Jean-Paul Sartre (1905-1980)
nacque a Parigi il 21 giugno 1905 , studiò filosofia e psicologia dal 1924 al
1927 all' Ecole Normale Supérieure, dove trovò compagni con i quali strinse
amicizia, quali P. Nizan, Marleau-Ponty e R. Aron, che suscitò il suo interesse
per Husserl e Heidegger. Nel 1929 Sartre conobbe Simone de Beauvoir, che sarà la
sua compagna fino alla fine della vita. Dopo aver insegnato filosofia al liceo
di Le Havre, Sartre usufruì nel 1933-1934 di una borsa di studio presso
l'Istituto francese di Berlino e intraprese lo studio della fenomenologia di
Husserl; sotto l'influenza di essa, ma anche dell'esistenzialismo di Heidegger,
nacquero i primi scritti di Sartre: L'immaginazione (1936), Abbozzo di
una teoria delle emozioni (1939), L'immaginario (1940) e il romanzo
filosofico divenuto celebre, La nausea (1938), nonchè la raccolta di
racconti Il muro (1939). Richiamato alle armi, nel giugno del 1940 Sartre
fu fatto prigioniero dai tedeschi, ma fu poi liberato e potè tornare a Parigi,
dove nel 1943 pubblicò la sua opera filosofica più impegnativa, L'essere e il
nulla , e il suo primo lavoro teatrale, Le mosche. Terminata la
guerra, Sartre diede inizio alla serie di romanzi intitolati I cammini della
libertà e, in collaborazione con Marleau-Ponty, Aron, Camus e altri fece
uscire la rivista 'Les temps modernes'. In risposta agli attacchi mossi alla sua
opera da parte dei marxisti e dei cattolici, pubblicò nel 1946 il breve scritto
L'esistenzialismo é un umanismo . Dopo aver dato vita al 'Rassemblement
démocratique révolutionnaire' come terza forza politica tra i due blocchi,
occidentale e sovietico, Sartre si avvicinò ai comunisti francesi come 'compagno
di strada': il momento cruciale di questo avvicinamento fu dato dagli articoli
intitolati I comunisti e la pace , pubblicati su 'Les temps modernes' nel
1952-1954. Essi segnarono la rottura definitiva dei suoi rapporti con Camus e
con Marleau-Ponty, che nelle Avventure della dialettica (1955) qualificò
la posizione di Sartre come 'ultrabolscevismo'. Ma nel 1956 il rapporto Kruscev
al XX congresso del PCUS e la repressione della rivolta in Ungheria furono
l'occasione per la pubblicazione dell'articolo Il fantasma di Stalin ,
che segnò il netto distacco di Sartre dai comunisti francesi. Egli intraprese a
questo punto la riflessione sul marxismo, che diede luogo al saggio Questioni
di metodo , apparso su una rivista polacca nel 1957 e poi incluso, come
parte iniziale, nella Critica della ragion dialettica , pubblicata nel
1960; in seguito Sartre pubblicò lo scritto autobiografico Le parole
(1963), che gli valse il conferimento nel 1964 del premio Nobel, da lui
rifiutato, e una imponente biografia di Flaubert, intitolata L'idiota di
famiglia (1971-1972). Sempre in prima linea nel prendere posizione sui
problemi politici dell'epoca, Sartre si schierò contro la politica francese in
Algeria, entrò a far parte del Tribunale Russell sui crimini americani in
Vietnam e nel 1968 appoggiò il movimento studentesco, condannando
l'atteggiamento del partito comunista francese in tale frangente e dirigendo il
giornale 'La cause du peuple'. Egli morì a Parigi nel quartiere latino, al
numero 47 di rue Bonaparte, il 15 aprile 1980. Le prime indagini di Sartre sono
volte alla costruzione di una psicologia
fenomenologica , in antitesi alla psicologia e alla filosofia francesi
contemporanee, dominate da una concezione naturalistica dei fatti psichici e dal
primato indiscusso assegnato al problema della conoscenza. Sartre é del parere
che la fenomenologia di Husserl consenta di cogliere il significato dei fenomeni
psichici, grazie al concetto di intenzionalità, che permette di evitare la
riduzione sia del soggetto all'oggetto, sia dell'oggetto al soggetto, cioè gli
scogli antitetici del realismo e dell'idealismo. A differenza di Husserl, però,
Sartre é convinto che il rapporto tra la coscienza e il mondo non sia innanzi
tutto in maniera privilegiata di tipo conoscitivo. E proprio per questo Sartre
concentra le sue indagini sui temi dell' immaginazione ( L'immaginazione e
L'immaginario ) e delle emozioni ( Abbozzo
di una teoria delle emozioni ), cioè su sfere non controllate direttamente
dalla ragione, alle quali guardavano con un certo interesse anche i surrealisti.
