GUGLIELMO DA OCKHAM

A cura di Diego Fusaro

"Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora."

 



INDICE
INTRODUZIONE A OCKHAM
IL CONCETTO DELLA SCIENZA IN OCKHAM

INTRODUZIONE A OCKHAM

GUGLIELMO DA OCKHAMGuglielmo di Ockham (o Occam) nacque a Ockham nel Surrey, a poche miglia da Londra, in una data imprecisata fra il 1280 e il 1290. Entrò nell'ordine francescano e studiò e insegnò ad Oxford sino al 1324. In questo periodo scrisse un commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, l' Expositio aurea super artem veterem, consistente in un commento alle Categorie, al De interpretatione di Aristotele e all'Introduzione di Porfirio alle Categorie e in un trattato De futuris contingentibus ", un Tractatus de sacramento altaris, vari Quodlibeta e commenti alla Fisica di Aristotele . Verso la fine del suo soggiorno a Oxford iniziò anche la Summa totius logicae. Nel 1324 fu citato ad Avignone, dove risiedeva la corte pontificia di Giovanni XXII, per discolparsi di tesi sospette. Una commissione di teologi nel 1326 condannò 51 proposizioni tratte dai suoi scritti. Ad Avignone Ockham entrò in contatto con Michele da Cesena, anch'egli convocato presso la curia nel 1327. Michele era diventato generale dell'ordine francescano nel 1316 e in un primo tempo aveva cercato di conciliare le tendenze opposte entro l'ordine tra spirituali, fautori di un ritorno alla povertà e alla semplicità, e conventuali, sostenitori della necessità di ancorare l'ordine all'organizzazione ecclesiastica e della liceità della proprietà. Nel 1322 il capitolo provinciale francescano di Perugia stabiliva che Cristo e gli Apostoli non avevano posseduto nulla, nè individualmente nè in comune: a tale esempio doveva rifarsi l'ordine. Una serie di bolle pontificie, emanate fra il 1322 e il 1324, dichiarava eretica questa tesi: poco dopo Michele era convocato ad Avignone, ma nel 1328, insieme a Ockham, fuggiva da questa città e si recava a Pisa presso l'imperatore Ludovico il Bavaro. Ockham seguirà l'imperatore in Germania, a Monaco, dove risiederà fino alla morte avvenuta verso il 1349, durante l'epidemia di peste che colpì l'Europa per tutto il '300. Nell'ultimo scorcio della sua vita, a partire dal 1330, egli dedicherà tutte le sue energie a scrivere una serie di opere di polemica ecclesiastica e politica, contro Giovanni XXII e in generale contro le pretese di supremazia del potere papale su quello imperiale. Di esse fanno parte l' Opus nonaginta dierum, scritto in 3 mesi, il Dialogus inter magistrum et discipulum, incompiuto, il De imperatorum et pontificum potestate. Per Ockham l'ordine francescano é una molteplicità di persone, che hanno in comune l'osservanza della regola di Francesco, approvata dai papi, la quale impone la rinuncia alla proprietà. Tale precetto ha la sua fonte nel Vangelo, dove Cristo dice : "se vuoi essere perfetto , vendi quello che possiedi e dallo ai poveri". Adamo ed Eva avevano ricevuto da Dio la prerogativa di usare le cose temporali a proprio vantaggio, ma dopo il peccato originale era stata istituita dagli uomini la divisione dei beni terreni, considerata dalla retta ragione umana il modo più opportuno di usarli. La proprietà non ha dunque per Ockham un fondamento naturale, ma non é neppure del tutto arbitraria, dal momento che é originata dalla retta ragione. Su questa base Ockham elabora la nozione di quello che sarà poi chiamato diritto soggettivo, consistente nel potere esercitato su uno o più beni e attribuito a un individuo da una legge stabilita. Lo Stato é istituito allo scopo di consentire e salvaguardare una vita pacifica e ordinata e, quindi, anche l'esercizio di tali diritti, e ha potere legittimo quando esso é accettato dai cittadini. Ciò non significa che Ockham riconosca una sovranità popolare assoluta. Rispetto al potere civile si distingue la Chiesa, che non é altro che la moltitudine di tutti i fedeli dai tempi dei profeti e degli apostoli sino ad oggi. Nel corso dei tempi essa ha riconosciuto e sancito le verità che debbono essere credute per fede: in essa pertanto risiede l'infallibilità in materia religiosa, e non nel papa e neppure nel Concilio, secondo Ockham. Egli ammette la necessità di qualche interferenza fra le due sfere del potere civile e della Chiesa. In particolare, rientra nei compiti dell'imperatore difendere la Chiesa, reprimendo le eresie, anche quelle compiute eventualmente da un papa. Ma in generale Ockham confuta, anche con argomenti di tipo storico, la tesi che il papa abbia ricevuto da Cristo la pienezza del potere