WILLIAM WHEWELL
A cura di Guido Marenco
William Whewell fu certamente una delle più
importanti e influenti figure di intellettuale,
filosofo, "polymath", cioè individuo
di vastissimi interessi ed erudizione enciclopedica,
del XIX secolo nel Regno Unito di Gran Bretagna.
Lo testimoniano le opere composte su svariati
argomenti quali la meccanica, la mineralogia,
la geologia, l'astronomia, l'economia politica,
la teologia e, persino, l'architettura.
Fu per lungo tempo Presidente della British
Associastion for the Advancement of Science,
membro della Royal Society e Master del Trinity
College di Cambridge.
La sua importanza in ambito filosofico deriva
dalle sue opere di storia della scienza e
di filosofia della scienza.
Questo scritto si basa in gran parte sulle
note di Laura Snyder reperibili all'indirizzo
, ma sviluppa alcuni punti in modo sicuramente
diverso.
Qualche nota biografica
William Whewell nacque nel 1794 a Lancaster,
primogenito di un mastro-carpentiere.
Di intelligenza precoce, fu ritenuto molto
promettente dal suo parroco che persuase
il padre a fargli proseguire gli studi all'Haversham
Grammar School a Westmoreland.
Nel 1812 entrò al Trinity College e nel 1814
vinse anche un premio per la composizione
del poema epico Boadicea. Nonostante la scoperta della vena letteraria,
non trascurò affatto il lato matematico della
sua formazione, ed, anzi, lo intensificò,
dimostrando di avere una grande attitudine
a questo tipo di studi.
Nel 1825 divenne prete anglicano; nel 1828
ottenne una cattedra in mineralogia, ma fu
solo nel 1838 che divenne Professor of Moral
Philosophy.
Nel 1841 sposò Cordelia Marshall, e poco
dopo fu nominato Master of Trinity College,
su calda raccomandazione del primo ministro
Robert Peel.
A seguito della scomparsa della prima moglie,
si sposò una seconda volta con Lady Affleck.
Morì nel 1866.
Il contesto culturale: tra romanticismo ed
empirismo risorge il criticismo
Per avere idea dell'importanza di Whewell
occorre un rapido colpo d'occhio allo stato
del dibattito filosofico in Inghilterra nei
primi decenni del secolo.
Scrive in proposito Stefano Poggi: «I
mutamenti che lo sviluppo della conoscenza
scientifica nella riflessione filosofica,
nelle "concezioni del mondo" non
mancano di dar luogo, anche in Gran Bretagna,
ad un certo movimento di reazione o, comunque
di conservazione. Viene così rivendicata
l'importanza dell'individualità, della riflessione
interiore. Con Coleridge - e poi, ma ormai
verso la metà del secolo, con Carlyle - prende
consistenza un atteggiamento di pensiero
ormai sensibile ad alcuni motivi della filosofia
dell'idealismo tedesco: una forte ispirazione
non solo idealistica, ma romantica (da ricondurre
assai spesso a Schelling) spinge alla polemica
contro la tematica del "senso comune"
e, più in generale, induce a negare che la
conoscenza scientifica possa assicurare una
reale liberazione dello "spirito".
» ( da Introduzione al Positivismo)
Allo stesso tempo anche la tradizione empirista
trovò nuovo slancio, soprattutto attraverso
John Stuart Mill, il quale non mancò di introdurre
nel dibattito filosofico di quegli anni alcuni
elementi della filosofia comtiana.
Ma in contrasto con queste tendenze, specie
a partire dagli anni '30, si ebbe una riapertura
al pensiero kantiano, soprattutto grazie
a W.H. Hamilton.
Annota ancora Stefano Poggi: « Il criticismo
sembrava fornire strumenti assai potenti
per operare una sorta di "revisione"
dei temi di fondo della tradizione empiristica.
Questa linea di riflessione contraddistinta
anche dall'attenzione per la storia del pensiero
scientifico e filosofico moderno - affrontava
sopratutto i problemi dell'induzione e dell'ipotesi.