L' ego stesso é solo una modalità della coscienza e, più precisamente, la
modalità riflessa, secondaria rispetto a quella irriflessa, mentre le emozioni
sono non manifestazioni imperfette o disturbate della coscienza, ma modalità
essenziali in cui la coscienza si rapporta al mondo esterno e gli conferisce
significato. Diversamente da Husserl, che privilegiava il soggetto
trascendentale, Sartre, influenzato da Heidegger, insiste sull'essere-nel-mondo
proprio dell'uomo: le emozioni coinvolgono e modificano la totalità dei rapporti
umani col mondo. Attento ai risultati della psicologia della forma (
Gestalt ), Sartre mette in evidenza che ogni fatto psichico é forma ed é
dotato di una struttura, non é la semplice composizione di elementi antecedenti
isolati. L'errore della psicologia associazionistica é di frantumare la
continuità della corrente psichica. Per Sartre, invece, l'immagine non é un
elemento che entra a far parte della corrente della coscienza: ' l'immagine é
un atto e non una cosa ' , é coscienza di qualcosa, ma il suo contenuto non
deriva dal mondo esterno. L'immaginazione, infatti, non é la copia o la
rappresentazione di una cosa che non é più presente materialmente, ma é
un'attività libera, volta a fini diversi da quelli della percezione. Essa non ha
dunque una mansione conoscitiva e non é valutabile secondo i parametri del vero
e del falso; la sua funzione é invece derealizzante , cioè consiste nel
tenere il reale a distanza, nell'essere liberi di fronte ad esso e nel negarlo,
in modo da dar luogo alla costituzione di un oggetto di coscienza autonomamente
caratterizzato. Condizione essenziale per l'esercizio dell'immaginazione e
quindi per la formazione delle immagini é infatti il trascendere della
coscienza, il suo andare al di là delle cose e della realtà particolari, cioè un
atto di libertà nei confronti del mondo: del resto,
spiega Sartre, é l'uomo che dà senso al mondo, mentre il mondo, di per sé, non
ha alcun senso. Fin dall'inizio della sua riflessione, Sartre pone dunque al
centro il problema della libertà e scorge nell'immaginazione, cioè nella
negazione dell'esistente per qualcosa di altro rispetto ad esso, l'elemento
fondamentale per l'esercizio della libertà stessa.
La tematica della libertà é il
fulcro de L'essere e il nulla , che ha per sottotitolo Saggio di
ontologia fenomenologica ; l'essere della coscienza, che Sartre definisce il
per-sè , é caratterizzato dall'intenzionalità: la
coscienza é sempre coscienza di qualcosa che non é coscienza. Il correlato é l'
in-sè , cioè l'essere delle cose e dei fenomeni nel
loro aspetto massiccio e opaco, alieno a ogni rapporto e caratterizzato dalla
sua semplice presenza. Diversamente da quel che dicono le filosofie
idealistiche, l'essere dei fenomeni é irriducibile alla coscienza, ma anche la
coscienza, in quanto capacità di trascendere le cose e le situazioni, é
irriducibile all' in-sè. La coscienza, quindi, non si identifica mai con
l'in-sè, é esistenza, é sempre fuori di sè, azione e movimento permanentemente
proteso in avanti, senza poter mai coincidere con la propria essenza. In questo
senso, la coscienza é sempre incompiutezza e mancanza alla ricerca del proprio
completamento: il nulla é la condizione necessaria
del per-sè, che fa sempre l'esperienza del nulla in ogni atto dell'esistere e
dell'agire. Ogni risposta che il soggetto fornisce alle proprie domande é anche
sempre negazione. Il nulla é dunque intrinsecamente legato all'essere, pur non
essendo da esso generato: é generato da quell'essere in cui si fa questione del
nulla del suo essere, cioè dall'essere della coscienza, che si eterna a non
essere l'in-sè, e la cui condizione indispensabile é la libertà; essere libero
vuol dire decidere direttamente dei propri atti ed esserne totalmente
responsabili. L'atto originario in cui la libertà si cala é la scelta . Essa non é tipica solo degli atti riflessivi, ma
di tutti gli atti, dal momento che non é determinata solo dalla ragione, ma
anche da pulsioni e intenzioni che esulano dalla riflessione; la ragione stessa,
d'altronde, non é altro che una scelta possibile. La libertà della scelta crea
