Proprio a questo punto sorge uno dei problemi cruciali del
Tractatus : quello del rapporto tra linguaggio e mondo (o tra linguaggio e fatto). E' per risolvere questo problema che Wittgenstein elabora la sua celebre
teoria raffigurativa del linguaggio. Per comprenderla a fondo, è bene ripetere che uno degli obiettivi del filosofo è di fare a meno della dimensione soggettivo-intenzionale cui una certa tradizione era ricorsa per spiegare il rapporto linguaggio/mondo. Tale rapporto costituiva un problema in quanto richiedeva che fatti ben precisi come i segni linguistici esprimessero altri fatti radicalmente diversi come i fenomeni della realtà. Ora, la soluzione di questo problema attraverso il riferimento a prerogative e funzioni mentali del soggetto appare a Wittgenstein poco verificabile, e tale da sollevare nuove e più complesse difficoltà. E la teoria della raffigurazione costituisce la nuova ed audace risposta wittgensteiniana al problema in questione. Il punto di partenza è, idealmente, il concetto di immagine: il fatto che delle proposizioni possano costituire una "
immagine della realtà " appare sconcertante ed incomprensibile; "
a prima vista la proposizione [quale ad esempio è stampata sulla carta] non sembra un'immagine della realtà della quale tratta " (4.011). Per comprendere come la proposizione riesca di fatto a raffigurare le cose, conviene pensare al fenomeno della proiezione, come fa Wittgenstein stesso. Sappiamo che un oggetto reale, tridimensionale può essere riprodotto proiettivamente secondo una prospettiva formale (geometrica), bidimensionale. Nonostante ogni possibile stilizzazione e deformazione, tale proiezione consente di riconoscere il modello di partenza; esiste dunque una sorta di regola attraverso cui un fatto (la proiezione) riproduce effettivamente e in modo comprensibile un altro fatto diverso. La stessa cosa avviene, sostanzialmente, nell'ambito che interessa a Wittgenstein: il fatto linguistico raffigura, secondo forme e mezzi propri, l'altro e diverso fatto costituito dagli oggetti reali. La proprietà di raffigurare un fatto è attribuita nel
Tractatus in primis alle proposizioni elementari (o atomiche): ma come un'immagine dipinta rappresenta solo un fatto plausibile, che non è necessariamente accaduto, così la proposizione elementare rappresenta solo un fatto possibile ma non necessariamente reale, effettivo. Si tratta allora di verificarla: per Wittgenstein essa sarà vera se il fatto raffigurato sussiste effettivamente, falsa nel caso opposto; mentre "
il senso della proposizione è la sua concordanza o discordanza con le possibilità del sussistere e non sussistere degli stati di cose " (4.2), la sua verità o falsità consiste nell'effettiva esistenza o meno dello "
stato di cose " espresso dalla proposizione stessa (4.25). Per quel che riguarda le proposizioni complesse (o molecolari), poi, che costituiscono la maggior parte delle espressioni linguistiche, la loro verità o falsità dipende per Wittgenstein dalla verità o falsità delle proposizioni elementari che le compongono: secondo la terminologia wittgensteiniana, sono "
funzioni di verità " delle proposizioni elementari costituenti. Secondo la dottrina del significato risalente a Frege (e ripresa da Wittgenstein), solo le proposizioni elementari possono essere significative, ovvero possono essere immagini di fatti (significativo vuole insomma dire ciò, e solo ciò, che raffigura dei fatti); ma accanto a queste proposizioni ne esistono altre che possiedono caratteri molto particolari: le
proposizioni della logica , che non sono immagini e non descrivono fatti. Esse sono, nella terminologia wittgensteiniana, "
tautologie ", nel senso che non hanno alcun significato extra-linguistico, "
non dicono nulla " sul mondo. La loro funzione consiste nell'esprimere e analizzare le proprietà formali che le proposizioni devono avere per eseguire il loro compito raffigurativo: insomma, consiste nell'esame del funzionamento dei simboli e delle parole. Sotto questo profilo, tali proposizioni sono, in sé e per sé, sempre vere, poiché, dice Wittgenstein, solo le proposizioni che descrivono fatti possono essere false. Una delle conseguenze di questa interpretazione delle proposizioni logiche è il rifiuto della concezione realistica della logica, concezione secondo cui le proposizioni sono valide in rapporto ai fatti di questo mondo. A Wittgenstein tale tipo di validità pare debole: in effetti, alla luce dell'interpretazione realistica la logica non enuncerebbe (come vuole il filosofo austriaco) leggi vere per qualsiasi mondo possibile; per corrispondere a quest'ambizione, la logica deve avere a che fare non col mondo, ma con ciò che rende possibile qualsiasi descrizione del mondo. Ora, ciò che consente e realizza tale descrizione è il linguaggio. Solo attraverso il linguaggio le cose che descriviamo assumono volto e sostanza: che ne sarebbe di un mondo (anche ideale) senza un linguaggio che lo dice? E così, il linguaggio governa il mondo (sempre inteso non in un'accezione riduttivamente fisica, ma come l'insieme dei fatti, di tutto ciò che accade): lo governa nel senso che quest'ultimo viene definito solo in rapporto ai caratteri e alle leggi del tramite linguistico. Il che implica che quelle parti di mondo che non possono obbedire (o meglio, corrispondere) a tali caratteri e leggi non possono essere dette, e quindi non esistono dal punto di vista razionale-scientifico.
INDIETRO