1- la conoscenza umana non può mai andare oltre ciò che è oggetto di sensazione;
2- l'intelligenza o la capacità di riflessione sono pienamente riconducibili alla quantità e alla qualità delle esperienze sensoriali, cioè ai rapporti con l'ambiente.
Anche il giudizio, considerato tradizionalmente il fondamento di ogni conoscenza, è ricondotto alla sensazione. Un giudizio è, per Helvétius, un'immagine mentale, nella quale sono collegate sensazioni diverse. Anche la morale, così come la conoscenza, deriva interamente dall'esperienza, tramite un processo ben preciso: le valutazioni morali sono regolate da una sorta di meccanismo automatico, l'interesse individuale, che si esprime prima di tutto nella tendenza alla propria conservazione, ma investe ogni altro tipo di valutazione e di scelta. Le prime passioni dalle quali è determinato il comportamento umano sono quelle naturali, legate ai bisogni elementari e alle sensazioni del piacere e del dolore; derivano da queste le passioni artificiali, più complesse delle prime. A differenza delle passioni naturali, che sono comuni per tutti gli uomini, quelle artificiali dipendono dall'ambiente in cui si vive e dall'organizzazione politica in cui gli individui si formano. La società dunque determina la natura stessa dell'uomo, sia dal punto di vista cognitivo che morale. Helvétius considera l' ambiente , l'ambiente storico-sociale, determinante per la formazione di un uomo, in seguito alle esperienze avute ed agli eventi vissuti. L'organizzazione sociale determina il tipo di uomo, la sua sensibilità, il modo di intendere il bene e il male. Di conseguenza tutti gli individui che vivono nella medesima società hanno una morale comune poichè sono tutti formati da cause simili. Da ciò deriva anche che le diverse società hanno differenti valori e ciò che è bene per l'una non lo è per le altre. La virtù non è arbitraria nè immutabile. Essa è funzionale al bene di una determinata società, relativamente alle sue condizioni materiali e all'organizzazione particolare che ha. Nessun costume, seguito da tutto un popolo, è irrazionale: se studiato attentamente, mostra sempre una ragion d'essere, in rapporto al contesto in cui è inserita. anche a livello collettivo, il criterio per distinguere il bene e il male è l'interesse: è definito "virtù" il comportamento del singolo che giova alla società del suo insieme, "vizio" ciò che la danneggia. Non tutti i costumi sono però virtù soltanto in quanto diffusi in una popolazione. Helvetius distingue le virtù vere, quelle cioè che svolgono una funzione sociale positiva, dalle virtù di pregiudizio, dannose o inutili per la collettività e derivanti da false convinzioni. L'analisi di Helvétius muove dal sensismo, sottolinea poi l'importanza dei fattori ambientali nella formazione dell'esprit, ricondotto a una dimensione storico-sociale, per approdare infine, come conseguenza di questo approccio, al riconoscimento della diversità culturale e della pluralità dei valori. Sapendo che Helvétius appartiene alla corrente materialista, considerando questo titolo (“Dello Spirito”) ci si potrebbe aspettare che si tratti di una dimostrazione del carattere materiale dello spirito, del carattere materiale dei processi di pensiero. Invece non è affatto così, non è in quest'ottica che viene presentato, bensì lo spirito è preso in considerazione nei suoi rapporti con la società, nei suoi rapporti con l'educazione, compreso lo spirito nel senso più corrente del termine, come nella locuzione: “avere spirito”. E attraverso questa esposizione apparentemente eclettica, ricca di riferimenti eruditi, nutrita di aneddoti e citazioni, che vengono introdotte all'interno delle frasi quelle espressioni che attestano inequivocabilmente il materialismo di Helvétius. Se si considerano tali espressioni (e il modo in cui vengono introdotte) si può giungere alla conclusione che Helvétius sia ancora largamente inserito nella tradizione libertina . I suoi procedimenti di scrittura, i suoi metodi di dissimulazione, di insinuazione sono tipicamente libertini. Quindi, sotto molti aspetti (malgrado l'importanza e il talento, anzi il genio di Helvétius), abbiamo a che fare con un pensiero che è ancora dipendente da questa antica tradizione. D'altra parte vi sono certamente in Helvétius (sempre sotto questa forma tanto prolissa quanto originale), delle critiche estremamente accese contro il