GABRIEL MARCEL

A cura di Diego Fusaro


"Il primo dovere del filosofo consiste nel pronunciarsi chiaramente sui limiti delle proprie conoscenze e riconoscere che vi sono dei campi in cui la sua incompetenza è assoluta. " ("Gli uomini contro l'umano")

INDICE
VITA E OPERE
PRESENTAZIONE DEL PENSIERO DI MARCEL
ANALISI DEL PENSIERO DI MARCEL




VITA E OPERE

A partire dagli anni Venti del Novecento, lo spiritualismo francese si carica di sfumature esistenzialistiche (pur mantenendo al centro della riflessione la centralità della coscienza come fonte primaria di ogni verità): appartiene a questi sviluppi il pensiero di Gabriel Marcel (1889-1973), autore di opere come "Essere e avere" (1935) e "Il mistero dell'essere". Nato a Parigi il 7 dicembre 1889, Marcel studiò al Liceo Carnot ed alla Sorbona, dove risentì dell'influenza dell'idealismo critico di Léon Brunschvicg e dello spiritualismo di Henri Bergson. Laureatosi nel 1910 con una tesi su "L'influence de Schelling sur les idées métaphisiques de Coleridge", svolge l'attività di professore di liceo fino al 1923, anno in cui entra come lettore presso le case Grasset e Plon. In questi anni si confronta con la riflessione filosofica di Heidegger e Jaspers, accogliendo alcune istanze della corrente esistenzialista, senza tuttavia riconoscersi del tutto in questo orientamento di pensiero. Nel 1927 pubblica a Parigi il "Giornale metafisico", un diario filosofico in cui è documentata la riscoperta dell'esistenza. Di religione ebraica, nel 1929, si converte al cattolicesimo. Nel 1935 pubblica "Essere e Avere", in cui approda al tema dell'esistenza in rapporto all'essere e alla distinzione tra problema e mistero. L'opera è, però, preparata dal saggio "Posizione e approcci concreti del mistero ontologico". Tra le sue opere ricordiamo: "Il sacro nell'età della tecnica" (1964); "Manifesti metodologici di una filosofia concreta"; "Dal rifiuto all'invocazione, saggio di filosofia concreta"; "Homo viator"; "Il declino della saggezza"; "La dignità umana e le sue matrici esistenziali"; "Dialogo sulla speranza"; "Gli uomini contro l'umano"; "Schizzo di una fenomenologia dell'avere"; "Il mistero dell'essere" (1951).

