Wilhelm Max Wundt
A cura di Alessandro Sangalli
Wilhelm Max Wundt nacque il 16 agosto del 1832. Iniziò a frequentare l’Università di Tubinga nel 1851 e conseguì il Dottorato in Medicina all’Università di Heidelberg nel 1856 (l’anno di nascita di Sigmund Freud). Fu dapprima professore di Fisiologia, poi, a partire dal 1875, professore di Filosofia a Lipsia; si spense nel 1920.
La sua solida educazione scientifica e fisiologica lo portò ad individuare l’origine del comportamento umano nella struttura fisiologica dell’uomo e a studiare i fenomeni psichici prescindendo dall’esistenza di una sostanza spirituale e da ogni concezione mistica della mente come anima.
Nella seconda metà del XIX secolo, la psicologia rientrava più nell’ambito filosofico che in quello empirico-scientifico, e il grande merito di Wundt è proprio quello di aver dato un grande impulso alle ricerche di psicologia scientifica. A Lipsia fondò e diresse il primo Istituto di Psicologia Sperimentale, depurando la psicologia dalle nozioni metafisiche e medievali ed elevandola al livello di una scienza esatta: spesso perciò ci si riferisce a Wundt come al “padre della psicologia sperimentale” o come al “fondatore della psicologia moderna”. Fu anche uno degli iniziatori della cosiddetta psicologia sociale o psicologia dei popoli (Völkerpsychologie), e senza dubbio uno dei maggiori psicologi del suo tempo: il suo istituto fu il precursore dei laboratori psicologici odierni. I suoi Principi di psicologia fisiologica (1874) rivoluzionarono la scienza psichica: essi costituiscono il primo esempio sistematico di quella che fu definita psicologia senz’anima, una psicologia che sceglieva di studiare i fenomeni psichici senza far ricorso ad ipotetiche sostanze spirituali (res cogitans), ma considerandoli in strettissimo rapporto con i fenomeni fisiologici e applicando, fin dove era possibile, i procedimenti del calcolo matematico. Queste sue concezioni furono oggetto di polemica da parte di Henri Bergson nel Saggio sui dati immediati della coscienza del 1889.
Il rivoluzionario approccio di sperimentazione psicologica di Wundt contribuì a fare della psicologia una scienza naturale, soprattutto tramite tecniche fisiologico-sperimentali di laboratorio. Già Theodor Fechner (1801-1887) si era posto il problema di una psicologia sperimentale a base matematica e aveva formulato la cosiddetta “legge psicofisica fondamentale”, che concerneva il rapporto quantitativo tra l’intensità dello stimolo e l’intensità della sensazione da esso prodotta. Wundt estende il metodo sperimentale a tutto il dominio della psicologia, assumendo come presupposto per le sue ricerche il principio del parallelismo psicofisico, secondo il quale gli eventi psichici e gli eventi fisici costituiscono due serie causali indipendenti, che non interferiscono l’una sull’altra, ma che si corrispondono termine a termine (cfr. Spinoza, Etica II.7). Una simile concezione è stata sostenuta anche nel Novecento nell’ambito della filosofia della mente, in particolare dallo studioso americano Donald Davidson.
Wundt guarda alla psicologia come alla parte di un sistema filosofico più ampio nel quale la mente è attività, non più mera sostanza: l’attività psichica basilare è, leibnizianamente, l’appercezione. Ciò che Wundt si propone di fare, grazie alla ricca strumentazione scientifica, è di isolare i fatti psichici elementari (ossia le sensazioni) per poterne così studiare le leggi di connessione (delle quali la più importante è la legge della causalità psichica). Questo procedimento non comporta però un’assimilazione totale delle dinamiche psichiche a quell fisiche, né tanto meno una loro dipendenza dai processi bio-fisiologici. Secondo Wundt, infatti, le leggi della psicologia hanno una natura particolare che le diversifica da quelle della fisica e, in generale, delle altre scienze: inoltre, Wundt propugna la teoria del parallelismo tra mente e corpo, teoria che esclude nel modo più radicale ogni rapporto causale della sfera fisico-biologica sui processi psichici. Ma la psicologia, secondo Wundt, non studia solo fatti, ma anche atti: questi ultimi si distinguono dai primi perché dotati di spontaneità. Nel caso in cui tali atti diventino atti complessi (linguaggio, esperienza estetica, costumi, miti, e così via) diventa possibile studiarli comparativamente descrivendo i loro prodotti oggettivi: ad occuparsene è, per l’appunto, la psicologia dei popoli.
L’alter ego di Wundt negli Stati Uniti fu William James: i due condividevano il progetto di liberare la psicologia da superstizioni, pregiudizi e false credenze. Respingevano ogni elemento metafisico o mistico in psicologia e cercavano di condurre la loro scienza in una prospettiva etica ed evoluzionstica. Sebbene entrambi credenti, erano liberi pensatori in campo religioso, rifiutavano qualsiasi credenza di immortalità personale ed accettavano Dio solo come “energia divina del mondo” o come simbolo dell’unità dell’universo. Wundt, nel Sistema di Filosofia del 1889, arrivò a definire arditamente il cristianesimo “un cumulo di superstizioni”. Rispetto al positivismo, e in particolare rispetto a quello tedesco (che quasi sempre si tradusse in materialismo), Wundt ammette un margine di spontaneità che apre spiragli verso lo spiritualismo.