KARL POPPER


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Il problema della pace perpetua nel mondo
Il futuro è aperto

Il problema della pace perpetua nel mondo

Intervista a Sir Karl Popper, di David Miller

L'Unità, 24 marzo 1997

La filosofia politica

Professor Popper quale è il significato per l'uomo della dottrina dell'indeterminismo in fisica? In altri termini: il nostro futuro e quello della società sono davvero aperti nello stesso identico modo in cui lo è il mondo fisico per questa teoria ?

In realtà, quando parlo di "futuro aperto", ho in mente soprattutto l'uomo e la società e questa mia tesi intendo rivolgerla soprattutto contro una certa concezione che io chiamo storicismo.

Secondo tale concezione il futuro non sarebbe aperto e noi potremmo effettivamente prevederne il corso. Lo storicismo asserisce infatti che esistono leggi dello sviluppo storico, che se conosciute permettono di prevedere, a grandi linee ciò che accadrà.

Gli storicisti più importanti della nostra epoca sono i marxisti. La teoria marxista sostiene che vi sarà necessariamente uno sviluppo verso una società senza classi, che si dimostrerà meravigliosa. Questo sviluppo comporta però un passaggio attraverso la dittatura del proletariato, preceduta a sua volta dalla rivoluzione sociale in tutto il mondo. In tal modo, con lo Stato socialista, ovunque avremmo il paradiso di una società senza classi.

Nel suo famoso libro, Il capitale, Marx, dopo aver analizzato le tendenze evolutive generali della società umana, prese in esame soprattutto quelle inerenti alla società capitalista e su questa base sviluppò le sue predizioni. Il fondamento teorico della sua concezione va rintracciato nel determinismo. Ciò significa che l'idea basilare di Marx è che noi non siamo liberi. A dire il vero, per Marx neppure i capitalisti sono liberi, bensì presi, al pari di qualsiasi altro individuo, dentro il meccanismo della società e del suo sviluppo storico.

Mentre Lei, Professor Popper, è di parere ben diverso.

Infatti, contro siffatta concezione io affermo che il futuro è aperto nel senso che in ogni momento vi sono infinite possibilità di sviluppo per l'immediato futuro. Alcune di queste possibilità sono molto remote e si può dire che giochino un ruolo davvero irrilevante; ma altre sono molto reali - e non sono poche! Gli eventi futuri dipenderanno in parte da fatti accidentali, in parte da quel che di fatto già esiste.

Però secondo gli storicisti i fatti accidentali, anche quando si verificano, non influenzano comunque la direzione fondamentale della storia.

Vero. Ma contro questo determinismo si potrebbe obiettare che gli eventi accidentali sono talvolta complessi e importanti, anche se, naturalmente, il loro peso è maggiore nelle società più piccole.

Cosa intendo infatti per "eventi accidentali"? Ad esempio, quel che capitò nella guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, un episodio storico le cui conseguenze avvertiamo ancora oggi, poiché l'esito di quella guerra cambiò il destino della democrazia in Grecia. Ebbene, l'andamento della guerra del Peloponneso risentì certamente dell'accidentale scoppio della peste in Atene. Durante l'assedio la peste uccise Pericle, il faro politico ateniese, sicché, da quel momento, la città rimase senza una guida davvero forte. A questo proposito, vorrei ricordare un libro molto interessante: Ratti, pidocchi e storia, che, attraverso la storia del tifo, illustra quale forza tremenda le malattie abbiano sempre avuto sul corso degli avvenimenti.

Qual è il punto di maggiore debolezza del modo di intendere la struttura sociale proposto dagli storicisti?

Lo storicismo assume come date una gran varietà di cose, che sono in realtà sicuramente importanti, però andrebbero analizzate. La questione di fondo sta, a mio avviso, nell'essere consapevoli dell'esistenza di molteplici possibilità aperte. Tra queste figura anche la nostra capacità di influire su quel che avviene, attraverso le nostre speranze, le nostre valutazioni e le nostre scelte. Tutte queste cose non sono perfettamente prevedibili. Si tratta dunque di distinguere tra quel che una teoria storico-sociale può effettivamente prevedere e le concezioni religiose della prevedibilità assoluta sostenute da molti storicisti.

