VICTOR COUSIN



Victor Cousin (28 novembre 1792 - 13 gennaio 1867) era un filosofo francese. Figlio di un orologiaio, nacque a Parigi, nel quartiere Saint-Antoine. All’età di dieci anni fu mandato nella scuola secondaria del luogo, il Lycée Charlemagne, dove condusse gli studi fino al diciottesimo anno d’età. Il lycée era collegato all’università e quando Cousin lasciò l’istruzione secondaria fu “incoronato” nell’antica sala della Sorbona per l’orazione latina da lui lì pronunciata in occasione del concorso generale tra colleghi di studi. La preparazione classica del liceo lo rese decisamente incline alle materie letterarie. Era già noto tra i suoi compagni per la sua conoscenza del Greco. Dal liceo passò alla Scuola Normale di Parigi, dove Pierre Laromiguière stava allora tenendo lezioni di filosofia. Nella seconda prefazione ai Fragments philosophiques [Frammenti filosofici], nei quali egli dichiara candidamente quali furono le varie influenze filosofiche della sua vita, Cousin parla del senso di gratitudine suscitato dal ricordo del giorno del 18.., quando ascoltò per la prima volta Laromiguière. “Quel giorno decise la mia intera vita”. Laromiguière insegnava la filosofia di John Locke e di Etienne Bonnot de Condillac, felicemente modificata in qualche punto, con una chiarezza ed una grazia che, almeno in apparenza, sembravano rimuovere le difficoltà, e con un’aria di affascinante bonomia che faceva breccia e soggiogava.” Cousin fu assegnato a tenere lezioni di filosofia, ed ottenne velocemente la carica di “Maestro di congresso” (maître de conférences) all’interno della scuola. Il secondo grande impulso filosofico della sua vita fu l’insegnamento di Pierre Paul Royer-Collard. Questo insegnante, ci racconta, “grazie alla severità della sua logica, alla gravità e al peso delle sue parole, mi fece volgere gradualmente, e non senza resistenze, dal sentiero battuto di Condillac al cammino che è da allora divenuto così agevole, ma che era allora doloroso e imbattuto: quello della filosofia scozzese”. Tra 1l 1815 1 il 1816 Cousin raggiunse la posizione di assistente di Royer-Collard nella cattedra di storia della filosofia moderna della facoltà di Lettere. Un altro pensatore che lo influenzò in questo suo primo periodo fu Maine de Biran, a cui Cousin guardava come all’ineguagliato osservatore psicologico della Francia contemporanea. Questi uomini esercitarono una forte influenza tanto nel metodo quanto nella sostanza del pensiero filosofico di Cousin. Egli attribuisce a Laromiguière la lezione di scomposizione del pensiero, per quanto la riduzione del pensiero a sensazione fosse inadeguata. Royer-Collard gli insegnò che anche la sensazione è soggetta ad alcune leggi interne e principi che non riesce a spiegare per se stessa, che sono superiori all’analisi ed alle naturali proprietà della mente. De Biran compì uno studio speciale del fenomeno della volontà. Gli insegnò a distinguere, in ogni conoscenza, ed in particolare nei più semplici fatti della coscienza, l’aspetto dell’attività volontaria, quello in cui la nostra personalità è autenticamente rivelata. Fu attraverso questa “tripla disciplina” che il pensiero filosofico di Cousin venne una prima volta sviluppato .Nel 1815 egli iniziò l’insegnamento pubblico della filosofia presso la Scuola Normale e la facoltà di Lettere. Quindi intraprese lo studio del tedesco, lavorò su Immanuel Kant e su F.H. Jacobi e cercò di raggiungere la padronanza della Filosofia della natura di F.W.J. Schelling, dal quale fu in un primo momento profondamente attratto. Simpatizzò per il principio di fede di Jacobi, considerandolo tuttavia arbitrario, dal momento che le sue fondamenta non poggiavano sulla ragione. Nel 1817 andò in Germania ed incontrò G. Hegel ad Heidelberg. L’Enciclopedia del sapere filosofico di Hegel apparve in quello stesso anno, e Cousin ne ebbe una delle prime copie. Per quanto non ritenesse Hegel una persona particolarmente amabile, i due divennero amici. L’anno successivo Cousin andò a Munich, dove incontrò Schelling per la prima volta, e trascorse un mese con lui e Jacobi, ottenendo un maggiore capacità di discernimento della Filosofia della Natura. Le questioni politiche francesi interferirono con la sua carriera. Nei fatti del 1814-1815 si schierò dalla parte dei fedeli al re. Adottò