Lyotard è
universalmente noto come il primo teorizzatore del postmoderno in filosofia, grazie alla ricerca sociologica "
La condizione postmoderna " (1979). Nel volume viene presentata la tesi
secondo la quale la modernità è giunta al suo compimento e ci troviamo ormai nel
postmoderno. Il progetto della modernità di conferire un senso unitario e
globale alla realtà, individuandone i fondamenti e facendo leva su una scienza
unitaria, si è costruito sull'asse di tre grandi meta-racconti:
Illuminismo
Idealismo
Marxismo
Questi grandi quadri di riferimento si sono ormai consumati, né sono stati
sostituiti da costruzioni altrettanto forti e unitarie. Come ha detto Weber, si
è ormai nell'epoca del disincanto. La loro frantumazione ha fatto emergere la
pluralità e le differenze e ha moltiplicato le forme del sapere. Contrariamente
alle critiche tradizionali nei confronti della scienza, Lyotard non nutre
nostalgia per l'unità e la totalità perduta, ma riconosce la positività di ciò
che è molteplice, frammentato, polimorfo e instabile. Egli ritiene, anzi, che
non si tratti soltanto di prendere atto di questo processo in corso, ma di
contribuire alla sua affermazione, attraverso pratiche di regionalizzazione dei
campi del sapere. Occorre smascherare l'inconsistenza di presunte unificazioni,
la rottura dei canoni tradizionali, la diffusa ibridazione , ossia la
contaminazione dei generi. Lyotard è conosciuto, tra le altre cose, per aver
coniato il fortunato termine di postmoderno per definire l'epoca attuale. Il
termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute
immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. Il filosofo francese si
domanda: la scrittura, la pittura, il buon cinema , insomma gli oggetti della
nostra creatività, si può dire che sono prodotti dal sistema? Per le automobili
si vede bene che è il sistema a produrle, che ci sono uomini che si mettono al
servizio della produttività, in modo da conseguire una perfezione sempre
maggiore. La stessa cosa si può dire per i missili interstellari o per gli
aerei. Ma quando si scrive, quando si dipinge, quando si fa musica si può dire
che è il sistema a produrre tutto ciò? C'è un' azione del sistema, sia pure
inconsapevole e invisibile? Il carattere invasivo dello sviluppo e della logica
della produzione penetra addirittura nei laboratori, nelle redazioni, persino
nella camera dove lo scrittore lavora per ottenere, alla fine, il prodotto che
il sistema saprà smerciare e far circolare. Per Lyotard la crisi delle
cosiddette avanguardie deriva dal fatto che il sistema impone questo ordine.
Spesso si è sentito dire: "ne abbiamo abbastanza di pittori inguardabili e di
scrittori illeggibili. Dateci dei prodotti decifrabili e spendibili!". Il
sistema esige una merce che possa essere messa in circolazione sul
mercato culturale. Qui subentra la nozione di industria
culturale
: il sistema penetra fin nella testa del pittore, del
cineasta o dello scrittore per fargli fare ciò di cui il sistema ha bisogno,
perché la cultura continui a circolare. Il concetto di postmoderno, quindi,
indica il bisogno di una politica capace di favorire l'adattamento dell'umanità
allo sviluppo tecnologico, altrimenti insopportabile . Il filosofo francese
illustrando,come abbiamo visto, la sua visione del sistema evidenzia anche la
presenza di una necessaria resistenza al sistema, al mercato culturale
specialmente nell'arte. Questo è il compito delle avanguardie, sintomo eclatante
della crisi dell'Occidente. Lyotard denuncia, inoltre, il travisamento del
concetto di postmoderno, che sfocia in una sorta di
pornografia dei media
. In sostanza, lo studioso si contrappone con forza allo Strutturalismo e al
Marxismo, cioè a sistemi di pensiero globalizzanti; afferma l'esistenza di
dimensioni e campi che solo parzialmente sono riducibili alla comunicazione e
alla discorsività; dichiara l'irreversibilità del processo culturale che ha
visto la fine dei grandi sistemi teorici e l'affermarsi, invece, di una
molteplicità di linguaggi che sono fra loro incommensurabili, o, comunque,
irriducibili l'uno all'altro. Ne è derivata una perdita di centralizzazione
nell'organizzazione dello Stato, nella società, e sono cresciuti i "processi di
atomizzazione". La stessa filosofia, come attività che avanza pretese alla
universalità del suo discorso in termini di verità, viene dichiarata decaduta,
può tutt'al più sopravvivere come discorso che tenta di giustificare uno dei
mondi parziali dei giochi linguistici in cui è suddiviso il mondo postmoderno
frammentato. L' Italia, l'Occidente e il mondo vivono in una temperie culturale
che circonda quanto i manuali di storia ci raccontano sulla fine del primo
