Hegel a Niethammer (Norimberga, 23 ottobre 1812)
Lei mi
aveva incaricato di stendere per iscritto le mie riflessioni intorno
all'insegnamento della filosofia nei Ginnasi e di sottoporglieLe; già qualche
tempo fa stesi il primo abbozzo, ma non ho potuto più trovare il tempo
necessario per elaborarlo adeguatamente. Per non rinviare troppo di mandarLe
qualcosa al riguardo, secondo il Suo desiderio, lo faccio ricopiare per Lei,
nella forma che ha assunto dopo una certa qual rielaborazione, e glielo invio
ora. Dato che questo parere non ha che un fine privato, potrà bastarLe anche
così com'è; mi farà cosa gradita se attribuirà certi pensieri disordinati e
ancor più l'elemento polemico che c'è qua e là, alla forma grezza, la quale, per
un altro scopo che non fosse quello di esporre a Lei il mio pensiero, avrebbe di
sicuro richiesto una maggior politezza. La polemica potrebbe essere più
sconveniente in quanto il parere è diretto a Lei, e quindi non ci sarebbe
nessuno all'infuori di Lei contro cui si potrebbe polemizzare: ma Lei vedrà da
sè che si tratta di una uscita occasionale, venuta così non volutamente
nell’affrontare questa o quella maniera od opinione. Manca inoltre una
osservazione finale, che io però non ho aggiunto in quanto io stesso, in merito,
sono ancora incerto; — ossia, che forse ogni insegnamento filosofico nei Ginnasi
potrebbe apparire superfluo, che lo studio dell'antichità sia l'introduzione
alla filosofia più adatta alla gioventù ginnasiale e costituisca,
sostanzia1mente, la vera. — Del resto, come posso io, professore di scienze
filosofiche propedeutiche, combattere contro la mia disciplina e contro la mia
funzione? togliere a me stesso il pane e acqua? Ma d'altra parte io — che dovrei
anche essere un pedagogo-filosofo —, avrei pure, nella veste di Rettore, un
diverso ufficio oltre a questo; quindi anche un interesse diretto a che i
professori delle scienze filosofiche nei Ginnasi venissero dichiarati superflui
e venisse loro o affidato un diverso incarico, o si mandassero da qualche altra
parte. Ma una cosa, comunque, mi spinge di nuovo verso il primo punto di vista:
il fatto che la filologia stia diventando sempre più erudita e tenda alla
sapienza verbale. I Padri della Chiesa, Lutero e gli antichi predicatori
citavano, esponevano e utilizzavano i testi biblici in maniera libera, senza
alcuna cura per l'erudizione storica, ed essi potevano metterci così tanta più
dottrina ed esemplarità. Con le chiacchiere estetiche del pulchre! quam
venuste!, alle quali ancora oggi assistiamo, è all'ordine del giorno
l'erudizione linguistico-critica e metrica: non so quanto di tutto questo sia
penetrato nel personale a Lei sottoposto; ma capiterà anche ad esso, e nell'uno
e nell'altro caso ne risulterà che la filosofia venga così svuotata. Non voglio
tormentarLa ulteriormente con il malessere generale imperante qui; le cose, alla
fine, vanno come sempre. Il male sta nel non avere intercessori contro
l’amministrativo, visto che non abbiamo qui un consiglio distrettuale che è
invece così lontano da risultare impossibile comunicargli una qualsiasi cosa che
abbia in primo luogo una rilevanza amministrativa… Di ciò che rimane da fare per
l’anno 1810-11 è altum silentium e non ci resta che ricorrere ad un’immagine
litografica. Tutto ciò, e altro ancora, fa sì che la speranza senza opere mi
ripugni oggi più che mai, cosicchè debbo ancora parlarLe dell’idea di fare da
parte mia un passo nel Württemberg… A proposito di quanto emerge dalla Sua
ultima, ricordo che Lei parla di porre un termine alla scempiaggine. Lei sa come
andò a finire a Sancio Panza quando cadde giù dalla vetta della sua scemenza.
