Piú noto come
filosofo, ma degno di attenzione anche come musicista, drammaturgo,
conferenziere e saggista, Gabriel Marcel ha saputo offrire, soprattutto nel
periodo compreso tra le due guerre, spunti interessanti alla riflessione
novecentesca. La tragedia della grande guerra ha indubbiamente indotto Marcel ad
interrogarsi sugli aspetti irrazionali della realtà, scoprendo, in polemica anti-idealistica e anti-positivistica , l'esistenza
come incarnazione e affrontando, quindi, i temi della sensazione e della
corporeità. Egli, infatti, si scaglia duramente contro la filosofia
intellettualistica che pretende di ridurre tutta la realtà, e con essa l'uomo,
ad un concetto astratto. Il pensatore francese attacca soprattutto l'idealismo
hegeliano e lo scetticismo, rimproverando al primo di aver ridotto al minimo il
ruolo dell'esistenza, privilegiando l'idea rispetto al concreto esistere, al
secondo, invece, di aver messo in dubbio la stessa esistenza. Marcel rileva che
entrambe le correnti di pensiero sono vittime della dicotomia cartesiana tra
soggetto ed oggetto, che ha comportato una riduzione dell'oggetto a ciò che deve
essere per il soggetto razionale e dell'esistenza a ciò che viene dopo il
pensiero. Egli propone un'ontologia concreta che privilegia l'analisi
dell'esistenza, convinto che " il piano ontologico può essere riconosciuto
soltanto con un atto personale, tramite la totalità di un essere impegnato in un
dramma che è il suo [...], un essere al quale è stata concessa la singolare
qualità di affermarsi o di negarsi, sia che affermi l'Essere e si apra a Lui,
sia che Lo neghi e quindi si chiuda ad Esso " (Giornale metafisico) . Marcel
è, perciò, fortemente critico nei confronti di tutto quanto risulti già definito
e catalogato ma rifiuta, anche, ogni affermazione dogmatica, ogni sistemazione
ed etichettatura del pensiero, incluso il proprio. Egli intende, infatti,
proporci la sua riflessione come una via, un cammino che ciascuno può
ripercorrere e rivivere in maniera originale. Egli ammette che la ricerca
continua, libera da ogni intento utilitaristico, è sempre stata la sua
vocazione, che egli è sempre andato alla scoperta della verità con quella avida
apertura che è tipica del fanciullo non ancora scolarizzato. Ed è con questa
curiosità impaziente ed universale e con la consapevolezza di non giungere mai a
risoluzioni definitive che Marcel ci propone il suo percorso filosofico
mettendoci sempre di fronte a situazioni reali che nessuno può eludere senza
rifiutare le proprie responsabilità. Di qui il sottoporre alla nostra attenzione
questioni ancora aperte e innumerevoli spunti di riflessione che ci inducono ad
interrogarci sulle linee di sviluppo e sulle prospettive della civiltà odierna.