le posizioni del partito conosciuto come “doctrinaire”, il cui leader era Royer-Collard. Successivamente superò le posizioni dello stesso partito collocandosi all’estrema sinistra . A seguito della reazione contro il liberalismo, nel 1821-22, Cousin fu sollevato dai suoi incarichi presso la facoltà di Lettere e presso la Scuola Normale, la scuola stessa venne spazzata via, e Cousin condivise il destino di Guizot, che venne rimosso dalla cattedra di storia. Questo abbandono forzato dell’insegnamento pubblico si rivelò essere in parte una benedizione, infatti si stabilì in Germania con l’intenzione di compiere ulteriori studi filosofici. Ma nel 1824, a Berlino, fu rinchiuso in prigione su richiesta della polizia francese a seguito di alcune sue affermazioni. Liberato dopo sei mesi, fu considerato una persona sospetta dal governo francese per tre anni. Fu durante questo periodo che trovò e sviluppò ciò che vi è di peculiare nella sua dottrina filosofica. Il suo eclettismo, la sua ontologia e la sua filosofia della storia vennero enunciate nei loro principi e nelle loro più importanti caratteristiche nei Fragments philosophiques (Parigi, 1826). La prefazione alla seconda edizione (1833) e alla terza (1838) miravano ad una giustificazione dei suoi principi in opposizione al contemporaneo criticismo. Anche il migliore dei suoi libri più tardi, la Philosophie écossaise [La filosofia scozzese] (quarta ed. 1863); il Du vrai, du beau, et du bien [Del Vero, del bello e del bene] (XII ed. 1872; traduzione inglese, III ed. Edinburgo, 1854) e la Philosophie de Locke [Filosofia di Locke] (IV ed. 1861) erano semplicemente revisioni mature delle letture compiute tra il 1815 ed il 1820. Le letture su Locke furono abbozzate per la prima volta nel 1819 e pienamente sviluppate nel corso del 1829. Durante i sette anni in cui gli fu proibito insegnare, si occupò, oltre che dei frammenti, dell’edizione delle opere di Proclo (6 volumi, 1820-1827) e delle opere di René Descartes (2 volumi, 1826) iniziò inoltre la sua Traduzione di Platone (13 volumi), che occupò il suo tempo libero dal 1825 al 1840). Nei Frammenti possiamo individuare molto distintamente la fusione delle differenti influenze filosofiche grazie alle quali le sue opinioni giunsero finalmente a maturazione. Perché Cousin era un eclettico sia per quanto riguarda il pensiero e l’abito mentale che per quanto concerne il principio e il sistema filosofico. È alla pubblicazione dei Frammenti del 1926 che viene associato il suo primo grande successo che contribuì a migliorare la sua reputazione. Nel 1827 seguì il Corso di Storia della Filosofia (Cours de l’Histoire de la Philosophie). Nel 1828 M. de Vatismenil, ministro della pubblica istruzione nel governo Martignac, richiamò Cousin e Guizot ai loro incarichi professionali all’interno dell’università. I tre anni che seguirono segnarono il periodo del massimo successo delle lezioni di Cousin. Il suo ritorno in cattedra era il simbolo del trionfo delle idee costituzionali e fu accolto con entusiasmo. La sala della Sorbona fu affollata come quella di nessun altro professore dai tempi di Pierre Abelard. L’oratore aveva uno stile potente ed efficace. La sua eloquenza si univa ad un’esposizione speculativa; il suo stile oratorio era chiaro, elegante ed energico. A tutto questo va aggiunto una peculiare capacità di creare un potente climax retorico. La sua filosofia manifestava in maniera sensazionale la tendenza alla ’, e la sua necessità logica di raggruppare i dettagli intorno a principi centrali. Ci fu un’elevazione morale nella sua filosofia dello spirito che fu accolta dai suoi ascoltatori, e sembrò costituire la base per uno sviluppo della letteratura, dell’arte e della politica della nazione superiore a quello della tradizionale filosofia francese. Le sue letture forgiavano discepoli, permeati del suo spirito, più appassionati di quelli di ogni altro professore di filosofia contemporaneo. Giudicato sulla base della sua influenza come insegnante, Cousin occupa un posto di primordine nel gruppo di professori di filosofia che, come Jacobi, Schelling e Dugald Stewart riunivano in sé molteplici doni: capacità speculative ed espositive unite ad una potente immaginazione. La sua opera rinnovò in Francia il gusto per la storia della filosofia che