Stando, almeno, al racconto del suo padrone, egli precipitò da quella vetta
nell’abisso della sua stupidità, e vi fu in ciò lo stesso male di prima. I più
cordiali saluti a Lei ed ai Suoi da parte di mia moglie e del suo H. Un parere
riservato per il regio consigliere superiore scolastico per la Baviera Immanuel
Niethammer. Norimberga, 23 ottobre 1812 L’insegnamento delle scienze filosofiche
propedeutiche nei Ginnasi presenta due aspetti: I) I temi stessi
dell’insegnamento. II) Il metodo. I) I TEMI Per quanto riguarda i temi da
insegnare e la loro ripartizione nelle tre classi, la normativa stabilisce
quanto segue. 1) Nella classe inferiore (III, § 5 III) è prescritta la
conoscenza della religione, del diritto e dei doveri. (In V. c, però, troviamo
scritto che nella classe inferiore l’esercizio del pensiero speculativo potrebbe
iniziare con la Logica). 2) Nella classe media: Cosmologia e teologia
naturale(in rapporto alle critiche kantiane) Psicologia 3) Nella classe
superiore: enciclopedia filosofica. Dato che nella classe inferiore la logica
non si adatta bene ad essere insegnata assieme alla dottrina del diritto, dei
doveri e della religione, io finora ho fatto in questo modo: nella classe
inferiore tratto soltanto la dottrina del diritto e la dottrina dei doveri,
assieme alla dottrina della religione. La logica, invece, la riservo alla classe
media, dove la alterno, in questa classe, con la psicologia, che è un corso
biennale. Nella classe superiore, infine, come stabilito, ho fatto seguire
l’enciclopedia. Se devo esprimere un mio giudizio complessivo su tutta questa
ripartizione (sia considerandola astrattamente, sia secondo la mia esperienza)
posso solo dire che l’ho trovata molto opportuna. Ma entriamo nei particolari.
1) Per quanto riguarda i primissimi argomenti di studio troviamo, nella
normativa, questa formulazione: "Dottrina della religione, del diritto e dei
doveri". Il presupposto implicito sembra essere che, tra queste tre dottrine, si
deve cominciare con la religione. Visto che però non è ancora presente nessun
Compendio, deve senz’altro rimanere all’insegnante la libertà, secondo il suo
giudizio, di trovare l’ordine e di stabilire i collegamenti. Per parte mia, non
so come iniziare se non col diritto. Il diritto è infatti la conseguenza più
astratta e più semplice della libertà. Dal diritto passo poi alla morale e di
qui arrivo alla religione, come al livello più alto. (Questo, comunque, riguarda
già più da vicino la natura stessa del contenuto, e non è questo il luogo per
approfondire ulteriormente la questione). Se qualcuno mi chiedesse: "Ma questi
temi sono adatti come primissima introduzione alla filosofia?", non potrei
rispondere altro che sì. I concetti di queste dottrine sono semplici e hanno al
tempo stesso una determinatezza che li rende adatti all’età di questa classe. Il
loro contenuto è appoggiato dal sentimento naturale degli alunni ed ha una
realtà effettuale nella loro interiorità, poichè è il lato della realtà interna
stessa. È per questo che preferisco di gran lunga, in questa classe, trattare
queste dottrine piuttosto che la logica. La logica ha un contenuto astratto,
esclusivamente teoretico, che è particolarmente estraneo all’immediata realtà
interiore degli scolari. Libertà, diritto, proprietà... Queste sono le
determinazioni pratiche che sentiamo e con cui abbiamo a che fare ogni giorno.