Uno dei temi piú interessanti individuati nella lettura di alcune opere del
pensatore francese è la riscoperta del compito storico del
filosofo , questione che Marcel sentì particolarmente urgente nel
contesto culturale in cui visse e che, ancora oggi, è al centro di un vivo
dibattito. Egli osserva, in primo luogo, che l'identità del filosofo, dai tempi
antichi ad oggi, ha subito una forte degradazione dovuta al fatto che la stessa
nozione ha perso la sua dignità originaria. Pertanto, soprattutto a partire dal
XIX secolo, il filosofo è diventato, nella maggior parte dei casi, il professore
di filosofia che difficilmente è in grado di conservare capacità di meditazione,
libertà di pensiero e verginità di spirito. Se riesce a farlo, finisce con il
condurre inevitabilmente un'esistenza ascetica, ritirandosi dalla vita,
confinandosi in una solitudine eremitica e diventando, cosí, prigioniero del
proprio pensiero. Marcel, pur riconoscendo ad entrambi onestà, serietà e
disinteresse, tuttavia afferma: " come non spaventarsi del carattere angusto
e astruso delle loro ricerche? " ("Gli uomini contro l'umano "). Nella
società odierna, quindi, Marcel ritiene che non si possa piú concepire il
filosofo come un pensatore tutto orientato verso la piú profonda ed assoluta
indagine speculativa, come cioè il teoreta puro che non irradia in alcun modo il
proprio pensiero. Quello del filosofo deve essere un pensare "erga omnes", che
si realizza solo quando si riconosce la comune origine della condizione umana e
la sua caratteristica piú universale: l'essere portatrice di una luce, che, se
accolta, guida ogni essere umano nel travagliato percorso dell'esistenza. È da
questa luce che anche il filosofo deve lasciarsi penetrare per rendere la sua
testimonianza a favore degli uomini e per contribuire a migliorare la vita. Il
filosofo, pertanto, senza mai perdere il contatto con la realtà concreta, deve
sentire come compito imprescindibile, cui non può sottrarsi senza negare la sua
stessa vocazione, quello di proporre, dinanzi all'angoscioso smarrimento ed al
progressivo tramontare della sensibilità morale e religiosa, una riflessione
sull'identità del soggetto responsabile. Al contempo non deve cercare a tutti i
costi il consenso del vasto pubblico, servendosi dei mezzi di comunicazione e
trasformandosi in un "oggetto" nelle mani della pubblicità e degli impresari;
così facendo rinnegherebbe la propria condizione di autentico e libero
pensatore. Quando, infatti, un'idea, magari per il gusto dello scandalo e della
provocazione, viene consegnata ai giornalisti, alla pubblicità, ai mass-media
che ne fanno quasi uno slogan, essa si degrada a tal punto da perdere ogni
significato e da convertirsi addirittura nella piú risibile parodia di se
stessa. Altre diffuse tentazioni da cui il filosofo deve tenersi lontano,
aggiunge Marcel, sono il prendere posizione su questioni e problematiche di cui
ha una modesta conoscenza, o che addirittura ignora, e il ricondurre ogni
specifica e concreta situazione a dei principi illegittimamente assolutizzati. "
Il primo dovere del filosofo consiste nel pronunciarsi chiaramente sui limiti
delle proprie conoscenze e riconoscere che vi sono dei campi in cui la sua
incompetenza è assoluta " ("Gli uomini contro l'umano") . Certamente,
riconosce Marcel, quella del filosofo è una posizione difficile, problematica
dal momento che egli vive una condizione paradossale: " è nel mondo ma non è
di questo mondo ". È proprio l'intuizione di non appartenere definitivamente
alla realtà terrestre che gli consente di impegnarsi per rendere piú umana la
vita del nostro pianeta, per valutare criticamente la realtà in cui viviamo e
per operare, poi, una efficace saldatura tra il mondo della tecnica e quello
della pura spiritualità, evitando che il primo prenda il sopravvento sul
secondo, fino ad annullarlo. Marcel, infatti, dedica molta attenzione al
problema della tecnica , piú precisamente al rapporto
concreto che tende a stabilirsi tra questa e l'essere umano. In primo luogo si