PRESENTAZIONE DEL PENSIERO DI MARCEL

Nella sua prima opera importante, "Il Giornale metafisico", apparsa nel 1927 (lo stesso anno in cui usciva "Essere e Tempo", di Heidegger) Marcel prende in esame la dimensione dell'esistenza nella forma letteraria di un "diario dell'anima": il costante interesse per il problema ontologico (come fondamento stesso della descrizione esistenziale) non consente, però, di accostare eccessivamente il pensiero dell'esistenzialismo (accostamento da Marcel stesso respinto) mentre alcune interpretazioni novecentesche hanno scorto in esso piuttosto l'espressione di una ramificazione francese e spiritualizzata della fenomenologia tedesca. In ogni caso, la riflessione di Marcel non può essere ricondotta a schemi di scuola e la sola denominazione possibile è quella di filosofia concreta che egli stesso impiegò per definirla. Il tema fondamentale della riflessione di Marcel è l' essere : tuttavia, l'essere per lui non rappresenta tanto un problema, quanto un mistero: da qui il titolo della sua famosa opera "Il mistero dell'essere". Il problema, infatti, è qualcosa di perfettamente oggettivabile, di cui si conoscono i dati che, appunto, devono essere composti per giungere alla soluzione. Il mistero , invece, è qualcosa " in cui mi trovo coinvolto " e che, pertanto, impedisce di mantenere una chiara distinzione (come avviene invece nel problema) tra il soggetto e l'oggetto. E' questo il caso dell'essere, dove l'oggetto dell'indagine non è qualcosa di distinto dal soggetto che si pone la domanda: tale mistero non può dunque essere risolto negli stessi termini in cui si risolve un problema, ma deve essere colto soltanto con un' apertura alla dimensione della trascendenza . Alla distinzione tra problema e mistero fa riscontro quella tra avere ed essere (trattata soprattutto in "Essere e avere"): l' avere esprime una condizione di esteriorità e di oggettivazione, mentre l'essere rinvia all'esistenza così come essa viene concretamente vissuta dall'uomo. Ma essere e avere non sono disgiunti, ma, al contrario, connessi da un rapporto dialettico che trova la sua espressione nel corpo : nello stesso tempo, io ho il mio corpo come una realtà esterna e oggettivata e sono il mio corpo, giacché la mia esistenza concreta è inscindibile da esso. Ancora una volta, dunque, si deve superare la distinzione dualistica tra soggetto e oggetto o, meglio, la contrapposizione di remota ascendenza cartesiana tra un soggetto che ha esclusivamente una funzione conoscitiva e spirituale e un corpo oggettivo cui sono assegnate le funzioni biologiche. La sfida che l'uomo si trova a dover sostenere è, in tale prospettiva, quella consistente nell'impedire che l'avere abbia la meglio sull'essere, ossia che l'essere venga, in qualche modo, alienato nell'avere. Questo funesto pericolo può avverarsi quando noi consideriamo i contenuti della nostra esistenza concreta (le idee, i sentimenti, le abitudini) alla stregua di cose oggettive, senza vivificarle continuamente con la nostra creatività; oppure quando consideriamo il mondo oggettivo del possesso, della scienza e della tecnica come una realtà a sé stante che finisce con il condizionare le nostre scelte. Ma avviene anche allorchè cessiamo di considerare gli altri individui come persone che intrattengono con noi una relazione di "Io-Tu", per degradarli al livello di "cose", di un "esso" che ha con noi esclusivamente un rapporto impersonale. In tutti questi casi, l'essere può conservare i suoi diritti sull'avere solamente nella misura in cui rimane vivo il senso del mistero dell'essere stesso, cioè il senso di quella trascendenza che va al di là della nostra esistenza e nello stesso tempo ne esprime il fondamento.