Ma c'è anche dell'altro. Quando si predicono certe cose, si finisce con l'alterare la situazione di partenza, perché qualcosa lo si esclude sempre, dando maggior peso a qualcos'altro. Capita pertanto che, mentre talvolta le nostre previsioni possono diversamente facilitare il prodursi dell'effetto previsto, in alte occasioni potranno spingere invece i nostri avversari a sforzarsi d'impedire in tutti i mondi che ciò accada. In ogni predizione sono implicite entrambe le possibilità (così, non è affatto escluso che una previsione non conduca all'effetto opposto rispetto a quello previsto).

Si può dire anche che le dottrine della pianificazione scaturiscano dalle concezioni storicistiche ?

Sì, è verissimo e di grande interesse. In effetti lo storicismo conduce a quella che si potrebbe chiamare pianificazione su larga scala: visto che conosciamo il futuro, pianifichiamolo.

In un mio vecchio libro, Miseria dello storicismo - così intitolato per allusione a un famoso libro di Marx, Miseria della filosofia - avanzai la critica a questa pretesa dello storicismo marxista. Inoltre, nei due volumi de La società aperta e i suoi nemici, ho cercato di spiegare come la politica sia in un certo senso simile all'ingegneria sociale, poiché essa cerca di raggiungere certi fini mettendo in opera determinati mezzi. Ciò nonostante, la politica non potrà mai essere quel tipo di pianificazione del futuro su scala globale che gli storicisti hanno in mente; essa dovrà contentarsi piuttosto di essere una forma di ingegneria che ho chiamato "a spizzico": proprio a sottolineare la relativa modestia di ciò che possiamo fare nell'ingegneria sociale.

Ciò che conta in questa idea è che, soltanto se facciamo certe cose, cercando di soddisfare un certo bisogno sociale per mezzo di una determinata misura politica, solo allora si potrà constatare se, per caso, le nostre misure non portino a un risultato di fatto opposto a quel che intendevamo conseguire. Ecco perché andrebbero fatti unicamente dei tentativi modesti. Ma sia chiaro: tentativo modesto non significa necessariamente piccolo; vuol dire però che non dobbiamo mai farci catturare da una ideologia totalizzante, ingurgitandola, mettendoci al suo servizio e costringendo la gente ad accettarla a sua volta, e così via, fino a diventare completamente incapaci di liberarcene.

Se, invece, vogliamo fare riforme anche importanti, come quella del parlamento, o dei tribunali, o delle istituzioni finanziarie, sarà opportuno ricorrere all'ingegneria a spizzico, il che significa non farle tutte insieme, perché altrimenti non potremmo vedere ciò che effettivamente producono, e si confonderebbero le cause con gli effetti.

L'espressione "utilitarismo negativo" che compare in Miseria dello storicismo, vuol dire che dovremmo soprattutto individuare e correggere le cose sbagliate ?

La cosa più facile è sempre identificare i mali, visto che nessuno sa effettivamente quale sia il bene. Quindi, anziché cercare d'instaurare il bene perfetto, a rischio di rendere l'umanità del tutto infelice, faremmo meglio a combattere i mali che abbiamo sotto gli occhi.

Del resto, l'utilitarismo, come si sa, consiste nell'idea di conseguire la massima felicità per il maggior numero di persone possibile. Ebbene: io ritengo che, a tal fine, si debbano in primo luogo eliminare le disgrazie più grandi, poi quelle un po' meno grandi, e così via. Questo è esattamente il contrario dell'utopismo, ossia dell'aspirazione a costruire il paradiso in Terra.

In realtà, molto è già stato fatto in questa direzione utilitaristica e antiutopica, solo che la gente non se ne rende conto, perché tende a prendere qualsiasi miglioramento sociale per garantito - il che poi finisce per ostacolare il miglioramento sociale stesso. Io penso che a suscitare una autentica rivoluzione sociale siano stati l'aspirapolvere e, soprattutto, la lavatrice. Questa rivoluzione ha toccato davvero tutti: uomini e soprattutto donne, fornendo una libertà che prima godevano solo pochi.

Alcuni però considerano questi beni di consumo piuttosto espressione di valori borghesi, sostanzialmente superflui.