Il dibattito apertosi con il Preliminary Discourse di Herschel veniva così ad ampliarsi, in
primo luogo con il contributo di una delle
figure più rappresentative ed attive sul
piano della riorganizzazione degli studi
scientifici in Inghilterra: William Whewell.
Nella sua History of the Inductive Sciences (1837) e ancor più nella Philosophy of Inductive Sciences (1840), Whewell assegnava rilievo particolare
al problema della formulazione delle ipotesi.
» (idem)
La storia delle scienze
Per Whewell fu subito evidente che per portare
alla luce i modelli ed i metodi utilizzati
nelle scienze era fondamentale privilegiare
la ricostruzione storica ed obiettiva delle
scoperte scientifiche.
Lo storico della scienza deve saper trovare
una sintesi, laddove sia possibile, o comunque
trovare quanto vi è di comune a discipline
anche distanti, obbligandosi a rispettare
le eventuali anomalie e discordanze di procedura.
Nel tentare questa sintesi, Whewell scelse
di evidenziare che tutte le scienze si sviluppano
dal confronto tra idee e dati di fatto. Che
era come dire che la tradizione razionalista
(la preminenza delle idee da cui dedurre)
e quella empirista (i fatti da cui indurre),
in filosofia fiere avversarie, solo nella
scienza da un lato, e nel criticismo kantiano
dall'altro, avevano trovato un modo di convivenza
accettabile, se non proprio armonioso.
L'interpretazione dei processi cognitivi
e della conoscenza scientifica in generale
doveva pertanto cominciare dalla constatazione
che esisteva una polarità tra idee (spesso frutto della conoscenza
preesistente individuata da Aristotele) e
dati di fatto dell'esperienza.
"Armato di questo principio - scrive
John Losee - cercò di dimostrare il progresso
di ciascuna scienza ricostruendo la scoperta
dei dati di fatto ad essa pertinenti e la
loro integrazione nel contrasto di idee appropriate.
" (da Filosofia della scienza - Il saggiatore - Milano, 2001)
Idee e dati di fatto: quando un'idea è anche
un dato di fatto
Tutta la conoscenza trae origine da questo
dualismo tra la dimensione oggettiva e la
dimensione soggettiva; Whewell definì questo
dualismo la fondamentale antitesi della conoscenza.
Per Whewell le idee fondamentali non vengono
solo dalle percezioni e dalle osservazioni
del mondo, "non sono una conseguenza
dell'esperienza, ma un risultato della particolare
costituzione ed attività della mente, che
è indipendente da tutte le esperienze nella
sua origine, sebbene costantemente combinata
con l'esperienza nel suo esercizio."
(1858 a, I, p. 91)
Whewell parlò a volte di dati di fatto in
termini di resoconti delle nostre percezioni
di eventi ed oggetti, ma sottolineava anche
che questi resoconti erano solo un tipo di dati di fatto.
Esistevano altri dati di fatto e, per esempio,
mostrò che anche le leggi di Keplero erano
state per Newton dati di fatto. Fu muovendo
da essi che Newton aveva elaborato la propria
teoria. Per Whewell una teoria poteva essere,
dunque, un dato di fatto alla stessa stregua
di un oggetto o di un evento nel momento
stesso in cui serviva da supporto ad un'altra
teoria.
Le idee, dal canto loro, erano per Whewell
sopratutto principi razionali, una sorta
di regole finalizzate al collegamento appropriato
dei dati di fatto. D'accordo con Kant, fu
quindi persuaso che le idee si imponevano
alle sensazioni, e non venivano derivate
da esse.
Ma cosa intendeva, più precisamente, Whewell
per idea?
Questo punto sarebbe da chiarire con maggiore
dovizia di particolari. Per ora dovremo accontentarci
di questo: oltre alle idee intese come nozioni
generali e fondamentali quali quelle di spazio, tempo, causa, numero, Whewell riconobbe l'esistenza di idee elementari
di particolari scienze, quali l'affinità
elettiva in chimica, le forze vitali in biologia
e i tipi naturali in tassonomia. Ma Whewell
si guardò bene dall'elaborare una lista delle
idee elementari. Credeva che esse sarebbero
emerse dallo sviluppo delle singole scienze.
