e io soffro in Lui ", questa è l'angoscia religiosa. Del resto la sofferenza, l'angoscia della morte, la passione per la vita è un costitutivo della vita del singolo. E' ineludibile il problema di Dio, non è ammissibile un atteggiamento agnostico, non si può fermarsi a dire " non so. E' vero, forse non potrò mai sapere, ma voglio sapere. Lo voglio, e questo mi basta! ": la tensione mai spenta compare in ogni tratto del pensiero unamuniano. La fede di cui ci parla, non ha niente a che vedere con la grazia divina, in questo ambito la convinzione metafisica fondamentale di Unamuno, se di metafisica si può parlare, è il potere dell'immaginazione: è la fede che crea il suo oggetto, per desiderio e volontà di immortalità. Dio è il suo dialogante, ma un aneddoto della sua vita, può forse evidenziare meglio il suo rapporto non solo con Dio, ma con la vita stessa, cifra della sua filosofia: si sporge guardando il fondo del pozzo e urla Dio, aspettando che l'eco restituisca la parola-soggetto di tutta la sua vita: "Io".

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