ANALISI DEL PENSIERO DI MARCEL

Piú noto come filosofo, ma degno di attenzione anche come musicista, drammaturgo, conferenziere e saggista, Gabriel Marcel ha saputo offrire, soprattutto nel periodo compreso tra le due guerre, spunti interessanti alla riflessione novecentesca. La tragedia della grande guerra ha indubbiamente indotto Marcel ad interrogarsi sugli aspetti irrazionali della realtà, scoprendo, in polemica anti-idealistica e anti-positivistica , l'esistenza come incarnazione e affrontando, quindi, i temi della sensazione e della corporeità. Egli, infatti, si scaglia duramente contro la filosofia intellettualistica che pretende di ridurre tutta la realtà, e con essa l'uomo, ad un concetto astratto. Il pensatore francese attacca soprattutto l'idealismo hegeliano e lo scetticismo, rimproverando al primo di aver ridotto al minimo il ruolo dell'esistenza, privilegiando l'idea rispetto al concreto esistere, al secondo, invece, di aver messo in dubbio la stessa esistenza. Marcel rileva che entrambe le correnti di pensiero sono vittime della dicotomia cartesiana tra soggetto ed oggetto, che ha comportato una riduzione dell'oggetto a ciò che deve essere per il soggetto razionale e dell'esistenza a ciò che viene dopo il pensiero. Egli propone un'ontologia concreta che privilegia l'analisi dell'esistenza, convinto che " il piano ontologico può essere riconosciuto soltanto con un atto personale, tramite la totalità di un essere impegnato in un dramma che è il suo [...], un essere al quale è stata concessa la singolare qualità di affermarsi o di negarsi, sia che affermi l'Essere e si apra a Lui, sia che Lo neghi e quindi si chiuda ad Esso " (Giornale metafisico) . Marcel è, perciò, fortemente critico nei confronti di tutto quanto risulti già definito e catalogato ma rifiuta, anche, ogni affermazione dogmatica, ogni sistemazione ed etichettatura del pensiero, incluso il proprio. Egli intende, infatti, proporci la sua riflessione come una via, un cammino che ciascuno può ripercorrere e rivivere in maniera originale. Egli ammette che la ricerca continua, libera da ogni intento utilitaristico, è sempre stata la sua vocazione, che egli è sempre andato alla scoperta della verità con quella avida apertura che è tipica del fanciullo non ancora scolarizzato. Ed è con questa curiosità impaziente ed universale e con la consapevolezza di non giungere mai a risoluzioni definitive che Marcel ci propone il suo percorso filosofico mettendoci sempre di fronte a situazioni reali che nessuno può eludere senza rifiutare le proprie responsabilità. Di qui il sottoporre alla nostra attenzione questioni ancora aperte e innumerevoli spunti di riflessione che ci inducono ad interrogarci sulle linee di sviluppo e sulle prospettive della civiltà odierna. Uno dei temi piú interessanti individuati nella lettura di alcune opere del pensatore francese è la riscoperta del compito storico del filosofo , questione che Marcel sentì particolarmente urgente nel contesto culturale in cui visse e che, ancora oggi, è al centro di un vivo dibattito. Egli osserva, in primo luogo, che l'identità del filosofo, dai tempi antichi ad oggi, ha subito una forte degradazione dovuta al fatto che la stessa nozione ha perso la sua dignità originaria. Pertanto, soprattutto a partire dal XIX secolo, il filosofo è diventato, nella maggior parte dei casi, il professore di filosofia che difficilmente è in grado di conservare capacità di meditazione, libertà di pensiero e verginità di spirito. Se riesce a farlo, finisce con il condurre inevitabilmente un'esistenza ascetica, ritirandosi dalla vita, confinandosi in una solitudine eremitica e diventando, cosí, prigioniero del proprio pensiero. Marcel, pur riconoscendo ad entrambi onestà, serietà e disinteresse, tuttavia afferma: " come non spaventarsi del carattere angusto e astruso delle loro ricerche? " ("Gli uomini contro l'umano "). Nella società odierna, quindi, Marcel ritiene che non si possa piú concepire il filosofo come un pensatore tutto orientato verso la piú profonda ed assoluta indagine speculativa, come cioè il teoreta puro che non irradia in alcun modo il proprio pensiero. Quello del filosofo deve essere un pensare "erga omnes", che si realizza solo quando si riconosce la comune origine della condizione umana e la sua caratteristica piú universale: l'essere portatrice di una luce, che, se accolta, guida ogni essere umano nel travagliato percorso dell'esistenza. È da questa luce che anche il filosofo deve lasciarsi penetrare per rendere la sua testimonianza a favore degli uomini e per contribuire a migliorare la vita. Il filosofo, pertanto, senza mai perdere il contatto con la realtà concreta, deve sentire come compito imprescindibile, cui non può sottrarsi senza negare la sua stessa vocazione, quello di proporre, dinanzi all'angoscioso smarrimento ed al progressivo tramontare della sensibilità morale e religiosa, una riflessione sull'identità del soggetto responsabile. Al contempo non deve cercare a tutti i costi il consenso del vasto pubblico, servendosi dei mezzi di comunicazione e trasformandosi in un "oggetto" nelle mani della pubblicità e degli impresari; così facendo rinnegherebbe la propria condizione di autentico e libero pensatore. Quando, infatti, un'idea, magari per il