Felicità degli individui e felicità della cittàSocrate risponde a Adimanto osservando, in primo luogo, che non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se questi uomini fossero, anche così, molto felici. In secondo luogo, egli sottolinea che la sua polis non viene fondata perché un solo ethnos (gruppo, classe) sia particolarmente felice, ma perché sia felice l'intera (hole) polis.
Se ci si preoccupasse, aggiunge Socrate, del benessere di alcune persone, nessuno farebbe più il suo lavoro, e la polis diverrebbe informe. E questo vale soprattutto per quanto concerne i guardiani, perché è da loro che dipende la buona amministrazione e la felicità. La scelta se rendere felici solo alcuni, o la polis come un holon è dunque una questione decisiva. [421b-c] Ma se la felicità o il corretto funzionamento della polis come intero è lo scopo prioritario, allora ciascuno deve svolgere il proprio compito e partecipare della felicità nella misura in cui glielo concede la natura. Socrate continua a descrivere la città che sta costruendo. [422d ss] La città non deve essere né ricca né povera, perché ricchezza e povertà sono fattori politicamente e moralmente destabilizzanti; deve essere di dimensioni territoriali contenute; deve essere fondata sull'educazione - anzi su una educazione che si attiene rigorosamente ad una tradizione e rifiuta ogni novità - e non sull'ingegneria costituzionale. Questo progetto politico ricorda, per alcuni aspetti, la costituzione di Sparta. Ma la fondazione della città non ci ha ancora detto nulla su dove possano essere la giustizia e l'ingiustizia, su quale differenza intercorra fra loro, e su quale delle due debba possedere chi voglia essere felice, di nascosto o no dagli dei e dagli uomini. Socrate fa questa osservazione rivolgendosi a Glaucone con l'appellativo "figlio di Aristone" - un appellativo che si sarebbe potuto usare per Platone stesso - e parlando della città così costruita come della sua polis. Glaucone replica osservando che Socrate stesso aveva promesso di impegnarsi in quest'indagine, e non può tirarsi indietro. [427d]
Le virtù della cittàLa prima dote della città è la sophia o sapienza, cioè la conoscenza rigorosa (episteme). Ora, esistono molte forme di episteme: per esempio la falegnameria, la metallurgia e l'agronomia, che hanno ad oggetto cose particolari nella città. La sapienza della città non consisterà in queste, pur importanti, discipline, bensì nella scienza nella quale la polis non si consiglia su alcune delle cose che sono in lei, ma su tutta (hole) se stessa, e sul suo modo di comportarsi su se stessa e su altre città. Questa scienza è posseduta solo da alcuni cittadini, e si chiama phylakiké (scienza della guardia). [428d] Questa scienza sarà posseduta da una minoranza di cittadini, coloro che governano. Ma una città fondata kata physin sarebbe saggia nel suo complesso (hole) proprio in virtù di questa minoranza. Una minoranza destinata a rimanere tale, perché la sophia è rara e poco diffusa. [429a]
La seconda virtù della città è l'andreia o coraggio: il coraggio della città come intero è dato dalla parte che ha la funzione di combattere a sua difesa. Questa parte della polis ha la dynamis, cioè la capacità o potenzialità di salvaguardare la doxa o opinione sulle cose da considerare temibili, in modo tale che essa concordi con ciò che era stato inculcato tramite l'educazione. Questa doxa può corrompersi, o, come dice Socrate, può stingersi, se viene a contatto con i detersivi delle passioni. [429b ss]
Abbiamo visto due virtù - la sapienza e il coraggio - di carattere dichiaratamente parziale. Entrambi, infatti, consistono nello sviluppo eccellente di una attitudine particolare in una categoria particolare di cittadini. Potremmo chiederci che cosa mai garantisca che queste virtù parziali si ripercuotano sull'intero trasmettendogli la medesima virtù. Per rispondere a questa domanda, dobbiamo affrontare la terza virtù, la sophrosyne, che riguarda non tanto lo sviluppo eccellente di una parte determinata, bensì la relazione fra le parti. Socrate, infatti, la definisce come una sorta di consonanza e di armonia, che consiste nella capacità di controllare i piaceri e gli appetiti (epithymiai) La capacità di autocontrollo è una virtù, perché l'uomo ha in sé una parte migliore e una peggiore. La parte peggiore predomina in chi non ha sophrosyne, a causa di una cattiva educazione o della sua vita di relazione. Anche questa capacità, nel mondo reale, è la dote di una minoranza, mentre la maggioranza degli uomini liberi, dei fanciulli, delle donne e degli schiavi ne è priva. [431a ss] Da queste considerazioni, dovrebbe seguire - se Socrate ragionasse come nei casi della sapienza e del coraggio - che i pochi dotati di autocontrollo comandano sulla maggioranza intemperante, manipolandola in base alle passioni da cui si fa trascinare. Ma per la sophrosyne le cose non stanno così: una città dotata di temperanza è una città priva di conflitti per il potere, nella quale governati e governati hanno la stessa opinione su chi deve governare. E questo significa che la sophrosyne è una virtù di tutti i cittadini, cioè di tutta (hole) la polis. Come la sophrosyne individuale è l'autocontrollo consistente nella prevalenza della parte migliore e nella propensione ad obbedire della peggiore, così la sophrosyne politica è la homonoia, cioè la concordia di tutti i cittadini su chi ha titolo a governare. Essendo la sophrosyne una virtù di relazione, nella quale l'autocontrollo individuale è