" Allora mi è tornato in mente che, negli anni trenta, quando il problema fondamentale era quello di vincere il falso storicismo e di svegliare gli animi alla lotta per la libertà, il discorso che si faceva era apparentemente l'opposto, ma in realtà lo stesso, di quello che ancora oggi mi sembra necessario fare qui. Anche allora il problema era quello del rapporto tra il futuro e l'eterno, tra ciò che può cambiare domani e ciò che non può cambiare mai. In una famosa pagina dell'epilogo della sua "Storia d'Europa nel secolo decimonono", Croce, a chi si domandava se alla libertà fosse riservato l'avvenire, aveva risposto che essa aveva qualcosa di meglio che l'avvenire, perché aveva l'eterno. Era una formula potente ed era, in fondo, anche una verità. Ma noi allora contestavamo in essa quanto in essa era certamente da combattere: cioè il convincimento, conforme al vecchio storicismo vichiano e hegeliano, che certi valori fossero assicurati provvidenzialmente dalla storia, la quale si serbava razionale al di là di ogni personale tragedia degli individui. Di fronte a questo, noi ricordavamo che i valori sono le cose per cui si trepida, non le cose che sono garantite da una eterna necessità. Ci premeva la sorte del futuro, non l'immobile volto dell'eterno. E distinguevamo, giustamente, tra la libertà che non viene meno mai, quella che ciascuno di noi ha per se stesso e che nessuna prigione gli può togliere (la libertà di consentire o di non consentire, di approvare o disapprovare nell'intimo, per quanto ostacolato possa essere il proprio potere di esprimersi) e la libertà di questo stesso esprimersi, in ogni manifestazione e forma e attività della vita: quella libertà che può essere sempre ampliata o decurtata, garantita o messa in pericolo, ed al cui paritetico sviluppo è dedicata ogni struttura della civiltà. Quest'ultima libertà era, allora, a rischio mortale [...]. Oggi piuttosto che morire per mancanza di libertà noi sembriamo quasi soffrire di una malattia inversa, cioè del timore che ogni norma decada in arbitrio e che ogni stabilità si dissolva nel contingente, è necessario non già fare il discorso opposto, ma considerere l'opposto aspetto dì quella medesima verità. Se allora difendevamo il rischio e l'impegno del futuro contro la contemplazione dell'eterno, oggi, al fine di non lasciarci travolgere dalle sole incertezze del presente, non dobbiamo dimenticare che c'è anche l'eterno ".
"Ma quale è questo eterno?" E' questa la nuova domanda che si pone Calogero.
Egli ravvisa nella " filosofia del dialogo " lo strumento idoneo per
riconoscere l'eterno. Si spiega con un esempio. Ove vi fossero scienziati di
gran lunga superiori ai Newton, agli Einstein, ai Fermi, capaci di trovare una
interpretazione del mondo tanto soddisfacente da far credere che dopo non resti
nient'altro da fare, salvo che " gioire e contemplare di tale siffatta finale
verità ", e dicessero una cosa simile ai loro colleghi, si escluderebbero da
soli dalla comunità della scienza. E ciò perché " anche nella scienza c'è un
indiscutibile: ed è l'assoluto della discutibilità ". Chi non accetta questa
regola di fondo, questo assoluto, consistente nel diritto di mettere qualsiasi
conquista scientifica in discussione, in quel momento egli si pone fuori della
comunità della scienza: " ogni universo scientifico può mutare, non già la
libertà del discuterlo ". Con tale esempio egli indica, nel progredire della
scienza, il futuro, e nel permanente diritto alla discutibilità, la continuità
assoluta e quindi l'eterno. Un eterno, e questo va sottolineato per la sua
importanza, non derivante da una condizione divina ma da una premessa
condizionante, di origine umana, in base alla quale la scienza e il suo universo
possono essere posti "sempre" in discussione. Si tratta di una premessa che
esprime il diritto a disporre di una personale opinione sugli eventi
scientifici, diritto alla cui base è posto perentoriamente un atteggiamento di
tolleranza condiviso ed accettato da tutti. E proprio in questo atteggiamento
sta il presupposto della filosofia o della " legge del dialogo ", come in
altri punti del suo scritto la definisce Calogero. Filosofia o legge del
dialogo, che allora costituiva un impegno al quale si debbono aperture
inconsuete tra i diversi punti di vista religiosi, politici e filosofici. E
proprio a quel periodo risale una prima apertura della Chiesa cattolica nei
confronti delle chiese protestanti e finanche nei confronti della Massoneria.
Egli prosegue ricercando il massimo profitto nell'esempio portato: " vediamo
allora che la perenne regola del dialogo scientifico non è altro che la
universale norma del mutuo intendersi, la quale è poi il fondamento di ogni
etica, di ogni sistema di diritti, e quindi di ogni organizzazione civile ".
E la legge del capire gli altri, così come si vuole essere capiti e di
comportarsi in conseguenza: il ché, egli aggiunge maliziosamente, " è
qualcosa di più che il semplice fare agli altri ciò che si vorrebbe fosse fatto
a sé, perché, alla stregua di questa seconda norma, noi potremmo imporre agli
altri le nostre preferenze, e quindi sentirei dire da George Bernard Shaw che
non dobbiamo fare agli altri quel che vorremmo fosse fatto a noi, in quanto essi
potrebbero avere gusti diversi dai nostri ". " Nel suo spirito ",
egli continua, " anche quella legge evangelica non è che la legge del dialogo
come lo è la legge socratica del 'nemo sua sponte peccat' e quindi della perenne
doverosità dell'intendere le altrui ragioni e del chiarire agli altri le
proprie ". Calogero rafforza tale tesi aggiungendo che il valore di questa
norma non dipende da chi l'ha scoperta o rivelata, dalla firma che porta: "
nessuno ha il diritto d'autore su quello che è il fondamento di ogni diritto.