millennio. Ovviamente, siamo in anni assai lontani dalle paure medioevali,
eppure si ha netta la sensazione dell'incertezza e del disagio, della chiusura
di parecchi cicli e di parecchi discorsi. Le metafore interpretative con cui si
cercano i caratteri salienti del tempo in cui viviamo sono esse stesse divenute
scontate; quella che stiamo vivendo è una stagione sconvolgente, attraversata da
mutamenti rapidissimi, che lasciano in piedi le condizioni di stabilità per
tratti brevissimi, lo spazio di un mattino travolto dalle trasformazioni
scientifico-tecnologiche. Con grande lucidità, Lyotard propone una partizione
storiografica tra l'epoca moderna, iniziata nei secoli XVII e XVIII e l'epoca
post-moderna, che si è affermata compiutamente nel tardo Novecento. I moderni e
i postmoderni professano una visione dell'uomo, della società e in genere della
realtà, che sono antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L'idea forte dei
moderni è il progresso umano: essi concepiscono la storia come un processo di
emancipazione progressiva nella quale l'uomo realizza e arricchisce le proprie
facoltà. Ciò implica la tesi della perfettibilità tanto dell'individuo quanto
della collettività politica e in genere dell'umanità; tutte e tre queste entità
sono percepite come soggetti impegnati ad affermare nel mondo attraverso il
lavoro, la cultura, l'arte, la scienza, la tecnica. In sintesi, l'uomo moderno
ha fiducia in se stesso come creatore e protagonista di una civiltà nuova,
enormemente più avanzata e più democratica di ogni epoca precedente e in
costante movimento verso ulteriori traguardi. L'idea forte della modernità è
dunque il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione,
come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell'uomo di esercitare
la ragione per un'opera di chiarificazione, di illuminazione nei confronti del
mondo e di se stesso. Ciò che definisce l'essenza della condizione post-moderna,
invece, è proprio la negazione della capacità umana di chiarificazione: questa
condizione si fonda sul disconoscimento della sussistenza di valori ultimi, in
grado appunto di chiarire, cioè di fondare, giustificare, legittimare un
qualsiasi ordinamento della società, di motivare e orientare comportamenti, di
conferire un senso unitario e quindi un'effettiva intelligibilità alla vita
umana e alla società. Lyotard trae con coerenza le conseguenze di questo
nichilismo dei valori ultimi nell'epoca post-moderna. Ciò significa che il
rapporto dell'individuo con la propria tradizione culturale cessa di
configurarsi come un processo di interiorizzazione. Ne segue l'esautoramento
della scuola e dell'università come agenti di socializzazione e orientamento di
valori. Gli studiosi che sono intervenuti nel dibattito sulla post-modernità
hanno illustrato ulteriori aspetti dell'epoca postmoderna che appaiono
strettamente connessi con il nichilismo dei valori umani che ne costituisce il
fondamento. Innanzitutto, la perdita di potere e di funzione sociale
dell'intellettuale: ciò non può stupire se si considera che a partire dai
"philosophes" dell'età dei Lumi l'intellettuale è stato, per definizione,
l'avanguardia, la coscienza della modernità. E' intuibile allora che la fine
della modernità, in quanto determina lo svuotamento della socializzazione a
modelli di valore, comporta la perdita di autorità dell'intellettuale nella
società. In una società che rifiuta il riferimento a valori ultimi, e che, per
di più, si compiace di questo rifiuto, il compito di indicare criteri universali
di verità, moralità e giustizia cessa di essere ritenuto importante. La
convinzione che non sussistano valori ultimi, fondamenti stabili, comporta
inoltre la perdita di credibilità intellettuale della nozione stessa di soggetto
umano. Molti dei più autorevoli intellettuali di fine Novecento hanno
teorizzato, appunto, la scomparsa del soggetto umano, rispecchiando in tal modo
una caratteristica essenziale della nostra epoca postmoderna. Lo scrittore
marxista americano F. Jameson sottolinea che le società occidentali
contemporanee, contrassegnate dalla postmodernità, sono affette da "patologia
della personalità", che si manifesta nella destrutturazione del tempo biografico
e nella frammentazione dell'identità. Per definire il malessere dell'uomo
occidentale contemporaneo sono divenute inadeguate le categorie d'impronta
soggettivistica che venivano utilizzate nei primi decenni del secolo: angoscia,
alienazione, impegno inteso come adozione di una decisione rischiosa e
responsabilizzante. In quest'epoca di "morte del soggetto" compare la