Il contenuto della percezione e la contestualizzazione
dell'evento o dell'oggetto
Per Whewell il dato di fatto puro, separato
da ogni idea, o meglio, da ogni categoria,
non esiste. Spazio, tempo, numero, inquadrano
ogni oggetto ed ogni evento, lo contestualizzano.
Di conseguenza, perfino i dati più elementari
implicano qualcosa che ha il carattere della
teoria. Quando parliamo di fatti, ecco che
voleva dire Whewell, non siamo sempre consapevoli
del modo con il quale le nostre fondamentali
categorie mentali (quelle che rispondono
alle domande: dove, quando, quante volte,
perchè?), leggono la nostra esperienza sensibile.
Ma esse intervengono sempre a priori.
Ovviamente anche le teorie che sono insieme
dati di fatto, vengono contestualizzate.
Quando definiamo un ragionamento generale
come teoria, attribuiamo grandissima attenzione
alle teorie che supportano il ragionamento
stesso e pertanto non ricorriamo a leggi
chimiche se dobbiamo spiegare come si ottiene
il volume di un tronco di cono.
Tuttavia, se la teoria è sempre un'inferenza
conscia, il dato di fatto a volte è un'inferenza
inconscia.
Scriveva in proposito: «...abbiamo
ancora una distinzione intellegibile tra
dato di fatto e teoria, se consideriamo la
teoria un'inferenza conscia, e il dato di
fatto un'inferenza inconscia che prende le
mosse da fenomeni che si presentano ai nostri
sensi. » (da The Philosophy of Inductive Sciences founded
upon their History - Parker - London - 1847)
L'induzione
Un volume della 3° edizione di Philosofy of Inductive Sciences founded upon their History si intitolò Novum Organum Renovatum.
Era evidente, ai limiti della provocazione,
che Whewell aspirava ad un tempo sia a richiamare
l'attenzione su Bacone ed il metodo induttivo,
sia a criticarlo per rinnovarlo. Da quel
che ho capito, anche Whewell considerava
ristretto il concetto di induzione come semplice
enumerazione di istanze. Nell'induzione c'è
un nuovo elemento aggiunto alla combinazione
di istanze, ed esso è il risultato di un atto del pensiero
che con esse si combina.
Whewell definì questa mossa del pensiero colligation, in antitesi a collection, e voleva significare che l'induzione produce
la colligation, ovvero l'operazione capace di selezionare
e tenere insieme un certo numero di fatti
empirici, descrivendoli con una legge generale
in grado di mostrarne le proprietà.
In sostanza Whewell mostrò che l'induzione
è un processo dinamico, e che la spinta proviene
sia dallo stimolo, ciò che attira la nostra
attenzione, sia dal nostro modo interno di
organizzare e combinare in modo appropriato
i dati.
Modelli di scoperta scientifica
Whewell asserì di aver riconosciuto nella
sua ricognizione della storia delle scoperte
uno sviluppo articolato in tre fasi: un preludio, un momento induttivo e un seguito.
Intendeva per preludio la raccolta dei dati,
la loro configurazione e scomposizione, il
chiarimento dei concetti.
Il momento induttivo era concepito da Whewell
come l'applicazione di un certo modello concettuale
ai dati stessi.
Il seguito veniva descritto come integrazione
e consolidamento tra dati e teoria.
E' importante osservare che il preludio per
Whewell non è una qualsiasi fase congetturale,
un guesswork; infatti affermò: « Here is a special
process in the mind, in addition to the mere
observation of facts, which is necessary.
» E ancora: " We infer more than
we see."
Il problema fu dunque trovare le regole con
le quali collegare una classe di fenomeni,
oggetti, eventi, attraverso inferenze appropriate.
Si tratta di un problema delle pertinenze, presentabile come the generalization of the shared property
over the complete class, including its unknown
members, ovvero come l'estensione-generalizzazione
di proprietà condivise di una classe completa
anche ad ai mebri sconosciuti della classe stessa.
Whewell fece riferimento alle procedure newtoniane
come esempio. Newton aveva inglobato nel
suo metodo, come dato di fatto, la teoria
di Keplero sulle ellissi formate dai pianeti
in orbita attorno al sole.