Cose veramente superflue potranno anche essercene, non lo nego; ma sono questi i beni personali che si associano all'idea della libertà. Qualcuno potrebbe far osservare, invece, che i valori borghesi, sebbene comportino maggiore libertà personale, certamente non portano sempre alla felicità. Essi dunque non dovrebbero essere accettati in modo acritico. Per tutta risposta vorrei ricordare che l'"apertura" del futuro va intesa, nel suo senso più ampio, anche come libertà di scegliersi quei valori ritenuti importanti per sé e la propria vita.

Per questa via giungiamo alla questione dell'origine dei valori. La valutazione è caratteristica della vita, sin dalle sue prime origini. Tutti gli organismi viventi risolvono problemi, ricercando qualcosa di meglio della loro situazione del momento. Ma l'idea di miglioramento, in realtà, richiama implicitamente quella di valore, di valutazione. Così, sin dagli inizi, questi valori si sono evoluti insieme con la vita. E uno dei più grandi, che tutti gli esseri viventi hanno caro, è la libertà: la libertà di azione, la libertà di migliorare la propria situazione.

Il futuro è aperto non solo perché non possiamo predire quel che accadrà, bensì anche perché gli avvenimenti saranno influenzati da noi e dai nostri valori. I valori sono nostre invenzioni - e spesso grandi invenzioni! Ma non sono invenzioni arbitrarie.

Tuttavia, com'è ovvio, anche della libertà si può abusare.

Infatti, il problema fondamentale della vita sociale mi sembra proprio quello di far sì che - come per primo capì Kant - ognuno abbia tanta libertà quanta è compatibile con la libertà degli altri.

In altri termini, la libertà dovrebbe essere più o meno uguale per tutti. Per questo la convivenza pacifica implica una certa restrizione della libertà di ciascuno, perché tutti possano del massimo grado di libertà concepibile nella convivenza sociale. Ovviamente, per riuscire davvero a conseguirlo, oltre alla pace interna, che comunque viene sempre al primo posto, anche la pace esterna avrà un'immensa importanza. Infatti, solo se avremo conquistato la pace tra le nazioni, potremo liberarci del problema militare, dalla mancanza di libertà determinata dalla crescita degli armamenti. La paura scatena il senso di insicurezza, che a sua volta conduce a crescenti limitazioni delle libertà. Kant era ben consapevole che, se la sua idea di libertà fosse stata abbracciata e avesse vinto, ciò avrebbe significato la pace sulla terra. Ecco perché, tra altre cose, scrisse un libro sulla pace perpetua.



Il futuro è aperto

DOMANDA N. 1

Il titolo della nostra odierna conversazione reca: il futuro è aperto. Che cosa intende con questa affascinante espressione e quali sono, se così si può dire, i suoi obiettivi polemici?

L'idea è molto semplice. In ogni momento ci sono cose possibili e cose invece impossibili. L'ambito delle possibilità è stupendamente grande. Per esempio, Gorbaciov può rimanere al potere, come presidente della Russia, diciamo per i prossimi sei anni, ma questo può anche non accadere. Ed esistono molte possibilità del genere e queste possibilità sono del futuro. Le possibilità sono possibilità aperte e il futuro è, pertanto, aperto. Il tuo futuro è aperto, il mio futuro è aperto. Certo, il mio futuro è meno aperto del tuo, poiché io ho 87 anni; tuttavia io faccio ancora le mie scelte e ho ancora, penso, la giusta sensazione che quanto mi capiterà domani dipende in parte da me stesso. Il futuro è aperto e può in parte venir modellato da noi stessi. È infatti una delle mie più radicate convinzioni quella per cui il nostro mondo attuale è davvero molto migliore di qualsiasi altra epoca della storia passata e che tutto questo sia dovuto in misura davvero considerevole ai nostri sforzi. A questa ipotesi si contrappone la concezione deterministica. Essa può venir formulata nella maniera più semplice dicendo: Dio è onnisciente, conosce ogni cosa, e dunque ogni cosa è già stabilita e determinata. Dal momento che Egli sa cosa accadrà domani, è già stabilito che questo o quello, e nient'altro, avrà luogo. Io invece difendo con forza l'idea secondo cui la concezione deterministica è falsa, difendo l'idea che il mondo è aperto, che il futuro è aperto. È ben vero che la concezione deterministica è una concezione molto antica, già discussa al tempo dei Greci, e incentrata sul contrasto fra la potenza degli dei e l'impotenza o la debolezza dell'uomo. Questa deprimente visione venne accantonata con grande sforzo - naturalmente non da tutti - con Lucrezio, che nel suo famoso poema De rerum natura cercò di liberare le menti degli uomini dalla paura degli dei. Ma la dottrina dell'onniscienza divina produsse anche una paura diversa, ovvero la convinzione che il nostro destino sia determinato. Siffatta idea è particolarmente forte nell'islamismo, mentre nella fede cristiana coesistono una visione deterministica - impersonata da Calvino - e una visione incentrata invece sulla libertà dell'uomo - quella di Erasmo. Con l'avvento della scienza moderna si impose poi la teoria fisica newtoniana, in base alla quale si potevano predire con un altissimo grado di precisione i movimenti futuri delle stelle. Questo grande risultato di Newton condusse all'adozione di una concezione scientifica del determinismo. Da un punto di vista filosofico, Kant comprese immediatamente che la teoria newtoniana è una teoria deterministica; allo stesso tempo si rese conto che essa era fatale per noi. Kant capiva che in un mondo deterministico non esiste spazio alcuno per l'azione umana libera e responsabile. E questo contrasto tra l'idea della morale e la concezione di un universo newtoniano deterministico, che Kant fece propria, portò effettivamente ai grandi problemi - in un certo senso insolubili - della sua filosofia, che vede contrapporsi il mondo dei fatti e il mondo morale delle azioni e della responsabilità individuale.

