JEAN-FRANCOIS LYOTARD

A cura di Antonino Magnanimo


"Quella che stiamo vivendo è una stagione sconvolgente, attraversata da mutamenti rapidissimi, che lasciano in piedi le condizioni di stabilità per tratti brevissimi, lo spazio di un mattino travolto dalle trasformazioni scientifico-tecnologiche. "

INDICE
VITA E OPERE
IL PENSIERO
LA CONDIZIONE POSTMODERNA

VITA E OPERE

Jean-François Lyotard è morto nell'aprile del 1998 all'ospedale Necker di Parigi. Aveva 73 anni e, secondo quanto riportato dall'Università di Emory (Atlanta) dove insegnava dal 1991, era malato di leucemia. Professore emerito presso l'Università di Parigi dal 1984, aveva insegnato alla Sorbona. Durante la sua carriera ha scritto più di 40 testi, tra cui il più celebre rimane " La condizione postmoderna " (1979), una ricerca commissionatagli dal governo canadese che è finita presto per divenire un punto di riferimento nel dibattito filosofico e culturale degli ultimi anni del Novecento. Con quel libro Lyotard ha proposto una vera e propria categoria interpretativa della società contemporanea, la "società postmoderna", la cui caratteristica peculiare è il venir meno delle " grandi narrazioni " metafisiche (illuminismo, idealismo, marxismo) che hanno giustificato ideologicamente la coesione sociale e ne hanno ispirato, nella modernità, le utopie rivoluzionarie. Con il declino del pensiero totalizzante si è aperto, secondo Lyotard, il problema di reperire criteri di giudizio e di legittimazione che abbiano valore locale e non più universale. Di formazione fenomenologico-marxista, ha svolto per dodici anni lavoro politico ed è stato uno dei redattori della rivista "Socialisme ou barbarie" (importante gruppo di minoranza della sinistra francese). Ha partecipato ai principali movimenti di contestazione e all'esperienza delle avanguardie artistiche. Sono significativi i seguenti saggi di Lyotard: " La phénoménologie ", (1954); " Discorso, figura o" (1971) ; " Economie libidinale ", (1974); " Dérives à partir de Marx et Freud " (1973) ; " La condition postmoderne " (1979); " Essai sur le secret dans l'oeuvre de Baruchello " (1982); " Il dissidio " (1983); " Le différend " (l984); " L'enthousiasme. La critique kantienne de l'histoire " (l986); " Heidegger et les juif " (1988); " La guerre des Algériens, Ecrits l956-l963 " (l989); " Leçons sur l'Analytique du sublime " ( l99l); " Lectures d'enfance " (l99l); " Signé Malraux " (l996).

IL PENSIERO

Lyotard è universalmente noto come il primo teorizzatore del postmoderno in filosofia, grazie alla ricerca sociologica " La condizione postmoderna " (1979). Nel volume viene presentata la tesi secondo la quale la modernità è giunta al suo compimento e ci troviamo ormai nel postmoderno. Il progetto della modernità di conferire un senso unitario e globale alla realtà, individuandone i fondamenti e facendo leva su una scienza unitaria, si è costruito sull'asse di tre grandi meta-racconti:

  • Illuminismo

  • Idealismo

  • Marxismo

    Questi grandi quadri di riferimento si sono ormai consumati, né sono stati sostituiti da costruzioni altrettanto forti e unitarie. Come ha detto Weber, si è ormai nell'epoca del disincanto. La loro frantumazione ha fatto emergere la pluralità e le differenze e ha moltiplicato le forme del sapere. Contrariamente alle critiche tradizionali nei confronti della scienza, Lyotard non nutre nostalgia per l'unità e la totalità perduta, ma riconosce la positività di ciò che è molteplice, frammentato, polimorfo e instabile. Egli ritiene, anzi, che non si tratti soltanto di prendere atto di questo processo in corso, ma di contribuire alla sua affermazione, attraverso pratiche di regionalizzazione dei campi del sapere. Occorre smascherare l'inconsistenza di presunte unificazioni, la rottura dei canoni tradizionali, la diffusa ibridazione , ossia la contaminazione dei generi. Lyotard è conosciuto, tra le altre cose, per aver coniato il fortunato termine di postmoderno per definire l'epoca attuale. Il termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. Il filosofo francese si domanda: la scrittura, la pittura, il buon cinema , insomma gli oggetti della nostra creatività, si può dire che sono prodotti dal sistema? Per le automobili si vede bene che è il sistema a produrle, che ci sono uomini che si mettono al servizio della produttività, in modo da conseguire una perfezione sempre maggiore. La stessa cosa si può dire per i missili interstellari o per gli aerei. Ma quando si scrive, quando si dipinge, quando si fa musica si può dire che è il sistema a produrre tutto ciò? C'è un' azione del sistema, sia pure inconsapevole e invisibile? Il carattere invasivo dello sviluppo e della logica della produzione penetra addirittura nei laboratori, nelle redazioni, persino nella camera dove lo scrittore lavora per ottenere, alla fine, il prodotto che il sistema saprà smerciare e far circolare. Per Lyotard la crisi delle cosiddette avanguardie deriva dal fatto che il sistema impone questo ordine. Spesso si è sentito dire: "ne abbiamo abbastanza di pittori inguardabili e di scrittori illeggibili. Dateci dei prodotti decifrabili e spendibili!". Il sistema esige una merce che possa essere messa in circolazione sul mercato culturale. Qui subentra la nozione di industria culturale : il sistema penetra fin nella testa del pittore, del cineasta o dello scrittore per fargli fare ciò di cui il sistema ha bisogno, perché la cultura continui a circolare. Il concetto di postmoderno, quindi, indica il bisogno di una politica capace di favorire l'adattamento dell'umanità allo sviluppo tecnologico, altrimenti insopportabile . Il filosofo francese illustrando,come abbiamo visto, la sua visione del sistema evidenzia anche la presenza di una necessaria resistenza al sistema, al mercato culturale specialmente nell'arte. Questo è il compito delle avanguardie, sintomo eclatante della crisi dell'Occidente. Lyotard denuncia, inoltre, il travisamento del concetto di postmoderno, che sfocia in una sorta di pornografia dei media . In sostanza, lo studioso si contrappone con forza allo Strutturalismo e al Marxismo, cioè a sistemi di pensiero globalizzanti; afferma l'esistenza di dimensioni e campi che solo parzialmente sono riducibili alla comunicazione e alla discorsività; dichiara l'irreversibilità del processo culturale che ha visto la fine dei grandi sistemi teorici e l'affermarsi, invece, di una molteplicità di linguaggi che sono fra loro incommensurabili, o, comunque, irriducibili l'uno all'altro. Ne è derivata una perdita di centralizzazione nell'organizzazione dello Stato, nella società, e sono cresciuti i "processi di atomizzazione". La stessa filosofia, come attività che avanza pretese alla universalità del suo discorso in termini di verità, viene dichiarata decaduta, può tutt'al più sopravvivere come discorso che tenta di giustificare uno dei mondi parziali dei giochi linguistici in cui è suddiviso il mondo postmoderno frammentato. L' Italia, l'Occidente e il mondo vivono in una temperie culturale che circonda quanto i manuali di storia ci raccontano sulla fine del primo millennio. Ovviamente, siamo in anni assai lontani dalle paure medioevali, eppure si ha netta la sensazione dell'incertezza e del disagio, della chiusura di parecchi cicli e di parecchi discorsi. Le metafore interpretative con cui si cercano i caratteri salienti del tempo in cui viviamo sono esse stesse divenute scontate; quella che stiamo vivendo è una stagione sconvolgente, attraversata da mutamenti rapidissimi, che lasciano in piedi le condizioni di stabilità per tratti brevissimi, lo spazio di un mattino travolto dalle trasformazioni scientifico-tecnologiche. Con grande lucidità, Lyotard propone una partizione storiografica tra l'epoca moderna, iniziata nei secoli XVII e XVIII e l'epoca post-moderna, che si è affermata compiutamente nel tardo