preoccupa di sottolineare, nei suoi scritti, il valore positivo della tecnica
che va al di là della semplice utilità. " Ogni tecnica è in se stessa buona
per il fatto che incarna una certa autentica potenza della ragione e, anche, per
il fatto che introduce nel disordine apparente delle cose un principio di
intelligibilità " (Gli uomini contro l'umano") . Inoltre, ogni tecnica
assolve un compito formativo per la precisione che esige da colui che la
esercita: il tecnico non può non praticare, secondo Marcel, la virtù
dell'esattezza, dal momento che nel campo tecnico l'imprecisione è
necessariamente punita. Il pensatore francese, poi, sottolinea la gioia sana che
accompagna la ricerca del tecnico intento a perfezionare il suo modo di
procedere. Egli, infatti, non si preoccupa di sé ma solo dell'opera da portare a
termine; il pensiero dei vantaggi materiali che la sua invenzione potrà
fruttargli è solo marginale, perciò in lui vanità ed ambizione non hanno motivo
di esistere. Fatte queste considerazioni, Marcel si pone il problema di quali
siano gli effetti della tecnica su colui che ne è solo beneficiario, in quanto
colui che fabbrica uno strumento o contribuisce a perfezionarlo, è raro che ne
diventi schiavo poiché " vi è qualche grado di libertà dal momento in cui vi
è creazione persino ai livelli piú modesti " ("La dignità umana e le sue
matrici esistenziali"). . Secondo Marcel, l'uomo moderno tende ad abusare del
potere che gli viene dalla tecnica ed è per questo che è necessaria un'attività
meta-tecnica di controllo, corrispondente ad un potere di secondo grado. Ma,
egli afferma, in una civiltà di tipo tecnico e non sacrale, il potere di secondo
grado, che altro non è se non la riflessione, tende inevitabilmente ad essere
screditato, poiché " un uomo divenuto maestro nell'esercizio di una o piú
tecniche sarà, in generale, portato a guardare con diffidenza tutto ciò che è
estraneo a queste tecniche " ("Il declino della saggezza "). In questo
contesto l'uomo, quindi, rischia di divenire, addirittura, prigioniero della
tecnica se non è in grado di dominarla e di subordinarla alla propria natura
umana. Marcel cita, a tal proposito, il filosofo tedesco Gunther Anders, il
quale, nel suo libro "Der Antiquierte Mensch" sostiene che l'uomo tende sempre
piú a pensare se stesso in funzione dei prodotti della sua stessa tecnica e,
paradossalmente, finisce con il sentirsi inferiore ad apparecchi così precisi e
sempre piú perfetti. Ciò, egli sottolinea, non può non avere delle conseguenze
etiche di notevole portata, poiché questa svalutazione dell'essere umano conduce
alla negazione radicale della trascendenza che la filosofia classica riconosceva
allo spirito. Secondo Marcel siamo di fronte, perciò, ad un fenomeno di
alienazione nel senso che " nelle condizioni di un mondo in cui le tecniche
affermano sempre piú la loro egemonia, l'essere subisce un'autentica
enucleazione ". La vita, in questa prospettiva, perde il suo peso
esistenziale e l'idea di uomo si decompone. L'individuo, infatti, non riesce che
a dare un'immagine indecifrabile di sé poiché tende a rappresentare il mondo e
quindi se stesso solo alla luce delle tecniche messe a punto. L'esplosione del
mondo oggettivo comporta l'annullamento del gnwqi
sauton ("conosci te stesso") socratico, una incredibile polverizzazione
del soggetto. Quest'ultimo non è piú riconosciuto come tale quando gli vengono
applicate tecniche invalse nel dominio della natura. Basti pensare, dice Marcel,
alle manipolazioni del cervello umano fra cui il ricorso al cosiddetto "siero
della verità", esempio inquietante della violazione della intimità, come se la
verità, nel senso puro e nobile della parola, possa avere a che fare con i
risultati di un'iniezione.
" Non è certo un caso che procedimenti del genere siano stati messi in
opera, con una fretta e una perseveranza senza paragone, da regimi totalitari di
cui non basta dire che non si preoccupano della verità, ma piuttosto che questa
è per loro il nemico numero uno, perché alla sua luce le pretese inconfessabili
che li muovono, si rivelano quelle che sono ".