Ma lo stesso Keplero aveva, a sua volta,
sempliicemente esteso le proprietà osservate
nell'orbita di Marte a tutti i membri della
classe pianeti.
Questo tipo di approccio portò Whewell a
rifiutare l'idea di Herschel, secondo la
quale anche ipotesi scientifiche non avanzate
attraverso procedure razionali, potevano
essere confermate da tests. Nel recensire
il Preliminary Discourse on the Study of Natural
Philosophy, Whewell affermò che non è possibile alcuna
verifica di ipotesi non risultanti da un
procedimento induttivo.
Tuttavia, è necessario sottolineare che Whewell
non volle negare con ciò il talento del singolo:
infatti anche se la procedura induttiva è
comune a tutti, solo alcuni sono in possesso
di "quel lampo di genio" in grado
di portare alla formulazione esatta di una
teoria.
John Losee scrive in proposito: « La
principale tesi whewelliana sull'induzione
afferma che il processo della scoperta scientifica
non può essere ridotto a regole. Comunque
Whewell riconosceva che considerazioni di
semplicità, continuità e simmetria venivano
spesso affermate come principi regolativi
nella scelta delle ipotesi. (idem)
La conferma
In questa luce assumeva decisiva importanza
il problema della conferma, che per Whewell, a differenza che per Herschel,
non si pone in termini di falsificazione
della teoria (tutto ciò che la può smentire)
ma di verifica, ovvero tutto ciò che depone a suo favore.
Indubbiamente quello di Whewell potrebbe
sembrare un passo indietro, ma lo è solo
in apparenza perchè mentre Herschel, vedeva
di buon occhio chiunque avanzasse qualsiasi
ipotesi, Whewell si era mostrato molto più
cauto: prima di aprir bocca sincerarsi che
le cose stiano proprio così. In altre parole:
per Whewell era ovvio che qualcosa di simile
alla falsificazione avviene prima che la teoria sia stata resa nota;
con ciò evitiamo brutte figure.
La prudenza dell'induttivo, dunque, era per
Whewell il non plusultra. Ogni nuova teoria
doveva passare una seri di tests deduttivi prima di essere considerata come vera.
Con ciò si intende che se è vero che tutti gli uccelli hanno le ali, allora,
sillogisticamente, deve essere che quello, essendo un uccello, ha le ali. Punto
di non poco conto è che si deduce dalla proprietà
universale riconosciuta, l'avere le ali,
solo che gli uccelli hanno le ali, non l'inverso,
perchè, ad esempio, anche il pistrello ha
le ali, ma non è un uccello.
Ora è evidente che questo tipo di asserzione
non ha particolare bisogno di falsificazione,
ma solo di conferme.
Al contrario: l'asserzione tutti gli animali con le ali sono uccelli potrebbe essere smentita dal fatto che noi
incontreremo un giorno un cavallo alato,
un pipistrello, od anche un volatile rettile
od un pesce volante, o una farfalla. Ed è
questa asserzione azzardata che richiede
falsificazione, cioè tutte le riserve che
riusciamo ad avanzare rispetto alla nostra
asserzione, piuttosto audace ed entusiastica.
I tests deduttivi invocati da Whewell furono
sostanzialemente tre: predizione (prediction),
concordanza (consilience, parola che nemmeno
l'Hazon riporta) e coerenza (coherence)
L'esame della predizione consisteva ovviamente
nel fatto che una teoria deve poter prevedere
i fenomeni. E così spiegava la questione:
« Affinchè il nostro assenso alle ipotesi
implichi che sia tenuta ferma la verità di
particolari istanze, sia che queste appartengano
al passato o al futuro, sia che siano o non
siano accadute, non fa differenza nell'applicabilità
delle regole ad essi. Perchè la regola persista,
essa include tutti i casi (185b, p. 86)
Un esempio di predizione fu l'applicazione
della teoria newtoniana alla scoperta del
pianeta Nettuno (1846). Solo utilizzando
il modello newtoniano fu infatti possibile
stabilire a priori che doveva esistere un pianeta, con quella locazione
e quella massa per spiegare le anomalie dell'orbita
di Urano. Chiunque non avesse confidenza
con la teoria newtoniana, non avrebbe potuto
e non potrebbe che considerare sbalorditiva
e miracolosa la predizione. In realtà essa
era solo il frutto di una deduzione.