conobbe un successo pari a quello fino ad allora ineguagliato del XVII secolo.Tra coloro che subirono l’influenza di Cousin vi furono Théodore Simon Jouffroy, Jean Philibert Damiron, Garnier, Jules Barthelemy Saint-Hilaire, F Ravaisson-Mollien, Charles de Rémusat, Jules Simon e Adolphe Franck--Jouffroy e Damiron che furono dapprima compagni poi studenti e infine discepoli. Jouffroy rimase fedele ai primi stimoli - quelli francesi e scozzesi - dell’insegnamento di Cousin. Cousin continuò a tenere letture per due anni e mezzo dopo il ritorno in cattedra. Simpatizzante per la Rivoluzione di Luglio, venne immediatamente riconosciuto dal nuovo governo come un amico della libertà nazionale. Scrivendo nel luglio del 1833, Cousin spiega la sua posizione filosofica e politica: “ ebbi il vantaggio di tenere unite per molti anni nel fronte contro di me sia la scuola sensista che quella teologica. Nel 1830 entrambe le scuole scesero in campo nell’arena della politica. Com’era naturale, la scuola sensista diede origine al partito demagogico, e la scuola teologica divenne, altrettanto naturalmente, una forma di assolutismo, salvo prendere in prestito di quando in quando la maschera del demagogo per meglio raggiungere i propri fini, così come in filosofia è grazie allo scetticismo che esso viene garantito per restaurare la teocrazia. D’altro canto, colui che si trovava a combattere ogni principio unico nella scienza era costretto a rifiutare ogni principio unico nella gestione dello stato, e a difendere il principio della rappresentanza del governo”. Il governo fu rapido a rendergli onore. Fu indotto dal governo del quale il suo amico Guizot era capo, a divenire membro del concilio per l’istruzione pubblica e consigliere di Stato, e nel 1932 fu nominato Pari di Francia. Smise di tenere lezioni, ma conservò il titolo di professore di filosofia. Alla fine, accettò la carica di ministro della pubblica istruzione nel 1840 sotto il governo Thiers. Fu inoltre direttore della Scuola Normale, virtualmente rettore dell’università, a partire dal 1840, un membro dell’Istituto (Accademia delle scienza morali e politiche). La sua personalità e la sua posizione ufficiale in questo periodo, gli garantirono un grande potere all’interno dell’università e nei provvedimenti in materia d’educazione nel paese. Infatti, durante i diciassette anni e mezzo di regno di Luigi Filippo, Cousin decise e modellò le tendenze filosofiche ed anche letterarie delle classi colte francesi. L’opera più importante che portò a termine in questo periodo fu l’organizzazione dell’istruzione primaria. Fu agli sforzi di Cousin che la Francia dovette i suoi progressi, per quanto riguarda l’educazione elementare, tra il 1830 e il 1848. La Prussia anzitutto e la Sassonia avevano stabilito il modello nazionale da seguire, e la Francia fu guidata verso il raggiungimento di questa meta da Cousin. Dimentico della calamità nazionale e del personale torto (abbaglio?), Cousin guardava alla Prussia come se essa rappresentasse l’applicazione di un esemplare sistema di educazione nazionale; era convinto che “riportare l’educazione prussiana in Francia avrebbe permesso un più nobile ( sebbene incruento) trionfo rispetto ai trofei di Austerlitz e Jena”. Nell’estate del 1831, su incarico del governo, visitò Francoforte e la Sassonia, e trascorse qualche tempo a Berlino. Il risultato del viaggio fu una serie di rapporti al ministero, in seguito pubblicati sotto il nome di Rapport sur l’état de l’instruction publique dans quelques pays de l’Allemagne et particulièrement in Prusse (da mettere a confronto con De l’instruction publique en Hollands, 1837). I suoi giudizi furono prontamente accettati al suo ritorno in Francia, e poco dopo grazie alla sua influenza, venne approvata una legge per l’istruzione elementare (vedere i suoi Exposés des motifs et projet de loi sur I'instruction primaire, présentes a la chambre des deputes, seance du 2 janvier 1837). Nelle parole dell’Edinburgh Review(luglio 1833), questi documenti “segnano un’ epoca nell’evoluzione dell’educazione nazionale, e sono direttamente riconducibili a risultati importanti, non soltanto per la Francia ma per l’Europa”. Il resoconto fu tradotto in inglese da Mrs Sarah Austin nel 1834. la traduzione venne più volte ristampata negli Stati uniti. Le ‘del