gusto dello scandalo e della provocazione, viene consegnata ai giornalisti, alla pubblicità, ai mass-media che ne fanno quasi uno slogan, essa si degrada a tal punto da perdere ogni significato e da convertirsi addirittura nella piú risibile parodia di se stessa. Altre diffuse tentazioni da cui il filosofo deve tenersi lontano, aggiunge Marcel, sono il prendere posizione su questioni e problematiche di cui ha una modesta conoscenza, o che addirittura ignora, e il ricondurre ogni specifica e concreta situazione a dei principi illegittimamente assolutizzati. " Il primo dovere del filosofo consiste nel pronunciarsi chiaramente sui limiti delle proprie conoscenze e riconoscere che vi sono dei campi in cui la sua incompetenza è assoluta " ("Gli uomini contro l'umano") . Certamente, riconosce Marcel, quella del filosofo è una posizione difficile, problematica dal momento che egli vive una condizione paradossale: " è nel mondo ma non è di questo mondo ". È proprio l'intuizione di non appartenere definitivamente alla realtà terrestre che gli consente di impegnarsi per rendere piú umana la vita del nostro pianeta, per valutare criticamente la realtà in cui viviamo e per operare, poi, una efficace saldatura tra il mondo della tecnica e quello della pura spiritualità, evitando che il primo prenda il sopravvento sul secondo, fino ad annullarlo. Marcel, infatti, dedica molta attenzione al problema della tecnica , piú precisamente al rapporto concreto che tende a stabilirsi tra questa e l'essere umano. In primo luogo si preoccupa di sottolineare, nei suoi scritti, il valore positivo della tecnica che va al di là della semplice utilità. " Ogni tecnica è in se stessa buona per il fatto che incarna una certa autentica potenza della ragione e, anche, per il fatto che introduce nel disordine apparente delle cose un principio di intelligibilità " (Gli uomini contro l'umano") . Inoltre, ogni tecnica assolve un compito formativo per la precisione che esige da colui che la esercita: il tecnico non può non praticare, secondo Marcel, la virtù dell'esattezza, dal momento che nel campo tecnico l'imprecisione è necessariamente punita. Il pensatore francese, poi, sottolinea la gioia sana che accompagna la ricerca del tecnico intento a perfezionare il suo modo di procedere. Egli, infatti, non si preoccupa di sé ma solo dell'opera da portare a termine; il pensiero dei vantaggi materiali che la sua invenzione potrà fruttargli è solo marginale, perciò in lui vanità ed ambizione non hanno motivo di esistere. Fatte queste considerazioni, Marcel si pone il problema di quali siano gli effetti della tecnica su colui che ne è solo beneficiario, in quanto colui che fabbrica uno strumento o contribuisce a perfezionarlo, è raro che ne diventi schiavo poiché " vi è qualche grado di libertà dal momento in cui vi è creazione persino ai livelli piú modesti " ("La dignità umana e le sue matrici esistenziali"). . Secondo Marcel, l'uomo moderno tende ad abusare del potere che gli viene dalla tecnica ed è per questo che è necessaria un'attività meta-tecnica di controllo, corrispondente ad un potere di secondo grado. Ma, egli afferma, in una civiltà di tipo tecnico e non sacrale, il potere di secondo grado, che altro non è se non la riflessione, tende inevitabilmente ad essere screditato, poiché " un uomo divenuto maestro nell'esercizio di una o piú tecniche sarà, in generale, portato a guardare con diffidenza tutto ciò che è estraneo a queste tecniche " ("Il declino della saggezza "). In questo contesto l'uomo, quindi, rischia di divenire, addirittura, prigioniero della tecnica se non è in grado di dominarla e di subordinarla alla propria natura umana. Marcel cita, a tal proposito, il filosofo tedesco Gunther Anders, il quale, nel suo libro "Der Antiquierte Mensch" sostiene che l'uomo tende sempre piú a pensare se stesso in funzione dei prodotti della sua stessa tecnica e, paradossalmente, finisce con il sentirsi inferiore ad apparecchi così precisi e sempre piú perfetti. Ciò, egli sottolinea, non può non avere delle conseguenze etiche di notevole portata, poiché questa svalutazione dell'essere umano conduce alla negazione radicale della trascendenza che la filosofia classica riconosceva allo spirito. Secondo Marcel siamo di fronte, perciò, ad un fenomeno di alienazione nel senso che " nelle condizioni di un mondo in cui le tecniche affermano sempre piú la loro egemonia, l'essere subisce un'autentica enucleazione ". La vita, in questa prospettiva, perde il suo peso esistenziale e l'idea di uomo si decompone. L'individuo, infatti, non riesce che a dare un'immagine indecifrabile di sé poiché tende a rappresentare il mondo e quindi se stesso solo alla luce delle tecniche messe a punto. L'esplosione del mondo oggettivo comporta l'annullamento del gnwqi sauton ("conosci te stesso") socratico, una incredibile polverizzazione del soggetto. Quest'ultimo non è piú riconosciuto come tale quando gli vengono applicate tecniche invalse nel dominio della natura. Basti pensare, dice Marcel, alle manipolazioni del cervello umano fra cui il ricorso al cosiddetto "siero della verità", esempio inquietante della violazione della intimità, come se la verità, nel senso puro e nobile della parola, possa avere a che fare con i risultati di un'iniezione.