Come diceva il re buddista Asoka: importa molto rispettare la propria
filosofia,e religione, ma ancora più importa rispettare la religione degli
altri. I discorsi possono essere compatibili o incompatibili, ma la regola del
dialogo dei discorrenti trascende qualsiasi loro discorso [...]. Alla legge del
dialogo noi possiamo conformarci o non conformarci, ma non possiamo mai evadere
dal suo radicale dilemma. Possiamo anche gettare nel cestino il libro coi
dilemmi di Zenone, quando non ci interessino quelle discussioni sulla unità e
molteplicità. Ma non possiamo mai sfuggire a questa alternativa: o essere soli o
essere con altri. O voglio intendere altri, oppure voglio restare solo con me
stesso, cioè considerare l'universo come semplice strumento del mio volere
[...]. La morale è una scelta per cui non è dato non scegliere: qualunque cosa
si faccia si sceglie sempre una delle due alternative. Ogni moralità è sempre
un'opzione, ma essa si esercita nel quadro di una dilemmatica che non è
un'opzione perché è sempre e assolutamente e trascendentalmente necessaria
". Da questo ragionamento egli fa discendere quella che chiama "la bussola
morale dell'universo": in ogni situazione cosmica possibile è sempre fermo il
dilemma radicale del collaborare con gli altri o al suo contrario.Dopo tali
indicazioni aggiunge altre considerazioni e altre domande:" che cosa importa
allora chiedersi se la moralità sia del passato o dell'avvenire? La vera Morale
è sempre la stessa per la eccellente ragione che è la legge di convivenza di
tutti con gli altri, nella loro volontà di capirsi, di rispettarsi a vicenda.
Tutti sono uguali di fronte a questa legge, quale che ne sia la stirpe o la
chiesa: il prossimo, non colui che è figlio dello stesso padre, ma colui che è
fatto prossimo dalla volontà di capirlo. Non c'è neppure bisogno che sia
propriamente un uomo: può essere anche il lupo di Gubbio, come un Angelo o
Dio. " Dopo aver accennato polemicamente alla facilità con cui i critici si
gettano sulle novità stracciandosi le vesti per gridare al miracolo di una nuova
estetica o di una nuova morale, Calogero li esorta ad una maggiore ponderatezza,
ricordando che " quel che occorre è tener ben ferma la solidità dei criteri
di fondo, perché c'è una eterna estetica, così come c'è una eterna morale."
Mentre appare limpidamente espresso il pensiero di Calogero relativamente alla
storicità ed alla eternità della morale, sicché se ne deduce che sebbene gli
atteggiamenti possano mutare a causa del mutare delle circostanze, resta
tuttavia un aspetto che non può mai mutare - il dilemma: Io con gli altri o Io
da solo - viene da domandarsi se sia riuscito ad indicare con altrettanta
chiarezza i presupposti di un possibile giudizio su ciò che è morale e ciò che
morale non è. E' su questo punto che vale la pena di svolgere qualche ulteriore
riflessione. Calogero individua nel dilemma dell'Io con gli altri o dell'Io da
solo, e nella scelta ineludibile che esso porta con sé, l'eterno, ciò che non
muta, che resta sempre uguale a se stesso. Che vi sia comunque e sempre un
dilemma e che su questo dilemma si debba scegliere, è indubitabile ed
inevitabile. E' tuttavia al senso della scelta, allorquando l'Io avrà deciso di
stare con gli altri o di restare solo, che viene rinviata la comprensione del
significato morale da attribuire al gesto compiuto, perché è solo nel momento
della scelta che tale gesto potrà essere classificato o buono o cattivo. E se è
incontestabile il contenuto morale del dilemma "Io con altri o da solo",
altrettanto incontestabile appare l'osservazione che vede tale contenuto
estrinsecarsi soltanto nel momento in cui i fatti si svolgono, ovvero quando
avviene la scelta, ed è perciò giudicabile. Calogero non possedeva probabilmente
la foga, né tantomeno la retorica, del predicatore, tantoché piuttosto che
affermare, preferiva argomentare. Un più sottile modo di esprimersi, magari meno
incisivo, ma certamente più convincente. Nel suo articolo Calogero non si
dilunga molto per dire quale è la scelta giusta da fare, tuttavia lo fa con
molta chiarezza e senza equivoci. E non solo perché lo ha dimostrato con la sua
vita coerentemente condotta "con gli altri" e non da solo, sicché pochi possono
vantare più di lui una partecipazione ai problemi di tutti, ma perché dalla sua
indicazione discende l'eternità dei valori morali che egli intende condividere
con gli altri, con tutte le conseguenze che ne derivano sul terreno della
comprensione reciproca, su quello dei diritti, su quello dei doveri. A questo
punto, c'è solo da prendere atto della coincidenza dei valori morali da lui
indicati, con i valori che sono propri della Massoneria. Non c'è bisogno di
spendere molte parole: l' Io con gli altri", ricordato da Calogero, è esaltato
dalla Massoneria con la scelta dei valori della Fraternità, della Libertà, della
Uguaglianza. Valori che sono i cardini di un sistema morale che dichiara
esplicitamente la solidarietà e la comprensione tra tutti gli uomini della
terra.