però l'angoscia di fronte al possibile, che é indeterminato, dal momento che non
é, cosicchè la coscienza presagisce che il non essere non é fuori, ma é
propriamente in essa. L'esistente si scopre così condannato ad esistere sempre
al di là della propria essenza, cioè 'condannato alla libertà' come continuo
trascendimento di quel che esso di volta in volta é: ' non siamo liberi di
cessare di essere liberi '. E da qui nasce la tendenza a fuggire da se
stessi, evadendo dalla propria libertà e responsabilità e reificandosi, cioè
riducendosi ad una cosa tra le altre: é questa la malafede , con cui si costruisce un'immagine fasulla di sè
e della propria condizione, e si recita una parte. Questa parte consiste nel
mentire a se stessi, ma non si tratta di una menzogna deliberata, dato che il me
che viene ingannato fa parte dello stesso io che inganna: si genera così una
scissione che crea infelicità. La coscienza incontra l'essere non solo nella
realtà massiccia e opaca delle cose, ma anche nell' altro , nell'altra coscienza, e mediante essa le si
presenta la speranza di poter evadere dal proprio stato di mancanza. Ma anche
l'essenza dell'altro é negazione: esso é ' l'io che non é me ' . Anche il
rapporto con l'altro é, dunque, segnato da una netta negatività. L'esperienza
originaria tramite la quale si istituisce questo rapporto é data dallo sguardo , nel quale l'altro mi appare in un primo tempo
come una cosa, poi come una cosa che ha rapporto con altre cose e, infine, come
l'altro che mi guarda. Col suo sguardo, l'altro conosce me meglio di quanto io
possa conoscere me stesso, dato che io non posso mai oggettivarmi, distanziarmi
come un oggetto da me stesso. In questo modo, arrivo alla conclusione che '
io sono quel me che un altro conosce ' e mi sento trasformato in un
oggetto inerme e nudo davanti all'altro. Con lo sguardo, l'altro aliena le mie
possibilità, cosicchè non sono più padrone della situazione: affiorano così le
emozioni del timore, del pudore, della vergogna, dell'orgoglio. I rapporti tra
l'io e l'altro, cioè i rapporti tra le coscienze, sono dunque, nella loro
essenza, conflittuali e Sartre può ironicamente affermare che ' l'inferno
sono gli altri '. Le polarità del rapporto con l'altro assumono la forma
dell' odio e dell' amore ,
ambedue fondati sul rapporto sessuale, che svolge una mansione fondamentale nei
rapporti intersoggettivi; ma sia l'odio, come tentativo di annullare l'altro
nella sua alterità, riducendolo a corpo e strumento e privandolo di ogni
reciprocità, sia l'amore, come tentativo di possedere l'altro senza oggettivarlo
e ridurlo a cosa o a strumento, si rivelano impossibili. Naufragati i progetti
di raggiungere l'unione con l'altro, tramite il suo annullamento o la
conciliazione con esso, il rapporto con l'altro può assumere le vesti della
cooperazione nell'essere insieme del gruppo o della classe sociale, ma anche in
questi casi l'altro rimane inafferrabile e il rapporto tra le coscienze continua
a configurarsi come conflittuale. L'oggetto del desiderio dell'essere umano si
ubica sempre al di là del suo essere, è un non essere, ma nel momento in cui lo
desidera l'uomo lo fa essere: in questo consiste il valore , il cui senso consiste nell'essere quello in
direzione di cui un essere va oltre il suo essere. I valori, dunque, non
esistono oggettivamente in sè, ma nascono con l'uomo, con il per-sè, non in
quanto egli li pone come qualcosa che viene ad esistere in sè, come un fatto o
una cosa, ma in quanto essi si correlano alla coscienza come qualcosa che si
pone sempre al di là di essa. Questo vuol dire che l'uomo è caratterizzato da
una mancanza costruttiva, per la quale non raggiunge mai la piena identità con
se stesso, la conciliazione del per-sè con l'in-sè, ma vive sempre nel
possibile: ed é per questo che all'uomo é dato di scegliere e agire in base a
valori, cercando di realizzarli nel tempo, progettandosi e trascendendo
incessantemente verso un'altra situazione. La comprensione delle scelte e dei
progetti che costituiscono l'essere dell'uomo é il compito di quella che Sartre
definisce ' psicanalisi esistenziale ' ; Sartre é
d'accordo con Freud che ogni gesto e ogni parola hanno senso se sono riferiti