Esse hanno anche, al di là dell’esistenza immediata, una realtà
istituzionalizzata e una validità effettiva. Invece, le determinazioni logiche
dell’universale e del particolare, eccetera, per uno spirito che non ha ancora
familiarità con il pensiero, sono solo ombre rispetto al reale. (Per quanto,
certo, lo spirito si serva di queste determinazioni ancor prima di averle
studiate e di essersi esercitato a tenerle ferme indipendentemente dal reale
stesso). Ciò che si sente chiedere all’insegnamento introduttivo della filosofia
è di cominciare dall’esistente e che la coscienza venga portata - a partire di
qui - al più alto, al pensiero. Ma nel concetto di libertà è presente appunto
l’esistente e l’immediato in una forma tale che il pensiero è già presente
(ancor prima di analizzare, anatomizzare, astrarre, eccetera). Affrontando
questi temi, pertanto, si comincia davvero con il richiesto, col vero, con lo
spirituale: si comincia davvero con la realtà effettiva. In questa prima classe
ho sempre trovato un interesse maggiore per queste determinazioni pratiche, che
non per quel po’ di teoretico che ho dovuto premettere. E questa differenza di
interesse l’ho sperimentata ancora di più quando - la prima volta - ho seguito
la parte esplicativa della normativa ed ho cominciato subito coi concetti della
logica. Un’esperienza che non ho più ripetuto. 2) Il grado più alto, per lo
studente, è lo spirituale teoretico, il logico, il metafisico, lo psicologico.
Se si confrontano tra loro il logico e lo psicologico, il logico risulta
assolutamente il più facile, perchè il suo contenuto sono le determinazioni più
semplici ed astratte. Lo psicologico, invece, ha qualcosa di più concreto: si
tratta dello spirito stesso. (Certo, però, la psicologia può diventare
addirittura troppo facile se viene intesa, trivialmente, come psicologia
esclusivamente empirica: penso ad esempio alla Psicologia per bambini di Campe.
Quello che conosco, poi, di Carl Gustav Carus Manier, non è proprio
sopportabile: è così noioso, inedificante, senza vita, senza spirito!). Io
divido l’insegnamento della Psicologia in due parti: a) Psicologia dello spirito
fenomenico. b) Psicologia dello spirito in sè e per sè. Nella prima (a) affronto
la coscienza seguendo la mia Fenomenologia dello Spirito, ma soltanto nei suoi
primi tre gradi: l)Coscienza, 2)Autocoscienza, 3) Ragione. Nella seconda (b)
tratto la successione di sentimento, intuizione, rappresentazione,
immaginazione, eccetera. Entrambe le parti io le suddivido in modo tale che lo
spirito - in quanto coscienza - opera ed è attivo sulle determinazioni come su
oggetti ed il suo determinare diventa come una relazione ad un oggetto. Ma lo
spirito - in quanto spirito - è attivo solo su determinazioni sue proprie e i
suoi cambiamenti sono (e vengono considerati) come la sua attività stessa.
Poichè l’altra scienza della classe media è la logica, la metafisica sembra non
ricevere nessuno spazio. Si tratta senza dubbio di una scienza con la quale, al
giorno d’oggi, si è di solito in difficoltà. Nella normativa è prescritta la
presentazione della cosmologia antinomica di Kant e la teologia naturale,
altrettanto dialettica. In questo modo, di fatto, ciò che viene prescritto non è
tanto la metafisica, quanto piuttosto la dialettica che le è propria. Questa
parte ricade così nella logica: precisamente, appunto, nella logica dialettica.
Tutto ciò coincide con la mia visione della logica: anche secondo la mia visione
del logico la metafisica ricade senz’altro qui dentro. Al proposito posso fare
valere l’autorità di Kant come mio precursore. Dopo la sua critica, la
metafisica viene ridotta ad una considerazione sull’intelletto e sulla ragione.
In senso kantiano, dunque, la logica puo venire considerata come segue. Al
contenuto ordinario della logica generale, deve essere unita e premessa una
logica trascendentale (come Kant la chiama). Cioè, secondo il contenuto, la
dottrina delle categorie, i concetti della riflessione e i concetti della
ragione (tanto i concetti della ragione analitica quanto quelli della ragione
dialettica). Queste forme oggettive di pensiero sono un contenuto autonomo,
autosufficiente, la parte de categoriis dell’Organon di Aristotele - o
l’ontologia di un tempo. Inoltre, queste forme di pensiero, sono indipendenti
dal sistema metafisico: sono presenti tanto nel dogmatismo quanto nell’idealismo
trascendentale. Il dogmatismo le chiama determinazioni dell’ente, l’idealismo
trascendentale le considera determinazioni dell’intelletto. La mia logica
oggettiva servirà, spero, a purificare nuovamente questa scienza. E a ridarle la
sua autentica dignità. Fino a quando essa non sarà più nota, le distinzioni
kantiane contengono il minimo indispensabile o il materiale grezzo. A proposito
del carattere dialettico delle antinomie kantiane, comunque, più sotto dirò
ancora qualcosa. Per quanto riguarda il loro contenuto fattuale, invece, esso è
in parte il logico, in parte il mondo, lo spazio, il tempo, la materia. Se viene
preso in considerazione il loro contenuto logico, cioè le categorie antinomiche
che esse contengono, il fatto che esse riguardano la cosmologia cade via. E in
realtà quel contenuto ulteriore (mondo, materia eccetera) è davvero una inutile
palla al piede ed una nebbia della rappresentazione, priva di qualunque valore.