sostituzione del soggetto alienato con il soggetto frammentato e si ha la
percezione della società come spogliata di ogni storicità. Da qui nasce
l'incapacità di quella visione retrospettiva che è requisito indispensabile per
suscitare la prospettiva di un futuro e orientarsi verso di esso. Jean
Baudrillard, inoltre, ha illustrato la correlazione fra frammentazione
dell'identità e immagine frammentata del mondo e dell'uomo confezionata dai mass
media contemporanei i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi
di natura spettacolare. Il tempo diventa una successione di momenti non
correlati tra loro, una serie di momenti presenti isolati e privi della
profondità che è associata alla percezione del passato e del futuro. Per lo
spettatore dei media tutto si riduce a godere l'intensità e le sensazioni della
superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi
di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. Le
società occidentali presentano, quindi, una gamma di sintomi di impoverimento
esistenziale che, considerati dal punto di vista storico, definiscono una
condizione di post-modernità, ma in verità presentano anche molti dei connotati
più positivi della modernità:
lo sviluppo delle strutture della società post-industriale, più complesse,
flessibili e differenziate rispetto a quelle della società industriale;
il declino delle ideologie totalizzanti;
la diminuzione di individui dalla personalità autoritaria;
l'accresciuta tolleranza e accettazione delle "diversità" etniche, sociali e
religiose;
l'incremento delle comunicazioni e degli scambi;
l'internazionalizzazione dell'informazione, dell'economia e della cultura;
la tendenza alla parità tra uomo e donna nella famiglia e nel lavoro;
l'accresciuta sensibilità verso i diritti di tutti i cittadini e,
particolarmente delle categorie più deboli (anziani, bambini, portatori di
handicap);
l'indebolimento del formalismo sociale e della deferenza verso l'autorità
politica e sociale.
Ma il riconoscimento di questi processi di modernizzazione non può indurre a
trascurare che essi si trovano a coesistere con i fenomeni psicologico-culturali
post-moderni. E da questa coesistenza oggi risulta che in ampia misura la
modernità si configura, per così dire, come un involucro, una forma vuota,
soprattutto per le giovani generazioni. E' presente anche un notevole degrado
esistenziale che molte delle maggiori personalità intellettuali dell'Occidente
tra l'Ottocento e il primo Novecento hanno presagito. Esso si manifesta in
sintomi quali carenza di progettualità e distacco da valori ultimi, che sono
classificabili come indicatori di crisi della modernità. N. Elias, infine, con
riferimento all'atteggiamento nei confronti della morte, sostiene che al
contrario dei suoi antenati, dalla preistoria al primo Novecento, l'uomo
occidentale dell'epoca post-moderna è incapace di affrontare la morte nei suoi
diversi aspetti: la comunicazione con il moribondo, la preparazione della salma,
la sepoltura, la familiarizzazione e l'educazione all'idea della morte, una
partecipazione emotiva intensa. La morte è divenuta un tabù come lo fu il tabù
sessuale in epoca vittoriana e i rituali di lutto pubblici e privati si sono
penosamente impoveriti. I nostri antenati sapevano affrontare la morte perché
avevano di essa un'esperienza psicologica dotata di autenticità: per loro la
morte racchiudeva gli elementi della terribilità, della fascinazione e del
mutamento radicale. E ciò indipendentemente dalla credenza o meno in
un'esistenza al di là della morte. L'odierna elusione e banalizzazione della
morte attraverso il silenzio e rituali degradati è spiegabile con l'impotenza a
integrare nel proprio vissuto le dimensioni fondamentali della esistenza. Appare
evidente, allora, che, qualora si ritenga di condividere con Lyotard e gli altri
assertori del postmoderno la tesi del declino dei valori costitutivi dell'epoca
moderna, si prospetta l'esigenza di ulteriori considerazioni. In Italia, in
particolare, persino la stampa più legata ai valori della modernizzazione non ha
esitato a denunciare l'opacità, la "stupidità" degli anni Ottanta, che hanno
visto l'espansione della condizione postmoderna. R. Dahrendorf sostiene che si
possono notare due segnali molto chiari che ci indicano le dissoluzioni della
società avanzata. Il primo è la rinuncia alla storia, il lasciare che il fare,
il progettare ci derubino del passato; il secondo è la straordinaria difficoltà
che i partiti politici di oggi hanno nel definirsi, nel darsi un programma. I
giovani non hanno più né i grandi maestri del passato, né i punti di riferimento
nel presente.
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