alla totalità dell'uomo, ma é del parere che Freud rimanga ancorato ad
un'impostazione materialistica e deterministica, che imprigiona l'uomo nella sua
natura e nel suo passato, privandolo della capacità di scelta. A suo parere,
invece, la coscienza può elaborare ogni sorta di desideri, non determinati a
priori, i quali si specificano in progetti particolari. L'insieme dei dati coi
quali questi progetti si scontrano costituisce la situazione , che i progetti cercano incessantemente di
trascendere, ma senza potersi mai sottrarre ad una situazione. Sotto questo
profilo, la libertà umana é non essere e alienazione, che di volta in volta
viene superata, ma mai definitivamente. La totalità cui l'uomo tende é la
conciliazione di in-sè e per-sè: perciò ' l'uomo é l'essere che progetta di
essere Dio ' , ma Dio è altro dall'uomo e pertanto risulta inattingibile.
L'uomo é dunque un 'Dio mancato' e una 'passione inutile' e tutte le sue azioni
e le sue scelte risultano assurde e negativamente equivalenti. In L'essere e
il nulla Sartre spiega che l'esistenza umana, che ha come dimensione
costitutiva la coscienza, non è un dato nè è riducibile ad un dato; essa è anzi
continuo superamento e trascendimento del dato, dell'essere in-sè, in vista di
fini e risultati che si collocano sempre oltre, che rinviano al non ancora
esistente. In quanto tale, essa è dunque sempre annullamento di quel che
soltanto è nella sua massiccia presenza: tramite essa, il nulla viene al mondo.
Proprio per questo, il nulla è condizione della libertà come possibilità e
scelta continua di trascendere il mondo.
L'essere e il nulla fu
oggetto di critica da parte dei marxisti e dei cattolici: i cattolici vi
scorsero una filosofia atea e materialistica, mentre i marxisti lo imputarono di
idealismo e di pessimismo. Nel saggio L'esistenzialismo é un umanismo
(1946), Sartre si difese da queste accuse, rifiutando le interpretazioni del suo
esistenzialismo in chiave pessimistica e individualistica. L'esistenzialismo é
una filosofia dell'uomo libero, legato da rapporti costitutivi con gli altri
uomini e dalla responsabilità nei loro confronti. Egli ha dunque la sua
fondamentale componente morale nell' impegno verso sè
e verso gli altri, al fine di rendere più umano il mondo. In
L'esistenzialismo é un umanismo Sartre cerca di smorzare il pessimismo
delle sue tesi precedenti. Anzi si dichiara apertamente per l'esistenzialismo e
lo considera una dottrina dell'impegno e della responsabilità. L'esistenzialismo
viene da lui definito come quella dottrina per la quale "l'esistenza precede
l'essenza", nel senso che l'uomo, in primo luogo esiste, cioè si trova nel
mondo, e dopo si definisce per quello che è o vuole essere. Se dunque
l'esistenza precede l'essenza, non sarà mai possibile spiegarla in riferimento
ad una natura umana data e immodificabile. In altre parole, non c'è
determinismo, l'uomo è libero, l'uomo è libertà. E se l'uomo è libero, è anche
responsabile di quello che fa. Così, dice Sartre, il primo passo
dell'esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e
di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza. E quando
l'uomo sceglie, sceglie anche per tutti gli uomini. Così la nostra
responsabilità è molto più grande di quello che potremmo supporre, poiché essa
obbliga l'umanità intera. ' Se Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei
valori o degli ordini in grado di legittimare la nostra condotta. Così non
abbiamo delle giustificazioni o delle scuse. Siamo soli, senza scuse. E' ciò che
esprimerò con le parole che l'uomo è condannato ad essere libero. Condannato
perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta
gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa ' . In conclusione,
l'esistenzialismo è una dottrina ottimistica perché afferma che il destino
dell'uomo è nelle mani dell'uomo stesso e che l'uomo non può nutrire speranza se
non nell'azione. E' questo il presupposto che guida la costante denuncia
sartreiana delle forme di oppressione: in questo egli ripone il compito
dell'intellettuale come latore di valori universali e difensore della libertà.