" Non è certo un caso che procedimenti del genere siano stati messi in opera, con una fretta e una perseveranza senza paragone, da regimi totalitari di cui non basta dire che non si preoccupano della verità, ma piuttosto che questa è per loro il nemico numero uno, perché alla sua luce le pretese inconfessabili che li muovono, si rivelano quelle che sono ".

Marcel parla anche di desacralizzazione della vita , intendendo dire che essa è stata spogliata di tutti quegli attributi sacri che le venivano conferiti da un pensiero teocentrico che, nell'età della tecnica, è stato sostituito da un antropocentrismo pratico. L'uomo, infatti, si sente sempre piú come il solo principe in grado di attribuire un senso al mondo che, altrimenti, ne sarebbe privo. La vita è ritenuta sempre meno un beneficio, un dono di cui essere riconoscenti per cui l'uomo si arroga il diritto di manipolarla. " La vita è considerata sempre piú qualcosa che non presenta alcun valore intrinseco e che si può sopprimere pressappoco come si gira un interruttore " 13, afferma Marcel in "Il sacro nell'età della tecnica" e intende sottolineare come, nell'età della tecnica, l'atto di uccidere sia stato privato di quel carattere di crimine che gli è proprio, per cui anche in quegli individui che non si sono mai macchiati di alcun delitto e che, quindi, rimangono legati ai canoni valutativi tradizionali, esso non suscita piú alcun allarme. Marcel riconosce, pertanto, che in un momento in cui il primato assoluto spetta alla tecnica, si determina inevitabilmente un processo di desacralizzazione che investe la vita e tutte le sue manifestazioni. Egli si chiede, quindi, come sia possibile lottare contro quella "legge di gravitazione" che trascina l'uomo dalle tecniche verso gli eccessi della tecnocrazia. Sostiene, in primo luogo, la necessità di reagire contro la dissociazione del vitale e dello spirituale operata da un esangue razionalismo ma ritiene fondamentale un riapprofondimento della nozione di vita alla luce del piú elevato ed autentico pensiero religioso ed una riscoperta del sacro, non considerato, però, come soluzione o rimedio facile agli effetti disumanizzanti del vivere odierno; in tal caso, infatti, si rischierebbe di sconfinare in una sorta di pragmatismo contrario ai propositi di Marcel. Egli si riferisce, invece, ad una conversione sincera e profonda alla grazia, con la quale tutto si spiega e si chiarisce, che non è, però, un far ritorno alla religione nelle sue forme confessionali e catalogate. Solo cosí l'uomo potrà cercare di arginare la disperazione che lo investe quando legge l'esistenza in termini quantitativi, efficientistici e tecnologici. Marcel chiarisce, quindi, il concetto di disperazione : essa si presenta come l'esito inesorabile di una vita che privilegia l'orizzonte dell'avere anziché dell'essere; ogni possesso è, infatti, caratterizzato da una profonda instabilità poiché oscilla continuamente tra la tensione dell'individuo verso l'appropriazione definitiva della cosa e la tendenza continua dell'oggetto a sfuggire al possesso. È proprio questa instabilità che determina sentimenti di paura, ansia e disperazione. A quest'ultima, che è la dimensione esistenziale del misconoscimento dell'essere, si oppone la speranza: " solo esseri totalmente liberi dalle pastoie del possesso in tutte le sue forme sono in grado di conoscere la divina levità della vita nella speranza " ("Homo viator"). Essa è considerata come apertura al mistero dell'essere, come volontà di affermare che c'è, al di là di tutto ciò che è dato, un principio misterioso che mi sorpassa, che mi invade e al quale aderisco. Il contatto con l'essere, aggiunge Marcel, non avviene attraverso una conoscenza puramente intellettuale poiché l'essere, in quanto mistero, non è suscettibile di ricerca condotta esclusivamente con gli strumenti dell'indagine scientifica. Il pensatore francese invita, pertanto, gli uomini a fare professione di umiltà, a riconoscere, cioè, che l'intelligenza umana non può chiarire ciò che le è superiore e non può ridurre alla sua dimensione ciò che la trascende. L'essere è una luce che si rivela all'uomo e questi può soltanto riconoscerla. Si viene, così, a stabilire un rapporto di presenza, di amore, tra l'essere e noi uomini; questa relazione, puntualizza Marcel, vive solo finché l'uomo le dà vita con la sua disponibilità nei confronti dell'essere. Se l'individuo, invece, si