 

DOMANDA N. 2

Quarant'anni dopo Kant, Laplace sviluppò la sua teoria rigorosamente deterministica, che postula un'intelligenza simile a quella umana, ma molto più possente, la quale, con l'aiuto della teoria newtoniana, disponendo di tutte le informazioni necessarie, potrebbe predire in anticipo, date le condizioni iniziali, tutte le posizioni e i movimenti delle particelle dell'intero universo. Quali ragioni si possono opporre a questa dottrina?

La dottrina del determinismo scientifico, quale venne sviluppata a partire da Laplace, è, a mio avviso infondata, e ho cercato di dimostrarlo. Ho lavorato intorno a questo problema per molti, molti anni. Me ne occupai per la prima volta nel 1950, con una conferenza all'Università di Princeton dal titolo L'indeterminismo nella fisica dei quanti e nella fisica classica, una conferenza alla quale intervennero - lo ricordo con orgoglio - Albert Einstein e Niels Bohr. In generale si usava contrapporre la fisica classica - determinista - alla teoria fisica quantistica, considerata, come fu sottolineato per la prima volta da Heisenberg, indeterministica. L'intento della mia conferenza era dimostrare che neppure la teoria fisica classica è veramente deterministica. Il cosiddetto determinismo scientifico della teoria classica dovrebbe piuttosto venir chiamato una teoria prima facie deterministica. Essa appare deterministica ad una prima ispezione, ma se l'esame viene condotto più a fondo, allora essa si rivela non scientificamente deterministica: ossia, essa non è tale da permettere di predire per principio il futuro. Da questo punto di vista il grande conflitto fra deteminismo del mondo fisico ed esigenze della morale, quale si era delineato nel sistema kantiano, viene a cadere. Per confutare il determinismo della teoria fisica classica ho proposto due tipi di argomenti. Il primo era questo: solo se assumiamo che l'intelligenza super-umana di Laplace sia fuori del mondo, nel senso che non necessiti di alcuna informazione su di esso, solo allora possiamo dire che il mondo sarebbe prevedibile in linea di principio. Se però noi sostituiamo questa super-intelligenza con un computer o un predittore ci accorgiamo che il mondo non è prevedibile in linea di principio. E ciò vale non solo per un mondo aperto, ma anche per un sistema chiuso. Se il mondo non è un sistema chiuso, esso, ovviamente, non è prevedibile, per la semplice ragione che nuovi elementi entrano di continuo in esso, così come ne escono. Ma anche nell'ipotesi di un mondo completamente chiuso dobbiamo escludere che esso sia prevedibile, assumendo che noi in qualche modo dobbiamo interagire con esso per guadagnare le informazioni necessarie e fare le nostre previsioni. Lo si può dimostrare con esperimenti molto semplici. Consideriamo questa stanza. Ora, io cerco di rappresentarla disegnandone una mappa, riportando tutti i corpi in essa presenti sulla mappa. In tal modo costruisco, diciamo così, un modello del mondo, o una mappa del mondo: il mondo è questa stanza. Chiuse le porte, chiuse le finestre, niente può entrare o uscire. Il mondo è chiuso e io cerco ora non di predirlo - cosa che è troppo difficile -, ma unicamente di fissarlo disegnandone una mappa, facendone un modello. Ora, però, nel momento in cui includiamo la mia mappa, che è qui in questa stanza, tra i corpi presenti nella stanza e che devono venir rappresentati nella mappa, ci accorgiamo allora che il mio compito - consistente nel descrivere il mondo - è infinito e che non può mai venir completato. Io non potrò mai conoscere o annotare tutte le cose sul mondo, perché io debbo includere nella mappa di questo mondo anche me stesso e il modo in cui io disegno questo mondo, e devo mettere nella mia rappresentazione un disegno della mappa e quel che è nella mappa. E allorché ho disegnato tutto questo, guardo di nuovo alla mappa e mi rendo conto che essa è incompleta, perché non contiene l'intero quadro: i miei ultimi colpi di pennello non sono contenuti nella mappa, e così io debbo andare avanti, e avanti ancora, e ancora ... e mai giungerò alla fine. Questa fu la prima linea argomentativa della mia conferenza. Il secondo tipo di argomenti riguardava più strettamente la teoria newtoniana. Sappiamo che essa offre predizioni esatte per problemi come questi: data la posizione del sole e dati la posizione e la velocità di un pianeta relativamente al sole, in un preciso momento, allora noi possiamo predire il suo movimento futuro attorno al sole con una precisione a piacere per ogni istante di tempo nel futuro. Questo è il cosiddetto problema dei due corpi, che può venir calcolato in maniera soddisfacente all'interno della teoria newtoniana. Daltra parte occorre notare che non cè nessunissima ragione per credere che otterremmo soluzioni analoghe per un problema di tre o più corpi, o che si possa arrivare a una soluzione generale.