La consilience (concordanza) era, secondo
Whewell, un tipo particolare di evidenza
che chiamò jumping together, probabilmente nel senso di superare con
un balzo il limite che recinge una classe
di fatti.
La concordanza consente di collegare fatti,
oggetti ed eventi appartenenti ad un'altra
classe. Ciò è particolarmente significativo
quando la seconda classe di fatti è apparsa
in un primo tempo non collegabile alla prima.
Ad esempio Whewell citò la forza di gravitazione
universale, dalla quale furono inferite le
perturbazioni dei moti planetari, e la processione
degli equinozi (1847, II, p. 66)
Quanto al criterio della coerenza va inteso
subito che Whewell rimarcò la forte differenza
rispetto alla concordanza.
Spiegò così la questione: nel caso di una
teoria vera, essa può essere estesa ulteriormente
e senza modificazioni. Nel caso di una teoria
falsa, questo non può succedere senza modificazioni
ad hoc dell'ipotesi di partenza. Newton non ebbe
difficoltà ad estendere la sua teoria dei
moti planetari e lunari alla classe della tidal activity, cioè alle maree. Al contrario, la teoria
del flogisto in chimica fu seriamente messa
in discussione in quanto inadatta a spiegare
il peso dei corpi.
L'analogia degli affluenti: come Whewell interpretò la storia della scienza
Per Whewell la storia della scienza si presenta
come uno sviluppo evolutivo simile alla confluenza
di affluenti che riforniscono un fiume. Le
scienze non procedono per balzi e rivoluzioni,
ma per integrazioni e correzioni successive.
La sua concezione fu dunque insieme sia selettiva
che cumulativa nel quadro di una visione
di un progresso tranquillo che non quadra esattamente con la storia
vera, caratterizzata da rotture e rivoluzioni.
Per giustificare questa interpretazione singolare,
egli considerò che anche una teoria sbagliata
come quella del flogisto in chimica aveva
svolto un ruolo positivo, stimolando i chimici
a trovare soluzioni più soddisfacenti e complete.
Inoltre questa stessa teoria sbagliata avrebbe
consentito, secondo Whewell, una classificazione
unitaria dei processi di combustione, acidificazione
e respirazione.
Indubbiamente tutto ciò è vero in parte,
ma l'idea del sapere cumulativo pare francamente
piuttosto contestabile. In realtà tutto ciò
che la scienza ha superato, cadde e continua
a cadere spesso e volentieri nel dimenticatoio,
gettando via bambino ed acqua sporca, quindi
anche quelle contestualizzazioni che proprio Whewell aveva tanto care. Ma,
quel che è peggio, è che nel superarsi continuo
della scienza, vanno perduti sia antichi
saperi che non erano semplici credenze o
superstizioni, ma scienza nel vero senso
della parola, ad esempio le proprietà medicinali
delle erbe, e sia piste battute fino ad un
certo punto e poi tralasciate perchè richiedevano
investimenti di tempo e denaro inauditi.
Del resto Whewell, nel suo tempo decisamente
filantropico, popolato da studiosi del tutto
eroici e disinteressati al guadagno (al più
attirati dall'idea di farsi un nome), non
poteva avere ancora chiaro che 1) la scienza
poteva essere usata anche in senso distruttivo;
2) che a decidere cosa studiare e ricercare
sarebbero stati i privati per trarne vantaggi
economici, e i governi per trarne vantaggi
di prestigio, militari e così via.
La verità necessaria
Come scrive D. Oldroyd, dunque, «Whewell
credeva [...] che le tendenze complessive
della ricerca scientifica implicasse un avvicinamento
progressivo alla scoperta della verità. A suo giudizio, la ragione per cui si poteva
aver fiducia nel carattere progressivo della
scienza consisteva nel fatto che di tanto
in tanto era possibile conseguire concordanze
(consiliences) di induzioni che consentivano
di accertare qualche verità. [...] nella
storia della scienza, quelli che inizialmente
erano formule disparate, fatti o teorie isolate,
venivano gradualmente sussunte sotto leggi
e teorie di livello di generalità crescente.