New Jersey e del Massachusetts lo distribuivano nelle scuole a spese dello stato. Cousin nota che, tra tutti i riconoscimenti letterari che ricevette, “Nessuno mi ha commosso di più che il titolo di membro straniero dell’Istituto Americano per l’Educazione”. Alle menti illuminate di Guizot e di Thiers sotto il re-cittadino e allo zelo e all’abilità di Cousin nell’opera di organizzazione, la Francia deve il meglio del suo sistema educativo elementare - un aspetto dell’interesse nazionale che era stato trascurato durante la Rivoluzione, l’Impero e la Restaurazione. Durante i primi due anni del regno di Luigi Filippo venne fatto per l’educazione più di quanto fosse stato intrapreso nel corso dell’intera storia della Francia. A difesa degli studi universitari egli si fece coraggiosamente avanti nella Camera dei pari nel 1844, contro il partito clericale da un lato e contro il partito del “livellamento” (levelling), detto Partito “filisteo” dall’altro. I suoi discorsi in questa occasione vennero pubblicati nel trattato Defense de l’université et de la philosophie (1844 e 1845). Questo periodo di vita pubblica dal 1830 al 1848 Cousin lo trascorse, per quanto riguarda la ricerca filosofica, revisionando la sua filosofia precedente, maturandone alcuni aspetti in vista di pubblicazioni o ristampe e compiendo alcune ricerche a proposito del periodo sofistico della filosofia. Nel 1835 apparve De la metaphysique d’Aristote, seguito da un saggio di traduzione dei due primi tomi. Nel 1836, Cours de philosophie professé a la faculté des lettres pendant l'année 1818 e Oeuvres inedits à Abelard. Questo corso di filosofia apparve più tardi con il titolo Du vrai, du beau, et du bien. Dal 1825 al 1840 il Cours de I'histoire de la philosophic, nel 1829 il Manuel de I'histoire de la philosophic de Tennemann, tradotto dal tedesco. Nel 1840-41 abbiamo il Cours d'histoire de la philosophic morale au XVIII' siècle (5 vols.). nel 1841 fu pubblicata la sua edizione delle Oeuvres philosophiques de Maine-de-Biran; nel 1842, le Lessons de philosophie sur Kant (traduzione inglese di AG Henderson, 1854) e, nello stesso anno, Des pensées de Pascal. I Nouveaux fragments furono raccolti insieme e ripubblicati nel 1847. Più tardi, nel 1859, apparve Petri Abaelardi opera. Durante questo periodo Cousin sembra essersi rivolto con fresco interesse a quegli studi letterari abbandonati a favore della speculazione sotto l’influenza di Laromiguière e di Royer-Collard. A questo rinnovato interesse dobbiamo gli studi su uomini e donne di riguardo del XVII secolo. Come risultati del lavoro in questa direzione, abbiamo, accanto al Des pensées de Pascal, 1842, Audes sur les femmes et la societé du XVIIe siècle, del 1853. Ha redatto anche brevi ritratti di Jacqueline Pascal (1844), Madame de Longueville (1853), il marchese de Sable (1854), la duchessa de Chevreuse (1856), Madame de Hautefort (1856). Quando il regno di Luigi Filippo giunse al termine, per l’opposizione del suo stesso governo, con Guizot al Cousin che non condivideva le posizioni di Guizot sulla nuova legge elettorale e sulla politica dei martrimoni con la casata di Spagna, concesse la sua simpatia a Cavaignac e al governo provvisorio. Pubblicò un pamphlet intitolato Giustizia e carità, il cui senso illustrava la moderazione delle sue opinioni politiche. Era, infatti, marcatamente anti-socialista. Ma da questo periodo si ritirò quasi del tutto dalla vita pubblica, e cessò di esercitare la sua personale influenza come aveva fatto negli anni precedenti. Dopo il colpo di stato del 2 dicembre, venne privato della sua posizione di membro permanente del Consilio superiore dell’istruzione pubblica. Si tenne a distanza da Napoleone e dall’Impero. Un decreto del 1852 lo collocava con Guizot e Villemain nella schiera dei professori onorari. Le sue simpatie andavano apparentemente alla monarchia, con alcune garanzie costituzionali. Nel 1853, parlando dei problemi politici della filosofia spirituale che aveva insegnato durante la sua vita, Cousin dice: “Conduce la società umana alla vera repubblica, quel sogno di tutte le anime generose, che nel nostro tempo può solo essere realizzato in Europa e solo dalla monarchia costituzionale”. Durante gli ultimi anni della sua vita, risiedeva in un alloggio alla Sorbona, dove viveva