Novecento. I moderni e i postmoderni professano una visione dell'uomo, della società e in genere della realtà, che sono antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L'idea forte dei moderni è il progresso umano: essi concepiscono la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l'uomo realizza e arricchisce le proprie facoltà. Ciò implica la tesi della perfettibilità tanto dell'individuo quanto della collettività politica e in genere dell'umanità; tutte e tre queste entità sono percepite come soggetti impegnati ad affermare nel mondo attraverso il lavoro, la cultura, l'arte, la scienza, la tecnica. In sintesi, l'uomo moderno ha fiducia in se stesso come creatore e protagonista di una civiltà nuova, enormemente più avanzata e più democratica di ogni epoca precedente e in costante movimento verso ulteriori traguardi. L'idea forte della modernità è dunque il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell'uomo di esercitare la ragione per un'opera di chiarificazione, di illuminazione nei confronti del mondo e di se stesso. Ciò che definisce l'essenza della condizione post-moderna, invece, è proprio la negazione della capacità umana di chiarificazione: questa condizione si fonda sul disconoscimento della sussistenza di valori ultimi, in grado appunto di chiarire, cioè di fondare, giustificare, legittimare un qualsiasi ordinamento della società, di motivare e orientare comportamenti, di conferire un senso unitario e quindi un'effettiva intelligibilità alla vita umana e alla società. Lyotard trae con coerenza le conseguenze di questo nichilismo dei valori ultimi nell'epoca post-moderna. Ciò significa che il rapporto dell'individuo con la propria tradizione culturale cessa di configurarsi come un processo di interiorizzazione. Ne segue l'esautoramento della scuola e dell'università come agenti di socializzazione e orientamento di valori. Gli studiosi che sono intervenuti nel dibattito sulla post-modernità hanno illustrato ulteriori aspetti dell'epoca postmoderna che appaiono strettamente connessi con il nichilismo dei valori umani che ne costituisce il fondamento. Innanzitutto, la perdita di potere e di funzione sociale dell'intellettuale: ciò non può stupire se si considera che a partire dai "philosophes" dell'età dei Lumi l'intellettuale è stato, per definizione, l'avanguardia, la coscienza della modernità. E' intuibile allora che la fine della modernità, in quanto determina lo svuotamento della socializzazione a modelli di valore, comporta la perdita di autorità dell'intellettuale nella società. In una società che rifiuta il riferimento a valori ultimi, e che, per di più, si compiace di questo rifiuto, il compito di indicare criteri universali di verità, moralità e giustizia cessa di essere ritenuto importante. La convinzione che non sussistano valori ultimi, fondamenti stabili, comporta inoltre la perdita di credibilità intellettuale della nozione stessa di soggetto umano. Molti dei più autorevoli intellettuali di fine Novecento hanno teorizzato, appunto, la scomparsa del soggetto umano, rispecchiando in tal modo una caratteristica essenziale della nostra epoca postmoderna. Lo scrittore marxista americano F. Jameson sottolinea che le società occidentali contemporanee, contrassegnate dalla postmodernità, sono affette da "patologia della personalità", che si manifesta nella destrutturazione del tempo biografico e nella frammentazione dell'identità. Per definire il malessere dell'uomo occidentale contemporaneo sono divenute inadeguate le categorie d'impronta soggettivistica che venivano utilizzate nei primi decenni del secolo: angoscia, alienazione, impegno inteso come adozione di una decisione rischiosa e responsabilizzante. In quest'epoca di "morte del soggetto" compare la sostituzione del soggetto alienato con il soggetto frammentato e si ha la percezione della società come spogliata di ogni storicità. Da qui nasce l'incapacità di quella visione retrospettiva che è requisito indispensabile per suscitare la prospettiva di un futuro e orientarsi verso di esso. Jean Baudrillard, inoltre, ha illustrato la correlazione fra frammentazione dell'identità e immagine frammentata del mondo e dell'uomo confezionata dai mass media contemporanei i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi di natura spettacolare. Il tempo diventa una successione di momenti non correlati tra loro, una serie di momenti presenti isolati e privi della profondità che è associata alla percezione del passato e del futuro. Per lo spettatore dei media tutto si riduce a godere l'intensità e le sensazioni della superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. Le società occidentali presentano, quindi, una gamma di sintomi di impoverimento esistenziale che, considerati dal punto di vista storico, definiscono una condizione di post-modernità, ma in verità presentano anche molti dei connotati più positivi della modernità:

  • lo sviluppo delle strutture della società post-industriale, più complesse, flessibili e differenziate rispetto a quelle della società industriale;

  • il declino delle ideologie totalizzanti;

  • la diminuzione di individui dalla personalità autoritaria;

  • l'accresciuta tolleranza e accettazione delle "diversità" etniche, sociali e religiose;

  • l'incremento delle comunicazioni e degli scambi;

  • l'internazionalizzazione dell'informazione, dell'economia e della cultura;

  • la tendenza alla parità tra uomo e donna nella famiglia e nel lavoro;

  • l'accresciuta sensibilità verso i diritti di tutti i cittadini e, particolarmente delle categorie più deboli (anziani, bambini, portatori di handicap);

  • l'indebolimento del formalismo sociale e della deferenza verso l'autorità politica e sociale.

    Ma il riconoscimento di questi processi di modernizzazione non può indurre a trascurare che essi si trovano a coesistere con i fenomeni psicologico-culturali post-moderni. E da questa coesistenza oggi risulta che in ampia misura la modernità si configura, per così dire, come un involucro, una forma vuota, soprattutto per le giovani generazioni. E' presente anche un notevole degrado esistenziale che molte delle maggiori personalità intellettuali dell'Occidente tra l'Ottocento e il primo Novecento hanno presagito. Esso si manifesta in sintomi quali carenza di progettualità e distacco da valori ultimi, che sono classificabili come indicatori di crisi della modernità. N. Elias, infine, con riferimento all'atteggiamento nei confronti della morte, sostiene che al contrario dei suoi antenati, dalla preistoria al primo Novecento, l'uomo occidentale dell'epoca post-moderna è incapace di affrontare la morte nei suoi diversi aspetti: la comunicazione con il moribondo, la preparazione della salma, la sepoltura, la familiarizzazione e l'educazione all'idea della morte, una partecipazione emotiva intensa. La morte è divenuta un tabù come lo fu il tabù sessuale in epoca vittoriana e i rituali di lutto pubblici e privati si sono penosamente impoveriti. I nostri antenati sapevano affrontare la morte perché avevano di essa un'esperienza psicologica dotata di autenticità: per loro la morte racchiudeva gli elementi della terribilità, della fascinazione e del mutamento radicale. E ciò indipendentemente dalla credenza o meno in un'esistenza al di là della morte. L'odierna elusione e banalizzazione della morte attraverso il silenzio e rituali degradati è spiegabile con l'impotenza a integrare nel proprio vissuto le dimensioni fondamentali della esistenza. Appare evidente, allora, che, qualora si ritenga di condividere con Lyotard e gli altri assertori del postmoderno la tesi del declino dei valori costitutivi dell'epoca moderna, si prospetta l'esigenza di ulteriori considerazioni. In Italia, in particolare, persino la stampa più legata ai valori della modernizzazione non ha esitato a denunciare l'opacità, la "stupidità" degli anni Ottanta, che hanno visto l'espansione della condizione postmoderna. R. Dahrendorf sostiene che si possono notare due segnali molto chiari che ci indicano le dissoluzioni della società avanzata. Il primo è la rinuncia alla storia, il lasciare che il fare, il progettare ci derubino del passato; il secondo è la straordinaria difficoltà che i partiti politici di oggi hanno nel definirsi, nel darsi un programma. I giovani non hanno più né i grandi maestri del passato, né i punti di riferimento nel presente.

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