Per esempio, fenomeni in apparenza distinti
e separati come i moti osservati dei pianeti,
le maree e la caduta delle mele dagli alberi
di mele, potevano infine essere spiegati
tutti in riferimento alla teoria newtoniana
della gravitazione universale. »(da
Storia della filosofia della scienza, Il Saggiatore - Milano 1989)
Questa lunga marcia di avvicinamento rappresentava
per Whewell lo stesso scopo della filosofia
della scienza, ovvero la ricerca della verità
necessaria, la quale può essere conosciuta
a priori solo se non si tratta di una verità sintetica.
Su questo piano egli si scostò quindi da
Kant, per il quale 2+3 = 5 era una verità
sintetica a priori.
Il ragionamento di Whewell muoveva dal fatto
che solo la nostra idea di numero, di 2,
di 3, di 5, di addizione, e, aggiungerei
io, di risultato, ci consente di arrivare
alla verità necessaria di 5 come risultato
di 2+3.
Probabilmente Whewell fraintese Kant nel
senso che l'affermazione di verità sintetica
a priori circa una qualsiasi operazione aritmetica
andava intesa come qualcosa che non richiede
verifica empirica, ovvero: noi possiamo sbagliare
i conti, ed è questo che va verificato, ma
non possiamo avere dubbi sul fatto che 2+3
è sempre, e sotto qualsiasi condizione =
5.
Le operazioni matematiche contribuiscono
dunque a costruire un insieme di certezze
su cui contare stabilmente.
Whewell, in un primo tempo, si era convinto,
proprio per i ragionamenti summenzionati,
che il mondo dell'esattezza fosse circoscritto
a quello degli assiomi della matematica,
mentre le leggi della natura godevano di
uno status cognitivo differente. (nel testo
Astronomy and General Physics Considered
with Reference to Natural Theology - Carey, Lea & Blanchard - Philadelphia
1836)
Solo le verità matematiche erano quindi verità
necessarie. Ma poi cambiò opinione, asserendo
che alcune leggi naturali erano verità necessarie.
John Losee spiega così la vicenda: «
Whewell era pronto ad ammettere la natura
paradossale di questa affermazione. Era d'accordo
con Hume che nessun quantitativo di leggi
empiriche, per quanto ingente sia, può dimostrare
che una relazione non possa essere diversa
da quello che è; eppure credeva che certe
leggi scientifiche avevano conseguito lo
status cognitivo di verità necessarie. »
(Losee - idem)
In realtà, si potrebbe dire che Whewell non
era affatto d'accordo con Hume; semplicemente
aveva preso in considerazione il punto di
vista scettico in modo sostanzialmente corretto,
ovvero scorgendo tutto quanto di paradossale
esiste non solo nell'affermare senza dubbio
l'esistenza di leggi causali certe, ma anche
la paradossalità dell'affermazione opposta:
ovvero che le nostre convinzioni sulla causalità
sarebbero solo credenze e abitudini mentali.
Tra questi due estremi non è che esista una
semplicistica via di mezzo: esiste semplicemente
il buon senso di comprendere che un'arma
da taglio calata con violenza sulla carne
viva produce una ferita e che questa è la
causa della ferita. Ora, al di là di questa
semplice ed immediata constatazione della
causa della ferita, si potrebbe anche risalire
alle condizioni di tutto l'universo in quel
determinato istante, si potrebbe richiamare
persino una presunta volontà di Dio circa
la mia ferita, ma tutto ciò che a noi serve
è capire quale mano abbia colpito, perchè
ha colpito, con quale intenzione ha colpito.
Tutto questo è realisticamente comprensibile
ed a questo livello di verità necessaria nessuna mente umana è preclusa.
Whewell, nel tentativo di mostrare quanto
fosse insensata l'estremizzazione di un atteggiamento
scettico, riprese una distinzione kantiana
tra forma e contenuto della conoscenza, estendendola alle leggi
fondamentali della natura.
Rientrava, dunque legittimamente in gioco
l'dea basilare di causa ed il derivato concetto
di causalità.