semplicemente e senza ostentazione. L’elemento più notevole del suo appartamento era la sua nobile biblioteca, l’amata collezione di una vita intera. Morì a Cannes il 13 di gennaio del 1867, nel suo sessantacinquesimo anno d’età. Di fronte alla Sorbona, sotto le stanze di lettura della facoltà di Lettere, una lapide riporta un estratto delle sue volontà, in cui Cousin lascia in eredità la sua nobile e beneamata biblioteca alle aule della sua attività professionale e dei suoi trionfi. Si possono individuare tre punti caratteristici della filosofia di Cousin. Si tratta del metodo, dei suoi risultati e dell’applicazione del metodo e dei suoi risultati alla storia - in particolare alla storia della filosofia. Si è soliti definire la sua filosofia “eclettismo”. In realtà essa è eclettica soltanto in un senso secondario e subordinato. Ogni forma di eclettismo che non sia destinata ad autocondannarsi o a divenire inefficace implica infatti alla sua base un sistema di dottrina, un criterio di verità. Altrimenti, come Cousin stesso, nota, scade ad un semplice e cieco sincretismo. E Cousin vide e proclamò a partire dal primo periodo del suo insegnamento filosofico la necessità di un sistema su cui basare il proprio eclettismo. Questa è davvero avanzata come illustrazione o conferma della verità del suo sistema - come prova che i fatti della storia corrispondono alle analisi della coscienza. Questi tre elementi - il metodo, i risultati e la filosofia della storia - sono strettamente connessi tra loro; sono sviluppi che si succedono in una sequenza naturale. Diventano in pratica psicologia, ontologia ed eclettismo nella storia. Prima di tutto, come metodo. Su nessun altro punto Cousin ha insistito tanto come sull’importanza del metodo in filosofia. Quello che egli adotta, e di cui proclama con forza la necessità, è il consueto metodo di osservazione, analisi e induzione. Cousin guarda al metodo del XVIII secolo - il metodo che Descartes intraprese ed abbandonò, che Locke e Condillac applicarono, sebbene in maniera imperfetta, e che Reid e Kant impiegarono con maggiore, sebbene non ancora completo, successo. Cousin insiste nell’affermare che questo è il vero metodo della filosofia applicato alla coscienza, in cui non appaiono che i fatti dell’esperienza. Ma la condizione corretta per l’applicazione del metodo è che esso non ometta attraverso il pregiudizio del sistema, un singolo fatto della coscienza. Se l’autorità della coscienza è valida in un caso, essa deve esserlo sempre. Se non è degna di fede in un caso, allora non si può fare affidamento su di essa in nessuno. I precedenti sistemi hanno sbagliato nel non presentare i fatti della coscienza. Il metodo d’osservazione applicato alla coscienza ci dà la scienza della psicologia. Questa è la sola e corretta base dell’ontologia e della metafisica - la scienza dell’essere - e della filosofia della storia. All’osservazione della coscienza Cousin aggiunge l’induzione come complemento del suo metodo, grazie al quale egli afferma che conclusioni/risultati quali la realtà sono rese necessarie dai dati della coscienza, e regolate/i da certe leggi che si trovano all’interno della coscienza, cioè quelle della ragione. Grazie a questo metodo di osservazione ed induzione così spiegato, la sua filosofia risulta caratterizzata con tratti molto netti, da un lato dalla costruzione deduttiva di nozioni di un sistema assoluto, come quelli rappresentati da Schelling o Hegel, che Cousin considera come basati semplicemente su ipotesi ed astrazione ottenute in maniera illegittima; dall’altro, dal lato di Kant, e in un certo senso, da quello di Sir W. Hamilton, che, nella visione di Cousin, sono limitati alla psicologia e alla semplice conoscenza relativa o fenomenica nello scetticismo nella misura in cui sono coinvolte le grandi realtà dell’ontologia. Ciò che Cousin trova da un punto di vista psicologico nella coscienza individuale, lo trova anche spontaneamente espresso nel senso comune o nell’esperienza universale dell’umanità. Infatti, secondo lui la filosofia ha la funzione di classificare e spiegare le convinzioni e le credenze universali. Ma il senso comune non viene da lui considerato come filosofia, e neanche come lo strumento della filosofia. Esso è semplicemente il materiale sul quale opera il metodo