regime politico, contro il regime sociale della Francia del suo tempo, (ovvero dell'Ancien régime), e quindi implicitamente egli ha anche una funzione negativamente rivoluzionaria. Resta inteso che l'opera di Helvétius, come quella di tutti i materialisti, nella misura in cui distrugge gli idoli o i pregiudizi, (o intacca le fondamenta della vecchia società) svolge per ciò stesso un ruolo rivoluzionario o pre-rivoluzionario. Ma in Helvétius non è presente alcun orientamento direttamente rivoluzionario, alcun appello alla rivoluzione, né alcuna ipotesi di una trasformazione rivoluzionaria della società. Helvétius è un uomo che fa ancora affidamento (come molti altri pensatori del suo tempo) su ciò che è stato chiamato, a torto o a ragione, il “dispotismo illuminato”, fa affidamento in ogni caso sui grandi di questo mondo, sui potenti, sui governanti per far progredire la società. E infatti nella prefazione alla sua opera postuma “Sull'uomo”, curiosamente egli dice: " non c'è più niente da sperare in Francia ". Siamo nel 1772, a meno di vent'anni dalla Rivoluzione ed Helvétius da parte sua non conta su nessuno in Francia e aggiunge “ su chi potrebbe essere riposta la speranza? Sull'Austria forse o sulla Russia, contando forse sull'imperatore Giuseppe II o sull'imperatrice Caterina, su quei paesi insomma, poiché non credo che sulla Francia possano essere riposte delle speranze ”. Il che evidentemente è proprio l'opposto di un orientamento rivoluzionario.
Se per educazione si intende semplicemente quella che si riceve negli
stessi luoghi, e da parte degli stessi maestri, essa risulta allora la medesima
per un’infinità di uomini. Ma se a questo termine si attribuisce un significato
piú autentico e piú esteso, comprensivo di tutto quello che coopera alla nostra
istruzione, si può dire che nessuno riceve la stessa educazione. Infatti ognuno
ha per propri maestri, per cosí dire, la forma di governo sotto la quale vive, i
suoi amici, le sue amanti, la gente da cui è circondato, le sue letture, e
infine il caso - cioè un’infinità di avvenimenti di cui, per la nostra
ignoranza, non siamo in grado di scorgere la concatenazione e le cause. Questo
caso ha una parte assai maggiore di quella che si ritiene nella nostra
educazione. Esso pone certi oggetti sotto i nostri occhi, ed è quindi occasione
delle idee piú felici; talvolta esso ci conduce alle piú grandi scoperte. [...]
La maggior parte degli avvenimenti deriva da piccole cause: noi le ignoriamo
poiché la maggior parte degli storici le hanno ignorate anch’essi, oppure perché
essi non hanno avuto occhio per percepirle. é pur vero che, a questo proposito,
lo spirito può riparare alle loro omissioni: la conoscenza di certi princípi
supplisce facilmente alla conoscenza di certi fatti. Perciò - senza arrestarci
piú a dimostrare la parte esercitata dal caso in questo mondo - si deve
concludere che, se sotto il nome di educazione si comprende in generale tutto
ciò che contribuisce alla nostra istruzione, anche il caso deve necessariamente
rientrarvi. Nessuno si trova infatti nello stesso concorso di circostanze, e
nessuno riceve precisamente la medesima educazione. (Sullo Spirito, III, I)
Helvétius prende in esame la dimensione sociale, collettiva della morale, perché la considera piú adatta per comprenderne meglio la natura e constata che anche la collettività, come l’individuo, considera moralmente valido solo ciò che è in sintonia con il proprio utile.
Occorre però considerare non soltanto la probità relativa ad un privato o
ad una piccola società, ma la vera probità, vale a dire la probità in rapporto
alla collettività. Questa specie di probità è la sola che realmente abbia un
merito, e che ottenga generalmente tale nome. Soltanto considerando la probità
da questo punto di vista possiamo formarci idee precise dell’onestà, e trovare
una guida alla virtú. Sotto questo aspetto si può affermare che la collettività,
al pari delle società particolari, è determinata nei suoi giudizi unicamente dal
motivo del proprio interesse; essa attribuisce la qualifica di oneste, grandi o
eroiche soltanto alle azioni che sono utili nei propri riguardi. Ed essa concede
la propria stima ad una certa azione non già in rapporto al grado di forza, di
coraggio o di generosità necessario per eseguirla, ma in proporzione
all’importanza di tale azione e al vantaggio che ne ricava. (Sullo Spirito,
II, XI)