chiude ad esso, perché troppo occupato di sè, vive in una desolata solitudine che non può non sfociare nel suicidio: negando l'essere l'uomo nega se stesso. Grazie all'incontro con l'essere, invece, l'uomo si riscopre come unità, non come " un puro e semplice vivente, una creatura abbandonata alla vita e senza prese su di essa " ("Manifesti metodologici di una filosofia concreta") . Riconoscere il mistero ontologico implica " affermare che c'è nell'Essere, al di là di tutto ciò che è dato, al di là di tutto ciò che può fornire materiale per un inventario o servire di base ad una qualsiasi valutazione, un principio misterioso che è mio complice, il quale non può non volere anche lui ciò che io voglio, almeno fino al punto in cui ciò che voglio merita effettivamente di essere voluto ed è effettivamente voluto da tutto me stesso " ("Manifesti metodologici di una filosofia concreta"). Questo significa sperare: in altri termini, mentre la disperazione consiste nel riconoscere la capacità delle tecniche presenti e future di risolvere i problemi, la speranza, pur riconoscendo l'efficacia delle tecniche si pone su un terreno che sfugge ad ogni tentativo di dominio. Marcel chiarisce, ulteriormente, nel corso di un dibattito radiofonico del 12 maggio 1967 con il filosofo tedesco Ernst Bloch, la natura della speranza , l'ambito della sua realizzazione e il nesso tra la speranza e la morte. " La speranza è una proprietà universalmente umana, basata sulla piú universale proprietà umana, intendo dire il desiderio e, ad un livello superiore, la nostalgia " afferma Bloch, chiarendo, poi, che essa consiste nel presentificare un futuro non ancora compiuto sia per il mondo esterno che per l'io nella sua vita interiore. Marcel, invece, ritiene che la speranza sia l'anelito di un'anima ad una forma di liberazione assoluta il cui compimento non si realizza pienamente nell'arco della vita. Bloch limita la sfera dello sperabile a ciò che può realizzarsi nella vita terrena, Marcel, invece, vede in questa limitazione una sorta di disperazione, un precludersi la possibilità di comprendere il nesso che intercorre tra speranza e morte. Per Marcel, infatti, l'unica speranza che interessa veramente l'uomo è quella di essere liberato dalla morte, cioè la speranza della resurrezione. Bloch, togliendo alla morte ogni drammatica gravità, la considera lucrezianamente, come la fine di un banchetto, dal quale i commensali si alzano sazi e soddisfatti. Marcel risponde che una tale argomentazione e una siffatta concezione "gastronomica" della vita risulta insignificante a chi, per esempio, ha perso un figlio o è affetto da malattia incurabile. Emerge, quindi, la profonda distanza tra due modi di intendere l'avventura umana: l'uno di tipo immanentistico, l'altro, invece, profondamente religioso e aperto alla trascendenza. È evidente, nella ricerca di Marcel, l'ispirazione cristiana nell'interpretazione dell'uomo; inoltre è possibile ravvisare come il pensatore francese sia capace di intuizioni in grado di rovesciare l'antropologia angusta di quanti tentano di rinserrare la trascendenza nell'orizzonte soffocante dell'esistenza. Ciò che, tuttavia, mi ha maggiormente colpito e che risulta particolarmente apprezzabile è la volontà di Marcel di reagire, di dare una risposta significativa alla crisi storico-sociale e filosofico-culturale che ha investito la società occidentale nel periodo tra le due guerre e nel secondo dopoguerra, ma che continua a caratterizzare il nostro tempo. Marcel ha cercato di restituire valore alla nozione di esistenza facendo appello alle innumerevoli risorse di cui l'individuo è depositario. È l'essere che fascia e avvolge l'esistenza, ma soprattutto che alimenta, secondo Marcel, lo spazio della risorsa e della novità cui bisogna attingere. Pertanto, la ricerca del pensatore francese risulta attraversata da un fondamentale ottimismo, perché caratterizzata da un'inesauribile fiducia nell'uomo. Ne risulta, quindi, sebbene il filosofo, per la scarsa preoccupazione di sistematicità, lasci talvolta indefinite talune allusioni peraltro molto stimolanti, una riflessione antropologica di straordinaria densità e profondità che può contribuire efficacemente a dare un indirizzo piú serio alla moderna concezione dell'uomo, dominato sempre piú da un inquietante disordine e da una sconcertante inconsapevolezza.

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