Per quanto riguarda la critica kantiana della teologia naturale, essa può, come
ho fatto io, venire trattata nella dottrina della religione, dove questo
materiale, particolarmente per un corso di tre o quattro anni, non è
inopportuno. È interessante anzitutto far conoscere le celebri prove
sull’esistenza di Dio. Trattare quindi l’altrettanto celebre critica kantiana
alle prove dell’esistenza di Dio. Infine criticare la critica kantiana stessa.
3) L’enciclopedia, dato che deve essere filosofica, esclude senza dubbio
l’enciclopedia letteraria, la quale è completamente priva di contenuto e che non
è nemmeno ancora utile ai giovani. Essa non può che contenere il contenuto
generale della filosofia, cioè i concetti fondamentali e i principi delle sue
scienze particolari. Le tre discipline fondamentali sono: 1) la logica 2) la
filosofia della natura 3) la filosofia dello spirito. Tutte le altre scienze,
che non vengono considerate come filosofiche, di fatto, rientrano qui, per
quanto riguarda i loro principi. Ma siccome abbiamo a che fare con una
enciclopedia filosofica, devono essere trattati, appunto, soltanto i loro
principi. Subito viene fatto di pensare che al ginnasio sia molto opportuno dare
un tale sguardo di insieme, complessivo. Ma, dopo una considerazione più
profonda, può anche sembrare superfluo. Questo perchè nell’enciclopedia vengono
considerate, in breve, scienze in gran parte già trattate in maniera
approfondita. Non solo, per esempio, è già stata trattata la prima scienza
dell’enciclopedia, la logica, di cui ho appena finito di parlare. Lo stesso vale
anche per terza, per la dottrina della spirito. Questa è già stata presa in
considerazione 1) nella psicologia e 2) nella dottrina del diritto, dei doveri e
della religione. La stessa psicologia, del resto, che si articola nelle due
parti di spirito teoretico e spirito pratico (o dell’intelligenza e del volere)
può in gran parte fare a meno della trattazione della seconda parte: essa,
infatti - nella sua verità - è già stata presa in considerazione in quanto
dottrina del diritto e dei doveri e in quanto dottrina della religione. Questo
perchè il lato meramente psicologico (come sentimenti, desideri, impulsi,
inclinazioni) è qualcosa di solo formale, il quale, secondo il suo vero
contenuto è già stato considerato come un rapporto necessario nella dottrina dei
doveri. (Per esempio l’impulso al guadagno, o verso il sapere, l’inclinazione
dei genitori verso i figli, eccetera, nella dottrina dei diritti o in quella dei
doveri sono già stati trattati, nella loro forma di rapporto necessario, come
dovere di guadagnare nei limiti dei principi del diritto, come dovere di
formarsi, come dovere dei genitori e dei figli, eccetera). Alla terza parte
della enciclopedia appartiene anche la dottrina della religione ed anche a
questa è stata dedicato un corso particolare. Rimane allora, per l’enciclopedia,
anzitutto la seconda scienza, la filosofia della natura. Soltanto: 1) Lo studio
della natura presenta ancora poca attrattiva per i giovani. Essi, infatti, non a
torto, avvertono l’interesse per la natura più come uno svago teoretico, se
paragonato all’agire e all’operare umano e spirituale. 2) Lo studio della natura
è la cosa più difficile. Lo spirito, per concepire la natura, deve trasformare
il contrario del concetto in concetto. Si tratta di una forza di cui soltanto il
pensiero rinforzato è capace. 3) Lo studio della natura, in quanto fisica
speculativa, presuppone la conoscenza dei fenomeni naturali, cioè della fisica
empirica. Si richiedono insomma cognizioni che in questa classe non ci sono
ancora. Quando, nel quarto anno di esistenza del ginnasio, nella classe
superiore, ricevetti gli studenti che erano già passati attraverso i tre corsi
di filosofia nella classe media e superiore, dovetti fare l’osservazione che
essi conoscevano già la maggior parte del cerchio delle scienze filosofiche. Mi
sembrò quindi di potere tralasciare gran parte dell’enciclopedia soffermandomi
soprattutto sulla filosofia della natura. Trovai però desiderabile che anche una
parte della filosofia dello Spirito, precisamente la parte del bello, venisse
svolta ulteriormente. L’estetica, oltre alla filosofia della natura, è la
scienza particolare che ancora manca nel ciclo di studio. Eppure può benissimo
essere una materia ginnasiale. La si potrebbe passare al professore di
letteratura classica nella classe superiore, se non fosse che questi ha già
molto da fare con la letteratura e sarebbe dannoso togliergli delle ore.