 

DOMANDA N. 3

In che termini questa interpretazione, che nega il carattere deterministico della stessa teoria newtoniana, influisce sulla concezione del libero arbitrio e sul problema della libertà morale? Può proporsi, da questo punto di vista, un'opzione nell'antitesi fra determinismo e indeterminismo in sede metafisica?

Per rispondere a questa domanda mi riferisco ancora una volta ad avvenimenti della mia vita. Doveva essere il 1946: il filosofo Alfred Ayer, che divenne in seguito Sir Alfred Ayer, costituì una specie di club filosofico che si riuniva nel suo appartamento in Whitehorse Street, vicino a Piccadilly, a cui partecipavano famosi filosofi, fra i quali Bertrand Russell. Fra le altre cose, si discusse anche il tema del libero arbitrio. Fu posto in particolare il problema della creatività artistica. Dal mio punto di vista, mi chiesi in che modo il determinismo affronterebbe la spiegazione del genio musicale di Mozart. Sarebbe sufficiente che un fisico e un matematico, completamente al di fuori del mondo della musica, avessero sufficienti informazioni sul cervello di Mozart, oltre che su quanto Mozart ha mangiato oggi, per predire che le sue dita metteranno questi e questi altri segni neri su carta bianca e per arrivare essi stessi a scrivere, per quanto completamente ignoranti di musica, la Jupiter-Sinfonie di Mozart. In altre parole, lo sforzo creativo di Mozart non esiste affatto, secondo una visione deterministica. Contano solo le condizioni fisiche degli atomi del cervello di Mozart. Questo problema, sollevato nel club del professor Ayer, trovò una risposta tipicamente filosofica, ovvero: di fronte a una mia scelta, per valutare se essa sia libera o dettata da necessità, occorre che io mi rimetta esattamente nella situazione in cui ho preso la mia decisione, per vedere se agirei esattamente nella stessa maniera in cui agii allora. Questa è la risposta che essi diedero al problema del determinismo. Io sono determinato, dal momento che non avrei altra scelta: se tornassi indietro, esattamente nella stessa situazione, sceglierei esattamente così come ho scelto allora. Questo modo di affrontare il problema non mi piacque. Già parlare di esattezza, e per di più in un ambito come quello psicologico, significa parlare a vanvera. Neppure nel più evoluto dei laboratori è possibile riprodurre esattamente la stessa situazione. Stando così le cose, io non dissi nulla sul caso discusso. Obiettai soltanto: Il vero problema è questo: si tratta di capire se l'attività creativa di Mozart sia predicibile in linea di principio, a patto che si conosca in maniera sufficiente lo stato del mondo, ivi incluso lo stato del cervello di Mozart. Gli altri partecipanti alla discussione mi guardarono, lasciando intendere che non avevo compreso di cosa si stesse parlando. Russell, invece, non profferì parola, fino a quando, dopo una mezzora, venne fuori improvvisamente dicendo: penso che Popper abbia ragione. Quello che pone Popper è il problema del determinismo. Ciò di cui si discute non è se io avrei potuto agire diversamente da come ho agito, dovremmo piuttosto