In Che cos'é la letteratura? (1946-1947) Sartre delinea la figura dello
scrittore impegnato e una concezione della letteratura come azione, guidata dal
progetto di distanziarsi dall'esistente, mostrando la realtà quale é e
conducendo all'assunzione di responsabilità nei confronti di essa. Il marxismo
per Sartre, in questa fase rappresenta una teoria dell'azione rivoluzionaria, ma
coniugata con una filosofia errata, materialistica e deterministica, la quale
porta al settarismo e all'eliminazione della soggettività. Fedele ad una
costante anarchica del suo pensiero, sebbene si schieri con gli oppressi, Sartre
si sente alieno all'apparato organizzativo del partito comunista francese,
subordinato all'egemonia sovietica. Ma a partire dall'opera teatrale Il
diavolo e il buon Dio (1951) egli mette in luce la vanità dell'opposizione e
della rivolta meramente individuale e la necessità di operare in collegamento
con la classe oppressa, organizzata in partito. I fatti di Ungheria e il disgelo
dopo il 1956 portano al centro del dibattito marxista in Francia, grazie anche
alla riscoperta del giovane Lukàcs, i temi dell'alienazione e della
reificazione. In questi anni, Sartre perviene alla conclusione, illustrata nelle
Questioni di metodo (1957), che ' il marxismo é l'insuperabile filosofia del nostro tempo ',
dal momento che fornisce gli strumenti concettuali che permettono di
comprenderlo e di trasformarlo. Il marxismo, però, si é sclerotizzato sul piano
teorico, perchè i partiti comunisti, temendo che le discussioni e i dissensi
possano minacciare l'unità della lotta politica, lo hanno trasformato in un
insieme dogmatico di dottrine, con la conseguente scissione fra teoria e pratica
politica. Questo marxismo dogmatico, interpretando in chiave deterministica il
rapporto struttura-sovrastruttura, si é privato di un'autentica capacità
esplicativa dei fenomeni storici e culturali: famosissimo in questo senso é
l'esempio addotto da Sartre, secondo cui Valéry é un intellettuale piccolo
borghese, ma non ogni intellettuale piccolo borghese é Valéry. Questo vuol dire
che per comprendere un autore e i suoi lavori non é sufficiente far riferimento
alle sue condizioni socio-economiche, ma bisogna tener presente anche la sua
personalità e la sua storia familiare. Di qui l'importanza che Sartre
attribuisce alla psicoanalisi e alle scienze umane: su queste basi, egli
costruirà in seguito la biografia di Flaubert ( L'idiota di famiglia ).
Si tratta allora di ricostruire il rapporto dialettico tra l'uomo e la sua
situazione storica nella complessità delle sue componenti. Sotto questo profilo
Sartre ritiene necessario integrare il marxismo con l' antropologia esistenzialista , capace di elaborare una
teoria del soggetto della storia contro tutte le forme di meccanicismo e
antiumanismo. Il problema centrale, invece, cui ruota attorno la Critica
della ragion dialettica é la comprensione della storia . Hegel e Marx hanno messo in evidenza che il motore
di essa sono i conflitti e che la dialettica é il
principio del movimento storico. Il marxismo dogmatico, però, ha inteso la
dialettica come una legge della natura stessa; bisogna però liberare il marxismo
da questa metafisica naturalistica, ritornando a porre al centro l'uomo come
soggetto agente. La dialettica, infatti, più che rappresentare la connessione
oggettiva tra gli uomini, le cose e le istituzioni economiche, sociali e
politiche, é in primis prassi , cioè attività
totalizzante che si articola in progetti. Questa totalizzazione é sempre in
corso, non coincide mai con una totalità già data: questa rappresenta piuttosto
quello che Sartre definisce il pratico-inerte , il
residuo della prassi, cioè la realtà oggettiva che si configura come mera
oggettività, dato che l'uomo si trova a subire l'azione delle cose che egli
stesso ha prodotto. Sartre condivide, in una certa misura, la tesi di Hegel
dell'identificazione dell'alienazione con l'oggettivazione. La realtà materiale