strettamente legato al rispetto per gli altri, una città può essere temperante solo se tutti sanno moderare le proprie pretese: chi non lo sa fare può essere strumentalizzato da chi lo manipola in base alle sue passioni, o può a sua volta invadere lo spazio degli altri a causa della sua avidità. Questo rende la città un luogo conflittuale, dominato dai cittadini peggiori, gli assetati di potere. Rimane da definire la giustizia. Socrate osserva che, a ben guardare, di giustizia si è già parlato, quando si è detto che ciascuno deve svolgere, nella polis, una sola attività, quella per la quale la physis l'ha plasmato; e che ciascuno deve fare ciò che gli è proprio senza polypragmonein, cioè occuparsi di molte cose - accusa, questa, tipicamente riservata all'educazione poetica. L'identificazione della giustizia con il possesso di ciò che è proprio e con l'esplicazione del proprio compito comporta, in termini politici, che ciascuno dei tre gruppi della società faccia il proprio lavoro e non pretenda di fare quello degli altri: un uomo d'affari non deve pretendere di essere governante o guerriero, né un militare deve esigere di governare. [432e ss] La giustizia, in altri parole, è quel principio per il quale la parte sapiente e quella coraggiosa della città, svolgendo il ruolo che si addice loro, fanno riverberare le loro virtù particolari sull'intero; è inoltre il principio che fissa i confini di quella essenziale virtù "di relazione" che è la sophrosyne. Una polis giusta non si regge su una armonia organica, ma su una divisione del lavoro la cui realizzazione è una costruzione e un compito morale. L'equazione socratica fra virtù e conoscenza viene articolata con un principio di coordinazione: la giustizia diventa la virtù che assegna alla conoscenza quel ruolo dominante che contraddistingue la persona virtuosa.
|
La giustizia nella città e nei cittadiniUna cosa uguale a un'altra in un certo aspetto, sarà uguale al suo termine di paragone proprio per questo aspetto. Quindi se la giustizia nell'uomo e nella polis significano la stessa cosa, un uomo giusto non differirà da una polis giusta, per quanto riguarda la giustizia. [435b] La polis è stata definita come giusta quando, in essa, le tre categorie di cittadini svolgono ciascuna il proprio compito; in questo modo, sapienza, coraggio e temperanza si riverberano nell'intero. In un individuo giusto deve avvenire qualcosa di simile.
Socrate e Glaucone hanno preso le mosse dalla città, allo scopo di chiarire il significato della giustizia. Ma le qualità della città dipendono da quelle degli individui, e dal senso che la giustizia ha in loro e per loro. Abbiamo visto che la giustizia è una virtù di relazione: perché ci possa essere giustizia anche entro il singolo uomo, questi non deve essere considerato come un in-dividuo o un atomo, ma deve apparire come una creatura divisibile, molteplice e potenzialmente conflittuale, capace di porsi variamente in relazione con se stessa. La tripartizione politico-sociale della città deve rispecchiarsi in una tripartizione dell'anima umana in un elemento con il quale apprendiamo, un elemento con il quale proviamo emozioni che ci spingono ad agire, e un elemento con il quale proviamo appetiti. [435c ss] Per un sapere rigoroso sul molteplice
(2) Quando si definiscono termini in base ad una relazione con un oggetto, la definizione può colpire un bersaglio determinato solo se questo oggetto è una e una sola cosa, definita rigorosamente, e sono messe fra parentesi le caratteristiche accessorie o accidentali degli oggetti con i quali si attualizza, di volta in volta, la relazione. Per esempio, la sete è un desiderio che si definisce in relazione al bere. Se considerassimo elementi come la qualità o la quantità delle bevande (buone o cattive, calde o fredde), la nostra definizione "in relazione a" diventerebbe confusa, proprio perché ridondante rispetto a quanto richiesto. Una definizione di un oggetto (un desiderio o una scienza, per esempio) in base alla sua relazione con un altro, deve essere "economica", se vuol essere funzionale. In secondo luogo, la relazione con un oggetto, che caratterizza il termine da definire, non comporta affatto che al termine si trasferiscano la qualità dell'oggetto. E' la relazione con l'oggetto, e non l'oggetto stesso, che caratterizza il definiendum: per esempio, la medicina è scienza del sano e del malato, ma non ne segue che essa stessa sia sana o malata.[437b ss] La mentalità comune, educata poeticamente, si basava su serie paratattiche di esempi, per forza di cose ridondanti e confusi. Le puntualizzazioni logiche di Socrate fanno ricorso agli strumenti dialettici della sofistica per elaborare i canoni del nuovo sapere concettuale.
La tripartizione dell'animaQueste puntualizzazioni logiche
permettono a Socrate di esporre la dottrina della tripartizione dell'anima:
la psiche individuale, nelle sue relazioni interne, è come un campo
conflittuale. E la composizione dei conflitti interiori, in base a un
ideale di autonomia razionale,
è il vero compito della giustizia. La giustizia non è una questione di
ingegneria istituzionale o di forme giuridiche, ma è in primo luogo un
problema morale e culturale,
connesso alla comunicazione e alla distribuzione del sapere. La giustizia come virtù personaleLa forma di politeia (costituzione) analizzata nel IV libro viene chiamata da Socrate basileia (regno) se il filosofo-governante è uno solo, o aristokratia (aristocrazia) se gli eccellenti al potere sono più di uno. [445d] |