anche nelle cose temporali. L'impero infatti esisteva a Roma già prima di Cristo e da Roma era passato a Carlo Magno e poi ai suoi successori. Cristo stesso aveva detto: "date a Cesare ciò che é di Cesare", riconoscendo in tal modo l'autonomia del potere civile. Da ciò scaturisce l'indipendenza del potere imperiale, che per essere legittimato non ha bisogno di ricevere l'investitura papale. Ma le accuse di Ockham sono anche esplicitamente dirette alla figura stessa del papa: Nel Dialogus, uno dei suoi trattati antipapali per eccellenza, sostiene che il papa non sia la Chiesa, che il papa non sia regula fidei, che al di sopra del papa vi sia il concilio, la Scrittura, l'universale Chiesa invisibile. Tra questi vari motivi addotti a discapito del papato, quello più efficace é senz'altro quello della supremazia del concilio; il problema di fondo di Ockham é quello di smantellare una teocrazia ostile all'impero temporale (che come detto egli sostiene) per la via della contrapposizione della Chiesa al papa o, meglio, del ritorno della Chiesa alla sua primitiva struttura di mera universitas fidelium, di decentrata società di fedeli. Queste tesi, con le quali Ockham interveniva dalla parte di Ludovico il Bavaro contro le pretese del papato, avevano tuttavia minore radicalità di quelle avanzate da Marsilio da Padova. Massima radicalità, invece, era raggiunta da Ockham sul piano delle dottrine logiche e filosofiche, alle quali aveva dedicato le opere scritte nella prima parte della sua vita. Il suo scritto più importante, la Summa totius logicae, segue l'ordine dei trattati logici aristotelici, affrontando in successione il problema dei termini, delle proposizioni e dei ragionamenti o sillogismi. Termine é ciò che entra o può entrare a far parte di una proposizione. Ockham distingue fra termini mentali, orali e scritti. Tutti questi termini designano direttamente le cose, ma quelli orali e scritti sono convenzionali, in quanto possono variare i suoni o le lettere dell'alfabeto con i quali una stessa cosa può essere designata in lingue diverse. Invece, il termine mentale é il segno naturale di una cosa e non ha pertanto alcuna convenzionalità. Le proprietà del termine mentale convengono anche gli altri due tipi di termini, ma non sempre vale l'inverso. I termini si distinguono in categorematici, dotati di significato definito (per esempio il termine "uomo", che significa tutti i singoli uomini) e sincategorematici , che posseggono significato solo in connessione ai primi. Sono sincategorematici quelli che oggi sono chiamati quantificatori, come "tutto", "nessuno", "qualche", e connettivi proposizionali, come "e", "o", "se", "poichè", ecc. Questi ultimi termini, infatti, da soli non hanno significato, ma lo assumono in connessione a termini categorematici . Un'ulteriore distinzione é tra termini di prima imposizione, che significano direttamente le cose e non altri termini del linguaggio (orale e scritto) e termini di seconda imposizione, i quali invece designano termini o parti del linguaggio (per esempio i termini "sostantivo" o "coniugazione"). A loro volta i termini di prima imposizione si distinguono in termini di prima intenzione, che designano oggetti esistenti realmente fuori dalla mente, come "uomo", "cane", "cavallo" ecc., e i termini di seconda intenzione, i quali designano invece concetti della mente, come "universali", "specie", "genere", e così via. Diversamente dalle parole, che sono suoni convenzionali, i termini mentali o concetti sono segni naturali predicabili di più cose. In questo senso essi sono universali: tale universalità dipende infatti soltanto dal fatto che questi segni possono essere predicati di più cose. Di per sé invece ogni concetto è un’entità individuale: Ockham rifiuta tutte le forme di realismo, che considerano l'universale esistente realmente, anche se solo in potenza, nelle cose stesse. Per descrivere la è posizione di Ockham è stata usata dai moderni l'etichetta di nominalismo, ma occorre avvertire che essa non coincide con il nominalismo di un Roscellino, per il quale gli universali sono solo suoni. Per Ockham gli universali non sono puri suoni, ma segni, e tali segni non sono istituiti arbitrariamente o deliberatamente, ma sono naturali, in quanto sono prodotti nell'anima delle cose stesse di cui essi sono segno. Ciò non significa che i segni siano rappresentazioni o immagini delle cose, ossia che tra i segni e le cose significate esista necessariamente una somiglianza. Se fossero immagini, essi ci farebbero conoscere soltanto ciò che è già