Comunque sia, sarebbe utilissimo se gli studenti di ginnasio, oltre a più
approfondite nozioni di metrica, possedessero anche un concetto più preciso
della natura dell’epos, della tragedia, della commedia e simili. L’estetica
potrebbe fornire i nuovi (e migliori) punti di vista sull’essenza e lo scopo
dell’arte. Non dovrebbe però davvero rimanere un mera chiacchierata generica
sull’arte. Dovrebbe piuttosto addentrarsi nei diversi modi di poetare e nei
particolari generi poetici antichi e moderni. Introdurre alla conoscenza
specifica dei massimi poeti delle diverse nazioni e dei diversi tempi. Sostenere
questa conoscenza attraverso esempi. Si tratterebbe di un corso davvero
istruttivo e piacevole che fornirebbe conoscenze adattissime agli studenti del
ginnasio. Del resto è davvero un difetto reale che l’estetica non venga studiata
nei ginnasi. A questo punto il nocciolo dell’enciclopedia, nei ginnasi, con
l’eccezione della filosofia della natura, sarebbe in sostanza presentato.
Mancherebbe giusto una visione filosofica della storia. Questa, tuttavia, può
ancora essere trascurata. E comunque potrebbe trovare il proprio posto anche
nella filosofia della religione, con la dottrina della provvidenza. È
assolutamente necessario che la suddivisione generale dell’ambito complessivo
della filosofia (la tripartizione in pensiero puro, natura e spirito) venga
ricordata il più spesso possibile nella determinazione delle singole scienze.
II) IL METODO In generale, si distingue il filosofare in sè stesso dal sistema
filosofico articolato nelle sue scienze particolari. Secondo la mania attuale
(tipica nella pedagogia) non si deve venire istruiti sul contenuto della
filosofia: si deve piuttosto imparare a filosofare, senza contenuto. È un po’
come dire: bisogna viaggiare, viaggiare, sempre viaggiare: ma non fare la
conoscenza di uomini e città, di fiumi e paesi. In primo luogo, però, mentre si
conosce una città e si raggiunge magari un fiume, poi un’altra città e così via,
si impara senz’altro a viaggiare. Anzi. Si viaggia realmente. Allo stesso
identico modo, mentre uno studia il contenuto della filosofia, conosce la
filosofia. Viene cioè a conoscenza non soltanto del filosofare, ma filosofa egli
stesso. In fondo, anche lo scopo di imparare soltanto a viaggiare, non
coinciderebbe in realtà con il conoscere città, fiumi eccetera? Non
coinciderebbe cioè con un contenuto? In secondo luogo, la filosofia contiene i
più alti pensieri razionali sugli oggetti essenziali. Contiene la loro
universalità e la loro verità. È pertanto importantissimo conoscere questo
contenuto e accogliere in testa questi pensieri. Il perenne cercare e
bighellonare qua e là senza contenuto, questo modo di procedere soltanto
formale, questo elucubrare e sofisticare, ha come conseguenza la vuotezza di
contenuto e la vuotezza di pensieri nelle teste: ha insomma il risultato che non
si sappia proprio nulla. Ma la dottrina del diritto, la morale, la religione
sono ambiti ricchi di un contenuto importante. Allo stesso modo, anche la logica
è una scienza piena di contenuti. La logica obiettiva (Kant: trascendentale)
contiene i pensieri fondamentali di essere, essenza, forza, sostanza, causa,
eccetera. L’altra i concetti, i giudizi, i sillogismi, eccetera: cioè
altrettante importanti determinazioni fondamentali. La psicologia contiene il
sentimento, l’intuizione, eccetera. L’enciclopedia filosofica, infine, l’insieme
complessivo in tutti i suoi ambiti. Il fatto che le scienze wolffiane (logica,