Scrive Losee: « Secondo Whewell, il
significato dell'idea di causalità si può
riassumere in tre assiomi: 1) nulla avviene
senza una causa; 2) gli effetti sono proprozionali
alle loro cause; e 3) la reazione è uguale
ed opposta all'azione. Spetta all'esperienza,
tuttavia, specificare il contenuto di tali
assiomi. L'esperienza insegna che la materia
bruta non possiede cause interne intrinseche
dell'accelerazione, che le forze sono composte
in un certo modo e che alcune definizioni
di "azione" e "reazione"
sono appropriate. Le leggi del moto di Newton
esprimono queste scoperte. Whewell riteneva
che le leggi newtoniane fornissero le interpretazioni
empiriche adeguate degli assiomi di causalità,
attingendo così allo status di verità necessarie.
» (Losee - idem - riferimento a pp.
245-254 di Philosophy of Inductive Sciences)
Whewell seguì dunque una linea di ragionamento
empirico induttiva ed analitica per dimostrare
il principio delle verità necessarie, ma
al fondo del suo ragionamento stavano anche
considerazioni teologiche, ricavate per via
intuitiva.
Secondo Whewell, infatti, il mondo fu creato
da Dio in modo conforme alle sue "idee
divine".
L'idea di causa, che porta all'assioma "nulla
avviene senza una causa" è un'idea di
questo tipo.
Seguendo Whewell, noi saremmo in grado di
comprendere la struttura della realtà perchè
la nostra scienza tende ad assomigliare alle
idee impiegate da Dio nella creazione del
mondo fisico. Ciò non è casuale: Dio avrebbe
creato le nostre menti ed i nostri sensi
in modo tale da poter comprendere e non per
venire ingannati.
Whewell, in sostanza, era convinto che il
procedere della scienza avrebbe portato a
ravvisare nell'universo un disegno intenzionale,
e dunque la mano di un creatore.
Su questo piano, dunque, si differenziò in
misura notevole dal mainstream del positivismo, reintroducendo teologia
e metafisica, e puntando decisamente a mostrare
che la scienza non solo non smentisce la
teologia, ma condurrà a confermarla.
Questo atteggiamento di gran apertura del teologo Whewell era quanto di meglio si potesse
trovare a quel tempo da parte di un uomo
di fede e ragione.
La filosofia morale
La filosofia morale di Whewell fu criticata
da Stuart Mill perchè questi ne vide un prototipo
dell'etica intuitiva e deduttiva. Mill forzò
certamente la mano in modo plateale asserendo
che l'impostazione di Whewell veniva a giustificare
pratiche come la schiavitù, i matrimoni forzati
e la crudeltà sugli animali. Ciò si spiega
col fatto che la morale di Whewell si fondava
sostanzialmente sul convincimento interiore
profondo e non su ragionamenti utilitaristici
di morale e senso della giustizia derivati
da accordi di cooperazione civile, politica
ed economica.
Ovviamente le due concezioni erano molto
distanti: la morale di Whewell era totalmente
deduttiva; muoveva da un modello assiomatico.
Quella di Mill era induttiva: muoveva da
necessità pratiche, anche se poi finiva col
dedurre diversi principi morali dal più generale
diritto utilitaristico alla felicità.
Probabilmente Whewell trascurò l'aspetto
storico- evolutivo del progresso morale.
In realtà, prima della comparsa di forme
rudimentali di legislazione che, se non altro,
proibissero, all'interno della stessa comunità,
il furto, l'omicidio ed il matrimonio tra
consanguinei, pare assai difficile trovare
nella storia umana un saldo principio morale
da cui derivare assiomaticamente tutti gli
altri.
Forse, si potrebbe dire che le prime disposizioni
legali furono emanate per evitare uno stato
di guerra e tensione permanente all'interno
dello stesso clan. Furono fatte, insomma,
per favorire la convivenza pacifica, limitando
il potere dei forti e dei prepotenti, ed
aumentando il diritto dei deboli.
E dalla necessità pratica di impedire un
regime di violenze e sopraffazioni continue,
si originò un primo nucleo di senso morale.
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