infatti é alterità assoluta rispetto al soggetto: essa é una minaccia incombente
su ogni azione umana, la quale é costretta a esteriorizzarsi e oggettivarsi e,
pertanto, non può presumere di operare con assoluta libertà e di poter
realizzare tutti i propri fini: ogni azione dà luogo a risultati imprevisti e a
controfinalità negative. Il fondamento dell'azione umana é il bisogno , che costringe il soggetto ad istituire un
rapporto con il mondo oggettivo: questo rapporto assume la forma del lavoro come mezzo per soddisfare quel bisogno, ma
comportando un rapporto materiale diretto con le cose, impone all'uomo di farsi
egli stesso oggetto. D'altronde il lavoro rappresenta anche il modello di una
prassi orientata verso un fine, cioè di una totalizzazione e di un progetto
volto al superamento dialettico della situazione data. Sotto questo profilo, la
prassi individuale si intreccia con la prassi degli altri e la mediazione con
l'altro assume la modalità fondamentale della reciprocità , cioè del riconoscimento dell'altro come
soggetto anch'egli della prassi e, al tempo stesso, come mezzo per il
raggiungimento di un fine, rispetto al quale anch'io sono un mezzo. La penuria (in francese 'rareté'), cioè la scarsità oggettiva
di beni materiali per il soddisfacimento dei bisogni umani, rende però questo
rapporto intersoggettivo una lotta dell'uomo con l'uomo e fa soggiacere al
dominio del pratico-inerte. In questa situazione, gli uomini formano un semplice
aggregato, una i pluralità di solitudini ' senza alcun rapporto di
reciprocità e potenzialmente conflittuali tra loro. Il modo di essere di questa
molteplicità, che caratterizza la vita degli uomini nella società contemporanea,
dall'attesa dell'autobus alle mansioni svolte in ufficio, é quello della serie , in cui ogni individuo ha scopi ed esercita mansioni
impostegli dall'esterno ed é dunque intercambiabile con ogni altro individuo. La
reazione spontanea contro l'impossibilità di vivere come serialità é il gruppo , in quanto prassi intenzionale di soggetti umani
collegati tra loro allo scopo di rovesciare questa situazione storica, sfuggendo
alla passività e all'inerzia. Esso é movimento che nasce da un pericolo comune,
al quale intende reagire mediante una prassi comune. Nel momento caldo iniziale
si realizza una integrazione reale degli individui, che si scoprono capaci di
agire secondo fini e liberi membri di un insieme organico, in cui nessuno
comanda e nessuno obbedisce, ma tutti sono pervasi da una comune volontà di
lotta contro comuni nemici. E' il gruppo in fusione ,
quale si costituisce nelle fasi iniziali dei movimenti rivoluzionari. Quando
però viene meno la pressione del pericolo esterno, l'evidenza di scopi e la
necessità di una prassi comune tendono a sparire. Per impedire che l'individuo
ricada in forme di prassi meramente individuali, il gruppo, che prima era il
mezzo per il raggiungimento di fini comuni, propone se stesso come fine. La cosa
importante diventa salvaguardare l'esistenza del gruppo e a questo provvedono
l'organizzazione e poi l'istituzionalizzazione del gruppo, ma, così facendo, il
gruppo ricade nella serialità. La violenza contro l'esteriorità viene allora
trasferita all'interno del gruppo, per salvaguardare la fratellanza, ma a
condizione di un regime di crescente terrore , in
modo simile a come avvenne nella Rivoluzione Francese nella fase giacobina. Il
gruppo organizzato infatti scorge negli individui liberi un ostacolo e un
pericolo per la sua unità e pertanto si trasforma in una istituzione, rispetto
alla quale l'individuo é inessenziale e deve essere subordinato. In questa
situazione, l'individuo, a cui é sottratto ogni potere, non si sente più in un
rapporto di trasparenza e di reciprocità con il gruppo organizzato, ma asservito
ad interessi superiori. E' questo lo scacco nel quale si concludono i movimenti
rivoluzionari e che appare a Sartre esemplificato nell'esperienza sovietica.