ontologia, cosmologia, eccetera, diritto naturale, morale, eccetera) siano più o
meno sparite non significa certo che la filosofia abbia perso il carattere, che
le è proprio, di complesso sistematico di scienze. E di scienze piene di
contenuto! Inoltre la conoscenza dell’assolutamente assoluto (poichè le diverse
scienze devono conoscere il loro proprio contenuto particolare anche nella sua
verità, cioè nella sua assolutezza) è possibile esclusivamente attraverso la
conoscenza della totalità dei livelli di un sistema. La diffidenza davanti ad un
sistema richiede una statua di Dio priva di forma. Il filosofare asistematico è
un pensare casuale, frammentario. L’atteggiamento formale di fronte al vero
contenuto, invece, è il pensiero conseguente. In terzo luogo, infine, il
processo, pieno di contenuti, che consiste nel venire a conoscenza di una
filosofia ha un nome soltanto: si chiama studiare. La filosofia non può che
venire insegnata e appresa. Non si fa forse così con tutte le altre scienze? Lo
sfortunato prurito di educare al pensar da sè e a produrre in proprio,
autonomamente, ha messo in ombra questa verità. Come se mentre io studio cosa è
la sostanza, la causa o qualsiasi altra cosa, non pensassi io stesso. Come se
non fossi io a produrre, nel mio pensiero, queste determinazioni, ma venissero
buttate dentro al mio pensare come pietre. Come se, mentre esamino la verità di
queste determinazioni, non mi convincessi io stesso della loro realtà. Dopo che
ho studiato il teorema di Pitagora e la sua dimostrazione, non sono forse io
stesso che so questo teorema? Non sono io stesso che ha dimostrato la sua
verità? Lo studio filosofico, insomma, è, di per sè stesso, tanto un fare
proprio quanto un apprendere: quanto lo studio di una scienza già elaborata, che
già esiste. Si tratta di un patrimonio di contenuti tramandati , elaborati e
formati. Di un tesoro chè è già presente, ma che deve venire acquisito dal
singolo che lo eredita. Il patrimonio filosofico deve insomma venire studiato.
L’insegnante lo possiede e lo pensa per primo, gli allievi lo ripensano dopo di
lui. Le scienze filosofiche contengono i pensieri universali e veri dei loro
oggetti. Questi sono il prodotto del lavoro del genio pensante di tutti i tempi.
Si tratta di pensieri veri, che superano ciò che un giovane studente, non
formato, può produrre da solo, con la sua testa. (Come la massa di un tale
lavoro geniale supera di gran lunga le fatiche di un giovanotto). Il
rappresentare originale e personale sugli oggetti essenziali, proprio della
gioventù, è anzitutto ancora povero e vuoto. Ma per la sua più gran parte è
addirittura fatto di opinioni, di illusioni e imperfezioni, di errori e
indeterminatezza. Attraverso lo studio, al posto di tali illusioni, si fa strada
la verità. Solo quando una testa è ben piena di pensieri ha la possibilità di
sviluppare ulteriormente la scienza, di persona. Soltanto allora può essere
raggiunta una originalità autentica. Con tutto questo, però, le lezioni negli
istituti pubblici, soprattutto nei ginnasi, non hanno nulla a che fare. Qui si
deve aver di mira qualcos’altro: si deve fare in modo che, attraverso le
lezioni, si impari qualcosa e venga cacciata l’ignoranza, mentre la testa vuota
si riempie di pensieri e contenuti. Si deve fare in modo che venga bandita
quella naturale tendenza, propria del pensiero, che consiste nell’accidentalità,
nella arbitrarietà, nella particolarità soggettiva dell’opinare. Il contenuto
della filosofia ha - per metodo e anima - tre forme:
astratto
dialettico
speculativo.