Marcel parla anche di desacralizzazione della vita ,
intendendo dire che essa è stata spogliata di tutti quegli attributi sacri che
le venivano conferiti da un pensiero teocentrico che, nell'età della tecnica, è
stato sostituito da un antropocentrismo pratico. L'uomo, infatti, si sente
sempre piú come il solo principe in grado di attribuire un senso al mondo che,
altrimenti, ne sarebbe privo. La vita è ritenuta sempre meno un beneficio, un
dono di cui essere riconoscenti per cui l'uomo si arroga il diritto di
manipolarla. " La vita è considerata sempre piú qualcosa che non presenta
alcun valore intrinseco e che si può sopprimere pressappoco come si gira un
interruttore " 13, afferma Marcel in "Il sacro nell'età della tecnica" e
intende sottolineare come, nell'età della tecnica, l'atto di uccidere sia stato
privato di quel carattere di crimine che gli è proprio, per cui anche in quegli
individui che non si sono mai macchiati di alcun delitto e che, quindi,
rimangono legati ai canoni valutativi tradizionali, esso non suscita piú alcun
allarme. Marcel riconosce, pertanto, che in un momento in cui il primato
assoluto spetta alla tecnica, si determina inevitabilmente un processo di
desacralizzazione che investe la vita e tutte le sue manifestazioni. Egli si
chiede, quindi, come sia possibile lottare contro quella "legge di gravitazione"
che trascina l'uomo dalle tecniche verso gli eccessi della tecnocrazia.
Sostiene, in primo luogo, la necessità di reagire contro la dissociazione del
vitale e dello spirituale operata da un esangue razionalismo ma ritiene
fondamentale un riapprofondimento della nozione di vita alla luce del piú
elevato ed autentico pensiero religioso ed una riscoperta del sacro, non
considerato, però, come soluzione o rimedio facile agli effetti disumanizzanti
del vivere odierno; in tal caso, infatti, si rischierebbe di sconfinare in una
sorta di pragmatismo contrario ai propositi di Marcel. Egli si riferisce,
invece, ad una conversione sincera e profonda alla grazia, con la quale tutto si
spiega e si chiarisce, che non è, però, un far ritorno alla religione nelle sue
forme confessionali e catalogate. Solo cosí l'uomo potrà cercare di arginare la
disperazione che lo investe quando legge l'esistenza in termini quantitativi,
efficientistici e tecnologici. Marcel chiarisce, quindi, il concetto di disperazione : essa si presenta come l'esito inesorabile di
una vita che privilegia l'orizzonte dell'avere anziché dell'essere; ogni
possesso è, infatti, caratterizzato da una profonda instabilità poiché oscilla
continuamente tra la tensione dell'individuo verso l'appropriazione definitiva
della cosa e la tendenza continua dell'oggetto a sfuggire al possesso. È proprio
questa instabilità che determina sentimenti di paura, ansia e disperazione. A
quest'ultima, che è la dimensione esistenziale del misconoscimento dell'essere,
si oppone la speranza: " solo esseri totalmente liberi dalle pastoie del
possesso in tutte le sue forme sono in grado di conoscere la divina levità della
vita nella speranza " ("Homo viator"). Essa è considerata come apertura al
mistero dell'essere, come volontà di affermare che c'è, al di là di tutto ciò
che è dato, un principio misterioso che mi sorpassa, che mi invade e al quale
aderisco. Il contatto con l'essere, aggiunge Marcel, non avviene attraverso una
conoscenza puramente intellettuale poiché l'essere, in quanto mistero, non è
suscettibile di ricerca condotta esclusivamente con gli strumenti dell'indagine
scientifica. Il pensatore francese invita, pertanto, gli uomini a fare
professione di umiltà, a riconoscere, cioè, che l'intelligenza umana non può
chiarire ciò che le è superiore e non può ridurre alla sua dimensione ciò che la
trascende. L'essere è una luce che si rivela all'uomo e questi può soltanto
riconoscerla. Si viene, così, a stabilire un rapporto di presenza, di amore, tra
l'essere e noi uomini; questa relazione, puntualizza Marcel, vive solo finché
l'uomo le dà vita con la sua disponibilità nei confronti dell'essere. Se
l'individuo, invece, si chiude ad esso, perché troppo occupato di sè, vive in
una desolata solitudine che non può non sfociare nel suicidio: negando l'essere
l'uomo nega se stesso. Grazie all'incontro con l'essere, invece, l'uomo si
riscopre come unità, non come " un puro e semplice vivente, una creatura
abbandonata alla vita e senza prese su di essa " ("Manifesti metodologici di
una filosofia concreta") . Riconoscere il mistero ontologico implica "
affermare che c'è nell'Essere, al di là di tutto ciò che è dato, al di là di
tutto ciò che può fornire materiale per un inventario o servire di base ad una
qualsiasi valutazione, un principio misterioso che è mio complice, il quale non
può non volere anche lui ciò che io voglio, almeno fino al punto in cui ciò che
voglio merita effettivamente di essere voluto ed è effettivamente voluto da
tutto me stesso " ("Manifesti metodologici di una filosofia concreta").