noto: così l'immagine di Ercole non fa conoscere Ercole, se già non lo si conosce. Piuttosto l'universale è segno nel modo in cui il fumo è segno del fuoco o il lamento è segno di dolore o di malattia. Esso ha una natura intenzionale, nel senso che "tende verso" (in latino intendit) l'oggetto di cui è segno. Così il termine universale "uomo" è segno non di una presunta entità universale uomo o umanità, bensì di Socrate , Platone e i singoli individui umani. Ciò è reso possibile da una somiglianza che intercorre fra Socrate, Platone ecc. e li distingue, per esempio da un cane o da una pietra. Ma ciò non vuol dire che la somiglianza sia un' entità dotata di esistenza autonoma, la quale viene ad aggiungersi alle entità singole tra le quali intercorre: la somiglianza tra Socrate e Platone significa soltanto che per esempio, Socrate è bianco e Platone è bianco. Anche i concetti di relazione, quindi, come quello di somiglianza, non sono dotati di esistenza autonoma. Nella dimostrazione dell'inesistenza e inutilità degli universali é operante il principio metodico detto rasoio di Ockham, benchè egli non sia stato il primo a formularlo. Esso é una regola di economia che prescrive di non introdurre nelle spiegazioni delle cose più entità di quante siano necessarie e quindi di non trasformare parole o concetti in cose realmente esistenti. Varie sono le formulazioni di esso: frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora o pluralitas non est ponenda sine necessitate o ancora entia non sunt multiplicanda sine necessitate. In ogni caso si tratta di non introdurre principi esplicativi più numerosi di quanto sia necessario. Una sua conseguenza é che, non esistendo universale, viene meno il problema dell'individuazione: infatti, tutti gli enti esistenti sono individuali e ciò non richiede ulteriori spiegazioni. Un termine singolo, in quanto segno di una cosa, ha significatio, la quale si distingue dalla suppositio. Già prima di Ockham i logici avevano identificato la suppositio con la proprietà dei termini, all'interno di una proposizione , di stare al posto di qualcosa, in veste di soggetto o predicato. Il termine latino suppositio deriva appunto da supponere, stare al posto di qualcosa . Ockham distingue vari tipi di suppositio : 1) personale, quando il termine sta soltanto per il suo significato proprio , ossia significa solamente una realtà individuale , come nella proposizione "l' uomo corre" , dove "l'uomo" può significare solo individui reali (Socrate, Platone, ecc), gli unici in grado di correre ; 2) semplice, quando il termine sta al posto di un concetto che non é il segno naturale di quel termine, come nella proposizione "l'uomo é una specie" , dove "uomo" non sta per individui singoli (ossia per il suo significato vero e proprio), ma per un concetto mentale (quello di specie); 3) materiale, quando il termine sta al posto non di un concetto o termine mentale, ma di un termine scritto o orale, come nella proposizione "uomo é un nome di 4 lettere" , dove "uomo" sta al posto del termine scritto "uomo". Sulla base della teoria della suppositio é possibile affrontare il problema della verità o falsità delle proposizioni. Intanto, Ockham precisa che la verità non é una entità dotata di esistenza indipendente dalla proposizione: la verità di una proposizione coincide con la proposizione vera; e così é per la falsità. Ma esistono due tipi di proposizione: le proposizioni categoriche sono formate da soggetto , copula e predicato ( per esempio "Socrate é un uomo") . Nelle proposizioni modali la relazione tra soggetto e predicato é qualificata mediante operatori quali "necessariamente" o introdotta da espressioni come "é necessario che" , "é possibile che" ecc. Esistono poi proposizioni composte da due o più proposizioni collegate da quelle che oggi sono chiamati connettivi proposizionali : "se p, allora q", "p e q", "p o q", ecc . Questo tipo di proposizioni era già stato studiato dagli stoici. Ockham ne studia le condizioni di verità o falsità . La proposizione categorica singolare "Socrate é un uomo" é vera non perchè Socrate possiede l'umanità o l'umanità é in Socrate o appartiene alla sua essenza; essa significa soltanto che Socrate é veramente uomo, ossia che c'é una cosa al posto della quale sta il predicato uomo: tanto il soggetto quanto il predicato stanno (supponunt) per la stessa cosa. Così la congiunzione di due proposizioni é vera , quando sono entrambe vere le proposizioni; la disgiunzione se é vera una delle due; il condizionale ("se p, allora q") é vero in tutti