È astratto, anzitutto, in quanto si è, in generale, nell’elemento del
pensiero. Ma è anche meramente astratto in quanto - in contrapposizione al
dialettico e allo speculativo - costituisce il cosiddetto momento intellettivo,
cioè il tenere ferme e conoscere le determinazioni nelle loro salde differenze.
Il dialettico porta il movimento e lo scompiglio in queste determinazioni
intellettuali rigide: è la ragione negativa. Lo speculativo, infine, è il
razionale positivo, lo spirituale: l’unico momento propriamente filosofico. Per
quanto riguarda l’insegnamento della filosofia nei ginnasi, la cosa
principalissima è in primo luogo la forma astratta. I giovani devono per prima
cosa lasciar perdere il vedere e il sentire. Devono venire strappati dalle
rappresentazioni concrete. Il giovane deve ritirarsi dentro la notte interiore
dell’anima e vedere anche a questo livello. Deve cioè essere in grado, anche a
questo livello, di tenere ferme le determinazioni e imparare a distinguerle.
Bisogna anche sottolineare che si impara a pensare in maniera astratta
attraverso il pensiero astratto. Si possono infatti seguire due vie. Si può
cominciare dal sensibile e concreto, sollevarlo e portarlo all’astratto
attraverso l’analisi. (Questa sembra la via naturale, che andrebbe dal più
facile al più difficile). Ma si può anche cominciare, subito, con l’astratto
stesso: prendere l’astratto in sè e per sè, studiarlo e renderlo comprensibile.
Confrontiamo fra loro le due strade. 1) La prima è certo la più naturale: ma,
appunto per questo, non è la strada scientifica. Certo, è più naturale che un
disco - in qualche modo già tondeggiante - venga definitivamente arrotondato da
un tronco d’albero levigando le irregolarità e le sporgenze. Ma il geometra non
procede così. Il geometra fa - subito! - un cerchio astratto, col compasso o a
mano libera. E questo è conforme alla cosa. Il puro - cioè l’alto, cioè il vero
- è natura prius e con ciò deve cominciare anche la scienza. Se quello è il
primo, allora anche la scienza deve agire secondo verità. La scienza è infatti
il contrario del rappresentare meramente naturale, ossia del non spirituale. 2)
È completamente sbagliato considerare la via naturale, che parte dal concreto
sensibile ed arriva al pensiero, la via più facile. Al contrario, è la via più
difficile. Non è forse più facile leggere e pronunciare gli elementi della
lingua, le singole sillabe, che pronunciare e leggere tutte le parole intere?
Siccome l’astratto è il più semplice, è anche più facile da comprendere. La
immediata naturalezza, sensibile e concreta, è senz’altro da gettare via. Ed è
superfluo incominciare proprio con ciò che dopo dovrà essere disfatto. È
dispersivo. L’astratto è in quanto tale comprensibile a sufficienza, tanto
quanto basta. Certo deve poi anche subentrare la filosofia, e solo così si ha un
vero e proprio intelletto. Si deve cioè anche fare in modo che i pensieri
dell’universo entrino in testa. Ma i pensieri sono in primo luogo l’astratto.
(Anche il raziocinare privo di contenuto è abbastanza astratto. Il punto è che
bisogna presupporre che si abbia un contenuto e il contenuto giusto. E in ogni
caso ho già scritto sopra che l’astrazione priva di contenuto, cioè il
formalismo vuoto - fosse anche sopra l’assoluto - viene cacciato con la
presentazione di un contenuto determinato). Se si resta fermi esclusivamente a
questa prima forma - astratta - del contenuto della filosofia, si ha una
cosiddetta filosofia dell’intelletto. Siccome al ginnasio si deve introdurre e
fornire un materiale, questo materiale intellettuale (cioè questa massa di
pensieri certo astratti ma al tempo stesso pieni di contenuto) fornisce
immediatamente il materiale filosofico e costituisce l’introduzione, perchè
avere un materiale è il primo elemento necessario per un sapere reale ed
effettivo. Al ginnasio sembra dunque che la parte principale vada affidata a
questo primo livello astratto. Il secondo livello della forma è il dialettico.