comprendere se è possibile predire l'opera darte. (Sia detto per inciso, sono dell'avviso che Russell fosse l'unico dei filosofi presenti che avesse realmente fatto del lavoro creativo in matematica). Sin dai suoi inizi la vita ha dimostrato di essere creativa. Tutti gli organismi viventi hanno fra loro una singolare somiglianza, hanno tutti lo stesso metodo di riproduzione tramite il DNA, e ciò forse in ragione del fatto che essi procedono dallo stesso organismo originario. Che ci sia stato necessariamente solo un organismo, oppure no, questo è un problema differente. In ogni caso, in un brevissimo periodo di tempo, vediamo nascere infinite forme viventi, molto diverse l'una dall'altra, ma tutte con la stessa struttura del DNA. È così che la vita stessa ha in qualche modo inventato la creatività. E la creatività di Mozart è esattamente una di queste meravigliose cose in cui la vita si è prodotta, qualcosa che non poteva affatto venir previsto prima che la vita iniziasse. Quanto alla seconda parte della domanda, devo precisare che l'attributo metafisico indica, all'interno del mio pensiero, qualcosa di non controllabile in linea di principio. Pertanto, da questo punto di vista, né il determinismo metafisico, né la sua negazione, l'indeterminismo metafisico, sono controllabili, poiché la controllabilità di uno dei due sarebbe sufficiente per renderli controllabili entrambi. Se, poniamo, l'indeterminismo metafisico fosse controllabile e noi potessimo falsificarlo, avremmo con ciò stesso stabilito il determinismo metafisico. In questo senso sarebbe bene cercare di eliminare la questione e ammettere di non conoscere la soluzione metafisica del problema. Personalmente, è ovvio che io credo nell'indeterminismo metafisico. Infatti, non solo io lo ritengo un risultato scientifico, ma inoltre avverto l'indeterminismo come qualcosa di soddisfacente e sono dunque incline a credere in esso. Così, io posso essere un sostenitore dei diritti di verità dell'indeterminismo in sede metafisica. Ma non posso asserire che il determinismo metafisico sia falso, giacché anch'esso, al pari dell'indeterminismo metafisico, è incontrollabile. Io sento che l'indeterminismo, specialmente riferito a noi stessi e al mondo vivente, nella ricchezza delle sue possibilità, sia capace di liberarci da una sorta di angoscia, quel tipo di angoscia che inquietava Kant, in considerazione della sua credenza nella libertà e nella responsabilità e dall'altra parte della sua convinzione che l'universo newtoniano fosse deterministico - una convinzione che secondo me si può dimostrare errata -. Da questo punto di vista Kant potrebbe respirare liberamente, potrebbe restare newtoniano ed essere anche un indeterminista.

 

DOMANDA N. 4

Professor Popper, abbiamo visto come l'apertura del futuro venga da Lei interpretata nel senso di una dottrina dell'indeterminismo in fisica. Abbiamo anche brevemente accennato alle applicazioni di questo argomento nellambito della biologia e della teoria dell'evoluzione. Ora, qual è l'importanza di questa dottrina nella concezione dell'uomo e della società?