Anche nella ricostruzione della dialettica della storia continuavano ad operare
presupposti che avevano sorretto l'analisi dell'esistenza nell' Essere e il
nulla : la centralità del soggetto dell'azione, la descrizione della prassi
in termini di libertà e di progetto e la contrapposizione tra il polo
soggettivo, che conferisce senso alle cose, e l'oggettività, come momento
meramente negativo. Nell'ultima sua grande opera di contenuto teoretico, la
Critica della ragione dialettica, Sartre ci presenta la teoria
dell'azione e della storia come una reinterpretazione originale dei rapporti tra
esistenzialismo e marxismo. In primo luogo la libertà, che nelle opere
precedenti era stata considerata da Sartre come assoluta e incondizionata, viene
adesso ridimensionata. L'uomo è sempre dichiarato libero ma la sua libertà
dipende anche dagli altri e dal contesto sociale in cui si trova. ' Dire di
un uomo ciò che egli è, significa dire ciò che egli può e reciprocamente: le
condizioni materiali della sua esistenza circoscrivono il campo delle sue
possibilità ... così il campo del possibile è lo scopo verso il quale l'agente
oltrepassa la sua situazione obiettiva. E questo campo, a sua volta, dipende
strettamente dalla realtà sociale e storica '. Perciò Sartre dice di
accettare la concezione materialistica di Marx, per cui ' il modo di
produzione della vita materiale domina in generale lo sviluppo della vita
sociale, politica e intellettuale '. Egli rifiuta però nettamente il
materialismo dialettico di Engels. Sartre rifiuta in primo luogo le leggi della
dialettica della realtà proposte appunto da Engels dicendo che ' questa
dialettica può effettivamente esistere, ma bisogna riconoscere che non ne
abbiamo la benché minima prova '. Egli insomma non accetta le leggi proposte
da Engels come regole che guiderebbero lo sviluppo della natura, della storia e
del pensiero. L'ammissione di quelle leggi, secondo Sartre, implicherebbe un
"beato ottimismo" che proclama un finalismo di tipo hegeliano e, cosa ancora più
inammissibile, ridurrebbe l'uomo ad un semplice strumento passivo della
dialettica, incapace di sottrarsi al più rigido determinismo. La dottrina della
dialettica, nota Sartre, è diventata oggi una sorta di dogma per cui il marxismo
odierno ' non sa più di nulla : i suoi concetti sono Diktat; il suo fine non
è più di acquistare cognizioni, ma di costituirsi a priori come sapere
assoluto '. E poiché il marxismo ha dissolto gli uomini "in un bagno di
acido solforico", l'esistenzialismo ha potuto invece ' rinascere e mantenersi
perché affermava la realtà degli uomini '.
La nausea , scritta da
Sartre quando correva il 1938, non é certo un romanzo nel senso tradizionale del
termine, in quanto manca di veri e propri eventi narrativi. Si tratta infatti di
un vero e proprio diario filosofico tenuto da Antoine Roquentin, un
intellettuale sradicato che conduce la sua vita a Bouville, città immaginaria
che, come si può evincere dalle descrizioni, ricorda Le Havre, dove Sartre si
trovava ad insegnare in quegli anni. La vita di questo intellettuale non é certo
avvincente e ricca di emozioni: egli alloggia in una camera d'albergo, scrive
senza convinzione alcuna la monografia di un personaggio storico minore, va di
tanto in tanto a letto con la padrona di un caffè, e si annoia nella solitudine
più squallida ed esasperante. Lo circonda infatti un mondo ermeticamente chiuso,
l'ambiente meschino e convenzionale della piccola borghesia di provincia, da cui
si sente lontanissimo. ' Mi sembra di appartenere ad un'altra specie. Escono
dagli uffici, dopo la giornata di lavoro, guardano le case e le piazze con aria
soddisfatta, pensano che é la loro città, una bella città borghese. Non hanno
paura, si sentono a casa propria... Gli imbecilli. Mi ripugna pensare che sto
per rivedere le loro facce solide e rassicurate '. Li odia ancora di più
quando contempla al Museo il ritratto dei borghesi illustri di Bouville, '
irritanti nella loro rispettabilità stereotipata e nella loro spocchia '.