i casi, tranne quello in cui l'antecedente p é vera e la conseguente q é falsa. In tal modo, Ockham individua condizioni puramente formali della verità logica delle proposizioni, a prescindere dal contenuto delle proposizioni stesse. Il sillogismo é un ragionamento costituito da più proposizioni e precisamente da premesse dalle quali si deduce una conclusione. Le premesse possono anche essere solo probabili, non di per sè evidenti. In tal caso non si ha un sillogismo dimostrativo vero e proprio , che procede invece da premesse necessarie ed evidenti. Come già aveva mostrato Aristotele, il sillogismo scientifico per eccellenza é quello di prima figura: esso si fonda sul presupposto che ciò che vale per un individua si predica di tutti gli altri individui simili ad esso (dictum de omni) e, viceversa, ciò che non vale per uno non vale per nessuno (dictum de nullo). Si può pertanto applicare la seguente regola di trasformazione: la proposizione "ogni uomo é un animale" equivale a "quest'uomo é un animale", "quest' altro uomo é un animale" e così via. Ciò consente di eliminare il termine sincategorematico (in linguaggio moderno: quantificatore universale) "ogni" e di ottenere proposizioni che contengono soltanto termini categorematici. In tal modo, una proposizione universale affermativa o negativa é interpretata come una proposizione che afferma o nega un fatto singolo rispetto a cose individuali, senza introdurre presunte entità universali. Se la verità delle proposizioni dipende da oggetti particolari, tale verità non può più essere universale e necessaria. Ockham distingue, come già Duns Scoto, tra conoscenza intuitiva e conoscenza astrattiva . Conoscenza intuitiva é quella in base a cui sappiamo se una cosa esiste o no. Essa dà luogo all'enunciazione di proposizioni contingenti ed é propria dei sensi, dai quali scaturisce la conoscenza dei termini indicanti cose individuali. Ma i sensi da soli non sono sufficienti per arrivare alla formulazione di proposizioni, consistenti nella connessione di tali termini. A costituire la conoscenza intuitiva é dunque essenziale l'intelletto, che può formulare un giudizio di esistenza sull'oggetto conosciuto. La conoscenza intuitiva riguarda quindi un oggetto nella sua esistenza attuale e pertanto é antecedente alla conoscenza astrattiva. Con questa non si può sapere con evidenza se una cosa contingente esiste o no: essa infatti ha come caratteristica quella di conoscere gli stessi termini conosciuti dalla conoscenza intuitiva, ma prescindendo (ossia astraendo) dall'esistenza o non esistenza degli oggetti a cui tali termini si riferiscono. Si ha qui un primo tipo di conoscenza astrattiva, che ha per oggetto il singolare. Per esempio, io ho conoscenza intuitiva di Socrate in carne ed ossa qui davanti a me; quando Socrate non é più davanti a me, non ne ho più conoscenza intuitiva, ma astrattiva. Accanto a questa esiste una seconda forma di astrazione, quella che astrae dalla singolarità della cosa e, attraverso la ripetizione di questa operazione su oggetti simili, perviene a un concetto che significa una molteplicità di oggetti: tale concetto é un universale. Sul piano naturale si ha conoscenza intuitiva, e quindi poi anche astrattiva, solo di oggetti esistenti. Sul piano naturale occorre invece riconoscere che, per l'onnipotenza di Dio , sia possibile avere intuizione anche di oggetti non esistenti, ma Dio non può far sorgere l'assenso alla proposizione secondo cui un oggetto esiste, se esso non esiste; altrimenti Dio produrrebbe una conoscenza falsa. Contrariamente a quanto pensava Duns Scoto, la distinzione tra conoscenza intuitiva ed astrattiva non deve essere intesa nel senso che l'astrattiva colga gli oggetti, sia presenti, sia assenti, ma in maniera indebolita e più povera. In realtà, entrambe le conoscenze colgono l'oggetto in maniera esaustiva e non é necessario ammettere, come faceva Scoto, l'esistenza di specie intermedie. La differenza é piuttosto che l'astrattiva può esserci anche se la cosa conoscitiva é andata distrutta, mentre ciò non é possibile nel caso della conoscenza intuitiva che richiede necessariamente l'esistenza della cosa. Le uniche proposizioni che la conoscenza astrattiva non può formulare sono pertanto i giudizi di esistenza; ma può formulare qualsiasi altra proposizione concernente cose già conosciute per via intuitiva, anche se queste scompaiono. Ma poichè la conoscenza astrattiva dipende da quella intuitiva e questa consente di conoscere soltanto enti ed eventi individuali e contingenti, la dimostrazione