Quando dico che "il futuro è aperto" in realtà ho in mente soprattutto il futuro dell'uomo e il futuro della società. E questa tesi, secondo cui il futuro è aperto, è particolarmente diretta contro quella visione che io chiamo storicismo. Lo storicismo è la concezione secondo la quale il futuro non è aperto e nella quale si sostiene che noi possiamo effettivamente prevedere il futuro. Lo storicismo asserisce che esistono leggi dello sviluppo storico e che se solo conoscessimo queste leggi noi potremmo, almeno a grandi linee, prevedere ciò che accadrà. Nella nostra epoca gli storicisti più importanti sono i marxisti. La loro teoria afferma che è possibile predire quel che accadrà nella storia, che ci sarà uno sviluppo verso una società senza classi, la quale sarebbe meravigliosa. Naturalmente, questo sviluppo, secondo il marxismo, è la via verso la dittatura, la dittatura del proletariato, che non è affatto una buona cosa. Questa predizione storica si fonda sull'analisi compiuta da Marx della tendenza inerente sin dagli inizi alla società e specialmente della tendenza insita nella società del suo tempo, che egli chiamò "capitalismo". Nel Capitale Marx, dopo aver analizzato le tendenze generali dell'evoluzione della società umana, studiò soprattutto le tendenze evolutive inerenti alla società capitalista e l'esame di tali tendenze lo portò alle sue predizioni. E il fondamento di questa sua concezione è da trovare appunto nel determinismo. L'idea di fondo sta nel sostenere che noi non siamo liberi. Secondo Marx, neppure i capitalisti sono liberi; costoro sono catturati, al pari di qualsiasi altro individuo, all'interno del meccanismo della società e del suo sviluppo storico. Essi sono costretti ad agire come agiscono. E, pertanto, sebbene debbano venir combattuti e distrutti, i capitalisti in realtà non possono esser biasimati, perché trascinati essi stessi dalle forze storiche e sociali. Ora, contro una siffatta concezione, io dico che il futuro è aperto nel senso che in ogni momento esistono infinite possibilità di quanto accadrà nell'immediato futuro. Alcune di queste possibilità sono molto remote e si può dire che giochino un ruolo davvero irrilevante. Ma altre possibilità sono davvero reali e ne esistono moltissime. Ciò che accadrà dipende in parte da fatti accidentali, in parte da ciò che effettivamente ed attualmente esiste. Noi dobbiamo essere consapevoli del fatto che esistono possibilità aperte. E tra tutte queste possibilità ci sono le possibilità per noi di influire su quel che avviene. Le nostre speranze, le nostre valutazioni influiscono su quel che avverrà in futuro. Prendiamo quanto accade in questi giorni con l'esodo della gente dalla Germania Orientale. Oggi è il 28 novembre 1989 e il grande esodo dei giovani si è più o meno concluso. Non si può negare che, in esso, la speranza e i valori delle persone che lasciano la Germania Orientale abbiano giocato un ruolo immenso. Le loro speranze e i loro desideri sono stati la forza sociale principale di quanto è accaduto. Qualcuno potrebbe obiettare che, con una migliore conoscenza della situazione, il governo della Germania Est avrebbe potuto prevedere quel che sarebbe successo. Forse è vero. Non dico che talvolta non si possano fare previsioni, ma nessuno avrebbe potuto prevedere un fatto del genere con certezza. Qui sta la grande differenza. Le possibilità sono prevedibili, ma le certezze non esistono. Inoltre bisogna tener presente che la stessa predizione altera la situazione, modificando le possibilità in gioco. Le tue predizioni possono produrre ciò che hai predetto; ma esse possono anche far sì che quanti sono contrari a quello che tu predici compiano un più grande sforzo per impedire che questo accada. In tal modo è possibile che la tua predizione di fatto porti all'evento opposto rispetto a quello che tu avevi predetto. In una predizione sono implicite ambedue le possibilità. È per esempio del tutto evidente che la predizione marxiana della rivoluzione influenzò Lenin e dette un grande contributo alla rivoluzione in Russia. Ma, naturalmente, è vero pure l'opposto, e cioè che la predizione marxiana rese più serio lo sforzo di Bismarck per cogliere di sorpresa i marxisti tedeschi. Si può dunque vedere che le predizioni giocano un ruolo, e che possono giocare il loro ruolo in un modo o in un altro. E se le predizioni possono giocare un ruolo, allora anche le nostre speranze e i nostri sforzi giocano un ruolo.

 

DOMANDA N. 5

Lo storicismo è dunque caratterizzato dalla convinzione di poter individuare le leggi di sviluppo della storia. Come viene concepito, da questo punto di vista, l'intervento dell'uomo in tale corso storico e quale atteggiamento assume invece colui che muove piuttosto dall'idea che il futuro è aperto?