E' evidente che essi si credono in regola con Dio, con la Legge, con la loro
coscienza: ' Addio, bei gigli, così delicati nei vostri piccoli santuari
dipinti, addio bei gigli, nostro orgoglio e nostra ragion d'essere, addio
Sporcaccioni '. Così, mancando di un effettivo rapporto interpersonale con
gli 'altri', il narratore si rende conto in modo sempre più acuto che niente
giustifica l'esistenza; l'unico personaggio descritto con un certo rilievo é il
patetico Autodidatta, che rappresenta l'illusione della cultura: egli ha aderito
al socialismo, dice di amare più di ogni cosa gli uomini e di non credere in
Dio. Roquentin si rende così conto che non vi é nulla che possa giustificare
l'esistenza; è l'uomo che dà senso al mondo, mentre il mondo, di per sé, non ha
alcun senso. Riflettendo sulle ragioni della propria esistenza e del mondo che
lo circonda, ha l'esperienza rivelatrice della nausea. La nausea è il sentimento
che ci invade quando si scopre l'essenziale assurdità e contingenza della
realtà. Scoprire che il mondo non ha un senso, così come un senso non ha
l'esistenza, provoca la nausea, un disgusto di tutto: oltre che degli uomini,
buffi manichini inautentici (checchè ne pensi l'Autodidatta), delle cose,
gratuite e ingiustificabili. ' Il mondo... questo grosso essere assurdo. Non
ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai
esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente
dappertutto, davanti, dietro. Non c'era stato niente prima di esso. Niente. Non
c'era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto
questo che m'irritava : senza dubbio non c'era alcuna ragione perché esistesse,
questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse. Era
impensabile : per immaginare il nulla occorreva trovarcisi già, in pieno mondo,
da vivo, con gli occhi spalancati, il nulla era solo un'idea nella mia testa,
un'idea esistente, fluttuante in quella immensità : quel nulla non era venuto
prima dell'esistenza, era un'esistenza come un'altra e apparsa dopo molte altre
[...] Scoprire che il mondo non ha senso, che è assurdo, provoca la nausea.
[...] L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione,
l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente : gli
esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è
qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare
questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. orbene, non
c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza : la contingenza non è
una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per
conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa
città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo
stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea [...] La Nausea non è in
me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa
tutt'uno col caffè, son io che sono in essa [...] Ed ora lo so: io esisto- il
mondo esiste- ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi é indifferente. E'
strano che tutto mi sia ugualmente indifferente: é una cosa che mi mette paura.
E' cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giocare a far rimbalzare i
ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è allora
che è cominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state altre Nausee;
di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano". '
La vita di Roquentin si scopre dunque priva di senso; nessun scopo riesce più ad
orientarla; egli esiste come una cosa, come tutte le cose che emergono,
nell'esperienza della nausea, nella loro gratuità ed assurdità: ' ogni
esistenza nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per
combinazione '. Tutto gli appare come gratuito, contingente, di troppo.
Perchè quel ciottolo? Perchè quella radice? Perchè quegli alberi? Esistono,
certo, ma perchè? ' Tutto é gratuito, questo giardino, questa città e io
stesso. Quando capita di accorgersene, viene il voltastomaco e tutto comincia ad
oscillare; ecco la Nausea; ecco quello che gli Sporcaccioni cercano di
nascondere con la loro idea del diritto. Ma che misera menzogna! ' Nessuno
ha il diritto. ' Gli Sporcaccioni sono interamente gratuiti, come gli altri
uomini '. Sono di troppo, tutti lo siamo. Solo che non possiamo impedirci di
esistere, nè di pensare: anzi, è proprio in virtù del nostro pensare
all'assurdità dell'esistere che siamo colti dalla Nausea; fino a pochi istanti
fa, si nuotava in un mare tiepido e pacato e poi di colpo, non appena si
riflette sull'esistenza, ci si sente sospesi sopra un abisso. Gli Sporcaccioni
nuotano con fiducia e rifiutano di pensare all'abisso, ma Roquentin (e Sartre)
vedono la precaria contingenza, la 'fatticità' dell'esistere. Ma come si può
fuggire da questa situazione esasperante? Una donna che era stata l'amica di
Roquentin, Anny, suggeriva una scappatoia con i 'momenti perfetti'; non ci
possiamo avvalere di nessun aiuto esterno, dobbiamo cavarcela da soli, in balia
di noi stessi e della Nausea. Ed ecco che in questa situazione disperata
finiscono per affiorare in Roquentin interessi (la monografia del personaggio
storico) e ricordi, un sentimento amoroso non sopito (l'amica Anny), un moto di
pietà, di simpatia umana e, infine, la possibilità di accettarsi, di accettare
l'esistenza, provando a darle un senso, provando magari a vivere al meglio ogni
momento della nostra vita, per collezionare così dei veri e propri 'momenti
perfetti'. Sartre ha vissuto la nausea e ha dovuto scriverla; noi viviamo la
nausea e dobbiamo assolutamente leggere questo libro.
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