filosofico, ed in armonia con quale devono essere trovati i risultati finali. I tre grandi esiti dell’osservazione psicologica sono: sensibilità, attività o libertà e ragione. Questi tre elementi si differenziano per i caratteri, ma non sono separati nella coscienza. Gli elementi della ragione sono ugualmente necessari e la ragione non è meno indipendente dalla volontà che la sensibilità. I fatti volontari da soli sono impressi negli occhi della coscienza con i caratteri dell’imputabilità e della personalità. La volontà considerata da sola è l’Io. L’io è il cento della sfera intellettuale senza la quale la coscienza è impossibile. Ci troviamo in un mondo strano, tra due ordini di fenomeni che non ci appartengono, che apprendiamo soltanto a partire dalla condizione di considerarci distinti da essi. Inoltre, apprendiamo grazie ad una luce che non viene da noi stessi. Tutta la luce proviene dalla ragione, ed è la ragione che conosce se stessa e la sensibilità che la avvolge, e la volontà che essa obbliga ma non vincola. La coscienza, quindi, è costituita da questi tre elementi inseparabili che si integrano tra loro. La ragione è la base immediata della conoscenza e della coscienza stessa. C’è una peculiarità nella dottrina di Cousin dell’attività o libertà e nella sua dottrina della ragione, che entra profondamente nel suo sistema. Questo elemento è la spontaneità della volontà e della ragione. Questo è il cuore di ciò che c’è di nuovo [errore di battitura nel testo inglese, non si riesce a risalire al termine corretto] nella sua dottrina della conoscenza e dell’essere. Libertà è un termine generico che indica una causa o l’essere dotato di autoattività. Questa è infatti l’ultima causa di se stessa e del proprio sviluppo. La volontà è libera, sebbene sia preceduta dalla capacità di deliberare e dalla determinazione, ad esempio nella riflessione, dal momento che noi siamo sempre consci che anche dopo la determinazione siamo liberi di volere o non volere qualcosa. Ma c’è un tipo primario di atto di volontà che non ha come sua condizione la riflessione, che è completamente libero e spontaneo. Dobbiamo aver voluto,infatti, prima di tutto spontaneamente, altrimenti non potremmo sapere prima della nostra volontà riflessiva, che noi potremmo volere ed agire. La volontà spontanea è libera come quella riflessiva, ma è l’atto che, tra i due, viene prima. Questa visione della libertà del volere è l’unica che si accordi con gli elementi dell’umanità. Questa spiegazione esclude la volontà riflessiva e spiega l’entusiasmo del poeta e dell’artista nell’atto della creazione; spiega anche le azioni comuni degli esseri umani, che sono compiute come una regola spontanea e non dopo una delibera scaturita dalla riflessione. Ma è nella sua dottrina della ragione che si trova il principio peculiare della filosofia di Cousin. La ragione che ci è data dall’osservazione psicologica, la ragione della nostra coscienza, è impersonale nella sua natura. Non la creiamo; la sua caratteristica è esattamente opposta all’individualità; è universale e necessaria. Il riconoscimento dei principi dell’universale e del necessario è il punto essenziale della psicologia. Deve essere posto in prima posizione ed enfatizzato che questi principi esistono e sono impersonali ed assoluti. Il numero di questi principi, la loro numerazione e classificazione, è un punto importante, ma è secondario rispetto al riconoscimento della loro vera natura. Questo era il punto sul quale Kant cadde in errore nella sua analisi, e questa è la verità fondamentale che Cousin crede di aver restituito all’integrità della filosofia grazie al metodo dell’osservazione della coscienza. E come fa ad essere stabilita questa impersonalità o assolutezza della coscienza? La risposta è, in sostanza, che Kant sbagliò nel porre per prima la necessità come criterio di quelle leggi. Ciò le condusse entro la sfera della riflessione, e diede come loro garanzia l’impossibilità di pensarle rovesciate (?) e condusse a considerarle come interamente relative all’intelligenza umana, limitate alla sfera del fenomeno, incapaci di rivelarci la realtà sostanziale necessaria, tuttavia soggettiva. Ma questa prova della necessità è del tutto secondaria e queste leggi non ci sono pertanto garantite. Esse ci sono date, ciascuna e tutte, alla