Il marxismo non si limita ad affermare che noi possiamo predire la storia; il marxismo sostiene che noi possiamo abbreviare e rendere meno dolorose le doglie del parto della storia; che noi possiamo sistemare le cose in modo tale che quel che deve accadere accada più facilmente. In questo senso lo storicismo portò all'idea di pianificazione. Pensiamo, per fare un esempio, ai piani quinquennali in Russia. Nel mio libro Miseria dello storicismo - il cui titolo allude a quello di un libro di Marx, Miseria della filosofia - ho sviluppato appunto questa critica. In un altro testo, La società aperta e suoi nemici, ho cercato invece di spiegare che la politica potrebbe essere qualcosa di simile all'ingegneria sociale, nel senso che essa cerca di raggiungere certi fini grazie a determinati mezzi. La politica, però, non può essere quel tipo di pianificazione per il futuro su scala totale, che gli storicisti hanno in mente, ma deve essere quel che io descrivo come "ingegneria a spizzico". Proposi questo termine come una sfida, una provocazione per sottolineare una certa modestia in quello che possiamo fare nell'ingegneria sociale. Tale termine è stato criticato moltissimo e moltissimo discusso. Le parole, però, non contano. Importante, in questa idea, era che solo se cerchiamo di soddisfare un certo bisogno sociale per mezzo di una determinata misura politica, possiamo constatare se le nostre misure abbiano portato o meno al risultato che si voleva ottenere. Molto spesso infatti le nostre azioni producono il risultato opposto rispetto a quello che intendevamo raggiungere. Unicamente tentativi modesti possono venire sufficientemente controllati e ispezionati nelle loro conseguenze al fine di essere ragionevolmente sicuri del fatto che esse corrispondano almeno approssimativamente ai nostri intenti. Non sono contrario alla passione che i riformatori hanno per le riforme, sono piuttosto contrario al sogno di onnipotenza dei riformatori: al sogno stando al quale noi possiamo davvero cambiare la società così che tutto sia meraviglioso. È questo tipo di passione che io considero molto pericolosa e seriamente irrealistica. Quei riformatori che hanno cercato di realizzare il paradiso in terra in realtà hanno sempre costruito qualcosa di simile all'inferno. Ed è appunto da un inferno che i giovani tedeschi della Germania-Est cercano di scappare.

 

DOMANDA N. 6

L'idea che il futuro sia anche il risultato dei nostri tentativi di realizzare le speranze e le aspirazioni che guidano il nostro agire non riporta forse in primo piano il problema dei valori?

Quando affermo che il futuro è aperto, con "apertura" intendo, in senso ampio, che noi possiamo scegliere quei valori che sentiamo come valori importanti per noi e per la nostra vita. La valutazione è caratteristica della vita, sin dalle sue prime origini. I primi organismi hanno problemi di sopravvivenza. Affrontare i problemi significa andare alla ricerca di soluzioni, ovvero ricercare qualcosa che migliori la situazione in cui ci troviamo. Se un organismo unicellulare fugge da un luogo molto caldo e si dirige verso un posto più fresco esso sta cercando di migliorare la sua situazione vitale. L'idea di miglioramento contiene, in realtà, l'idea di valore. Se parliamo di miglioramento, noi allora parliamo di qualcosa di meglio e qualcosa di peggio, e queste sono valutazioni. È così che la vita, fin dai suoi primissimi inizi, ha creato i valori in questo mondo, mondo che prima della vita non aveva valori. Problemi e valori appaiono nel nostro universo soltanto attraverso la vita, e assumono una importanza immensa per tutti gli esseri viventi. Noi tutti siamo solutori di problemi; e sempre, ad ogni istante, ci troviamo in situazioni problematiche da risolvere. E risolvere i problemi significa compiere delle valutazioni. Tali valori si sono evoluti insieme con la vita. E uno dei più grandi valori, caro a tutti gli esseri viventi, è la libertà: la libertà di azione, la libertà di migliorare la propria situazione, di risolvere i propri problemi. Poi, una volta che l'umanità ebbe sviluppato il linguaggio, l'altro valore importante divenne la verità. I valori, dunque, hanno una immensa rilevanza. Quando parlo del futuro aperto, io con ciò non solo intendo semplicemente affermare che non è possibile predire quel che accadrà; intendo dire piuttosto che quello che accadrà sarà influenzato da noi e dai nostri valori.

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