Questo significa sperare: in altri termini, mentre la disperazione consiste nel
riconoscere la capacità delle tecniche presenti e future di risolvere i
problemi, la speranza, pur riconoscendo l'efficacia delle tecniche si pone su un
terreno che sfugge ad ogni tentativo di dominio. Marcel chiarisce,
ulteriormente, nel corso di un dibattito radiofonico del 12 maggio 1967 con il
filosofo tedesco Ernst Bloch, la natura della speranza ,
l'ambito della sua realizzazione e il nesso tra la speranza e la morte. " La
speranza è una proprietà universalmente umana, basata sulla piú universale
proprietà umana, intendo dire il desiderio e, ad un livello superiore, la
nostalgia " afferma Bloch, chiarendo, poi, che essa consiste nel
presentificare un futuro non ancora compiuto sia per il mondo esterno che per
l'io nella sua vita interiore. Marcel, invece, ritiene che la speranza sia
l'anelito di un'anima ad una forma di liberazione assoluta il cui compimento non
si realizza pienamente nell'arco della vita. Bloch limita la sfera dello
sperabile a ciò che può realizzarsi nella vita terrena, Marcel, invece, vede in
questa limitazione una sorta di disperazione, un precludersi la possibilità di
comprendere il nesso che intercorre tra speranza e morte. Per Marcel, infatti,
l'unica speranza che interessa veramente l'uomo è quella di essere liberato
dalla morte, cioè la speranza della resurrezione. Bloch, togliendo alla morte
ogni drammatica gravità, la considera lucrezianamente, come la fine di un
banchetto, dal quale i commensali si alzano sazi e soddisfatti. Marcel risponde
che una tale argomentazione e una siffatta concezione "gastronomica" della vita
risulta insignificante a chi, per esempio, ha perso un figlio o è affetto da
malattia incurabile. Emerge, quindi, la profonda distanza tra due modi di
intendere l'avventura umana: l'uno di tipo immanentistico, l'altro, invece,
profondamente religioso e aperto alla trascendenza. È evidente, nella ricerca di
Marcel, l'ispirazione cristiana nell'interpretazione dell'uomo; inoltre è
possibile ravvisare come il pensatore francese sia capace di intuizioni in grado
di rovesciare l'antropologia angusta di quanti tentano di rinserrare la
trascendenza nell'orizzonte soffocante dell'esistenza. Ciò che, tuttavia, mi ha
maggiormente colpito e che risulta particolarmente apprezzabile è la volontà di
Marcel di reagire, di dare una risposta significativa alla crisi storico-sociale
e filosofico-culturale che ha investito la società occidentale nel periodo tra
le due guerre e nel secondo dopoguerra, ma che continua a caratterizzare il
nostro tempo. Marcel ha cercato di restituire valore alla nozione di esistenza
facendo appello alle innumerevoli risorse di cui l'individuo è depositario. È
l'essere che fascia e avvolge l'esistenza, ma soprattutto che alimenta, secondo
Marcel, lo spazio della risorsa e della novità cui bisogna attingere. Pertanto,
la ricerca del pensatore francese risulta attraversata da un fondamentale
ottimismo, perché caratterizzata da un'inesauribile fiducia nell'uomo. Ne
risulta, quindi, sebbene il filosofo, per la scarsa preoccupazione di
sistematicità, lasci talvolta indefinite talune allusioni peraltro molto
stimolanti, una riflessione antropologica di straordinaria densità e profondità
che può contribuire efficacemente a dare un indirizzo piú serio alla moderna
concezione dell'uomo, dominato sempre piú da un inquietante disordine e da una
sconcertante inconsapevolezza.