Da un lato, è più difficile del momento astratto. D’altro canto è anche il meno
interessante per i giovani, che sono assetati di un contenuto che li riempia. Le
antinomie kantiane, nella normativa, sono prescritte in rapporto alla
cosmologia. Esse contengono una base profonda del carattere antinomico della
ragione. Questa base, però, rimane troppo nascosta e, per dir così, troppo poco
riconosciuta nella sua verità, troppo senza pensiero. E d’altra parte si tratta
davvero di una dialettica cattiva: si tratta davvero di antitesi soltanto
enunciate. Nella mia logica, io, le ho chiarificate, con guadagno. La dialettica
degli antichi eleati, e gli esempi che ci sono stati conservati, sono
infinitamente migliori. Poichè - in un tutto sistematico - ogni nuovo concetto
emerge attraverso la dialettica di quanto lo ha preceduto, l’insegnante, che
conosce questo carattere della filosofia, ha la libertà di fare un tentativo
anche con il dialettico, tanto spesso quanto può. Ma se questo tentativo non
trova risposta nella classe, può passare al concetto successivo senza
evidenziare il passaggio dialettico. Il terzo è lo speculativo vero e proprio,
cioè la conoscenza degli opposti nella loro unità. Oppure, più esattamente, la
conoscenza che gli opposti - nella loro verità - sono uno. Solo il momento
speculativo è veramente filosofico. Si tratta, come ovvio, del momento più
difficile: si tratta della verità stessa! Si presenta in forma duplice. 1) Nella
forma della rappresentazione e della immaginazione. È una forma più comune, in
qualche modo anche più vicina al cuore. Questo avviene, ad esempio, quando si
parla della vita universale della natura che muove sè stessa e che si configura
in una forma infinita (panteismo e simili). Oppure quando si parla dell’eterno
amore di Dio, che si fa creatore per amare e contemplare sè stesso nel suo
figlio eterno e poi in un figlio dato nella temporalità. Il diritto e
l’autocoscienza, come il momento pratico in generale, contengono già - in sè e
per sè - i princìpi o gli inizi dello speculativo. Tanto che dello spirito e
dello spirituale è propriamente impossibile dire anche una parola soltanto che
non risulti speculativa: perchè lo spirito e lo spirituale sono l’unità con sè
nell’essere altro. Altrimenti, anche se si usano le parole anima, spirito, Dio,
si parla solo di pietre e carboni. Quando dunque si parla in maniera meramente
astratta o intellettualistica dello spirito, il contenuto può essere comunque
speculativo (così come il contenuto della religione perfetta è altamente
speculativo). Ma in questo caso l’insegnamento - sia esso ispirato o, se non è
ispirato, comunque narrativo - porta l’oggetto solo davanti alla
rappresentazione. 2) Nella forma del concetto. Il compreso, e questo significa
lo speculativo che poggia sul dialettico, è soltanto il filosofico nella forma
del concetto. Questo può comparire con prudenza durante le lezioni al ginnasio.
In generale viene afferrato da pochi e, in parte, nemmeno si può essere
sicurissimi che questi pochi l’abbiano davvero capito. Ciò che la normativa
prevede come scopo principale delle lezioni di filosofia, insomma, cioè imparare
a pensare in maniera speculativa, è senz’altro da considerarsi come lo scopo
necessario. Ma la preparazione al pensiero speculativo è, in primo luogo, il
pensiero astratto seguito dal pensiero dialettico e in secondo luogo
l’acquisizione di rappresentazioni dal contenuto speculativo. Poichè
l’insegnamento ginnasiale della filosofia ha un carattere essenzialmente
preparatorio, le lezioni dovrebbero consistere soprattutto in un lavoro
approfondito su questi aspetti del filosofare.
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