nostra coscienza, in un atto di spontanea appercezione o apprensione, immediatamente, all’istante, in una sfera al di sopra della conoscenza riflessiva, tuttavia ancora all’interno del campo d’azione della ragione. E “tutta la soggettività con tutta la riflessione sfocia nella spontaneità dell’appercezione. La ragione diventa soggettiva in relazione all’io libero e capace di volere. Ma in se stessa è impersonale, non appartiene o a questo o a quell’io non umano; non appartiene neanche all’umanità. Potremmo dire in verità che la natura e l’umanità appartengono ad essa, perché senza le sue leggi entrambe perirebbero”. Ma qual è il numero di queste leggi? Kant, revisionando l’opera di Aristotele in tempi più recenti ha fornito una lista completa delle leggi del pensiero, ma è questa classificazione è arbitraria e può essere legittimamente ridotta. Secondo Cousin, non ci sono che due leggi primarie del pensiero, quella della causalità e quella della sostanza. Da queste procedono naturalmente tutte le altre. Nell’ordine della natura, quella della sostanza è la prima legge e quella della causalità la seconda. Nell’ordine dell’acquisizione della conoscenza umana, la causalità precede la sostanza, o piuttosto in entrambe è presente ciascuna legge, ed esse sono contemporanee all’interno della coscienza. Questi principi della ragione, causa e sostanza, dati quindi psicologicamente, ci permettono di oltrepassare i limiti del relativo e del soggettivo per attingere la realtà assoluta - ci rendono in grado, in breve, di passare dalla psicologia, o scienza della conoscenza, all’ontologia, o scienza dell’essere, queste leggi sono inestricabilmente mescolate all’interno della coscienza con i dati della volontà e della sensazione, con l’attività libera e con l’azione necessaria [nel senso di inevitabile] e l’impressione; esse ci guidano nell’elevarci ad un essere personale, una causa per sé libera e ad una realtà impersonale, un non-io-natura, il mondo della forza che giace fuori di noi. Come riconduco a me stesso l’atto dell’attenzione e della volontà, così non posso fare a meno di far dipendere la sensazione da qualche causa, necessariamente altra che me stesso, cioè da una causa esterna, la cui esistenza è certa per me come la mia stessa esistenza, dal momento che il fenomeno che me la suggerisce è certo come il fenomeno che ha suggerito la mia realtà, ed entrambe sono date l’una nell’altra. Per questo e possibile raggiungere raggiungo un mondo oggettivo ed impersonale di forze che corrisponde alla varietà delle mie sensazioni. La relazione di queste forze o cause tra loro è l’ordine della coscienza. Ma queste due forze, l’io e il non-io, si limitano reciprocamente. Dal momento che la ragione ha appreso questi due fenomeni , attenzione e sensazione simultaneamente, ci conduce a concepire due tipi di assoluto distinti, cause, correlative e reciprocamente limitate, alle quali esse sono correlate. Così dalla nozione di questa limitazione, troviamo che è impossibile non concepire sotto la stessa guida una causa suprema, assoluta e infinita, essa stessa la prima ed ultima causa di tutto. Questo sta all’io e al non-io come questi stanno ai loro propri effetti. Questa causa è autosufficiente, ed è sufficiente per la ragione. Questa è Dio. Esso deve essere concepito entro la nozione di causa, messa in relazione all’umanità e al mondo. È sostanza assoluta soltanto nella misura in cui è causa assoluta, la sua essenza consiste precisamente nel suo potere creativo. Perciò egli crea, e crea secondo necessità. La teodicea di Cousin lo esponeva, come era abbastanza ovvio che fosse, all’accusa di panteismo. Egli la respinge, e la sua risposta potrebbe essere riassunta come segue. Per panteismo si intende propriamente l’elevazione al rango di divinità della legge dei fenomeni, il Dio dell’universo. Ma io distinguo le due cause finite dell’io e del non-io l’una dall’altra ed entrambe dalla causa infinita. Non si tratta di semplici modificazione di questa causa o proprietà, come nel caso di Spinoza - esse sono forze che hanno il loro potere o la loro forza d’azione in se stesse, e questo è sufficiente per la nostra idea di una realtà indipendente finita. Io sostengo questo, e sostengo la relazione di queste forze come effetti rispetto all’ultima causa suprema. Il Dio che io difendo non è né una divinità panteistica né l’unità assoluta dei filosofi di Elea, un essere separato da ogni possibilità di relazione o pluralità, una mera astrazione metafisica. La divinità di cui io asserisco l’esistenza ha la facoltà di creare, è necessariamente creatore. La divinità di Spinoza e degli Eleati è mera sostanza, non una causa in nessun senso. Come per la necessità per la quale Dio esiste nell’agire o nel creare, questa è la più alta forma di libertà, è la libertà della spontaneità, attività senza deliberazione. La sua azione non è il risultato di una lotta tra passione e virtù. Egli è illimitatamente libero, la spontaneità più pura nell’uomo non è che l’ombra della libertà di Dio. Egli agisce liberamente ma non arbitrariamente, e con la consapevolezza di essere in grado di compiere la scelta opposta. Non può decidere o volere come noi. La sua azione spontanea esclude al contempo gli sforzi e le miserie della volontà e l’operazione meccanica della necessità. Gli elementi riscontrati nella coscienza possono anche essere ritrovati nella storia dell’umanità e nella storia della filosofia. Nelle natura esteriore si danno espansioni e contrazioni che corrispondono alla spontaneità e alla riflessione. La natura esterna ancora in contrasto con l’umanità esprime la spontaneità; l’umanità esprime la riflessione. Nella storia dell’uomo l’Est rappresenta lo stadio spontaneo; il mondo Pagano e Cristiano rappresenta lo stadio della riflessione. Questo [concetto] venne in seguito modificato, espanso ed espresso con maggiore pienezza dicendo che l’umanità nel suo sviluppo universale ha attraversato tre momenti fondamentali. In principio, nello stadio della spontaneità, in cui la riflessione non si è ancora sviluppata e l’arte è imperfetta, l’uomo ha pensato soltanto all’immensità che lo circonda. È preoccupato dall’infinito. In seguito, nello stadio della riflessione, la mente è diventata oggetto a se stessa, oggetto cioè della propria riflessione. Essa perciò conosce se stessa esplicitamente o attraverso la riflessione. La sua propria individualità è ora il solo o comunque il supremo elemento. Questo è il momento del finito. Nella terza fase, giunge un’epoca in cui l’io è subordinato. La mente realizza l’esistenza di un altro potere nell’universo. Il finito e l’infinito diventano due reali termini di correlazione nel rapporto di causa ed effetto. Questo è il terzo e più elevato stadio di sviluppo, la relazione del finito e dell’infinito. Poiché la filosofia non è altro che la più elevata espressione dell’umanità, questi tre momenti saranno rappresentati nella sua storia. L’Oriente rappresenta l’infinito, la Grecia l’epoca del finito o della riflessione, l’era moderna lo stadio della relazione o correlazione di infinito e finito. Nell’ambito della teologia, l’idea filosofica dominante di ciascuna fase si traduce rispettivamente in panteismo, politeismo, deismo. In politica abbiamo analoghe corrispondenze con la monarchia, la democrazia e il costituzionalismo. Eclettismo perciò indica l’applicazione del metodo psicologico alla storia della filosofia. Confrontando i vari sistemi coordinati come il sensismo, l’idealismo, lo scetticismo, il misticismo con i fatti della coscienza, si raggiunge la conclusione che “ ogni sistema esprime un ordine di fenomeni ed idee, che è in verità molto reale, ma che non è il solo nella coscienza, e che allo stesso tempo mantiene un posto quasi esclusivo all’interno del sistema. Da ciò segue che ogni sistema non è falso, bensì incompleto, e che riunendo tutti i sistemi incompleti, dovremmo ottenere una filosofia completa, adeguata alla totalità della coscienza.” La filosofia, così perfezionata, non sarebbe un mero aggregato di sistemi, così come si potrebbe stolidamente supporre, ma un’integrazione della verità insita in ogni sistema dopo che ogni elemento falso o incompleto è stato eliminato. Così si configura il sistema a grandi linee. La posizione storica del sistema è da rintracciare nelle sue relazioni con Kant, Schelling e Hegel. Con Cousin l’assoluto come fondamento dell’essere è colto positivamente dall’intelligenza e rende intelligibile tutto il resto. Non è, come per Kant, solo una certa necessità ipotetica o regolativa.

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