costruita mediante proposizioni ottenute per via astrattiva non potrà condurre alla conoscenza di una struttura necessaria della realtà, fondata su relazioni causali necessarie. L'unico sapere possibile diventa quello fondato sull'esperienza di cose ed eventi individuali . In questo senso la posizione di Ockham é stata identificata con una forma di empirismo. Da essa Ockham trae una serie di conseguenze radicali non solo per quanto riguarda la teologia, ma anche la metafisica e la fisica. Le verità teologiche sono quelle necessarie all'uomo, pellegrino in questa terra, per conseguire la beatitudine eterna. Ma di tali verità l'intelletto umano non può avere conoscenza evidente: l'uomo non può avere in questa vita conoscenza intuitiva di Dio e, dunque, neppure astrattiva. Solo la rivelazione consente di chiarire il significato del termine Dio, solo essa ci rende noti i suoi attributi, come l'onnipotenza o l'infinità. Aristotele e i suoi commentatori arabi non sono arrivati a dimostrare tali attributi; essi sono pertanto indimostrabili. Il Dio a cui si può arrivare per via filosofica non é il Dio cristiano, anche se ciò non significa che siano in contrasto. L'uomo può formulare proposizioni riguardanti Dio e averne un qualche concetto partendo dalle caratteristiche delle cose finite, ma solo in quanto queste possono richiamare alla mente una realtà dissimile da esse. Si tratta allora di prescindere dal modo di essere finito in cui certi attributi, come l'unità, la bontà e così via, sono presenti nelle creature. Ma gli articoli di fede non sono nè principi nè conclusioni di dimostrazioni e neppure di argomentazioni probabili, perchè non appaiono veri a tutti o ai più sapienti, ossia a coloro che si valgono della sola ragione naturale. Se fossero oggetto di dimostrazione , allora la rivelazione sarebbe stata inutile. La conseguenza é che la teologia non può essere scienza: ragione e fede sono distinte e non convergono: tra ragione e fede non c'é alcun rapporto e la loro separazione tra fede e ragione può essere dimostrata in vari modi, ma tuttavia la cosa più interessante da notare é che nel momento in cui esse vengono separate, ciascuna é libera di procedere autonomamente per la sua strada, sicchè Guglielmo di Ockham sul piano religioso sosterrà una tesi fideistica: la fede é fede e non ha nulla a che vedere con la ragione. Si tratta chiaramente di una posizione molto conservatrice, tipicamente francescana: i francescani, infatti , sono portati a rifiutare la ragione "intellettualistica" : a loro non importa come é fatto Dio, ma come si comporta, cosicchè la loro é una fede che punta solo sull'amore per Dio. Però separando fede e ragione, così come la fede, anche la ragione resta autonoma: da un lato é un modo di vedere piuttosto retrogrado, però va detto che comporta anche elementi di modernità: la ragione diventa "pur " , senza avere più nulla a che fare con la fede. Non a caso si usa definire Guglielmo di Ockham l' ultimo pensatore medioevale e il primo moderno. Come già per Duns Scoto, la teologia riguarda verità pratiche, conoscenze indispensabili alla salvezza, tratte dalla Sacra Scrittura. Secondo Ockham, tuttavia, é possibile dimostrare l'esistenza di un essere primo, ma il punto di partenza non é dato dalla serie delle cause efficienti. In questo ambito, infatti, non si può dimostrare che é impossibile andare all'infinito, come per esempio da un uomo generato a uno che lo genera e così via. Ciò non comporta che esistano in atto infiniti esseri, perchè una causa efficiente può anche corrompersi e scomparire dopo aver prodotto il suo effetto. E' invece assurdo andare all'infinito nella serie delle cause conservanti, ossia di quelle in virtù delle quali una cosa conserva il suo essere. Noi infatti vediamo nascere continuamente nuove entità, le quali non sono in grado di conservare da sè l'essere che hanno ricevuto da altro. Perchè ciò avvenga occorre che la causa coesista con il suo effetto , altrimenti tale effetto scomparirebbe; ma se si andasse all'infinito nell'ordine delle cause conservanti, la serie di tali cause e dei loro effetti, proprio in quanto coesistenti, sarebbe infinita in atto, ma la nozione di infinito in atto, come aveva mostrato Aristotele, dà luogo ad assurdità. Occorre allora ammettere l'esistenza di una causa prima nell'ordine delle cause conservanti. Tuttavia, se l'esistenza di una causa prima può essere dimostrata, non possono essere dimostrati gli attributi di essa, per esempio l'unicità, l'onnipotenza, la provvidenza. Di questi si possono dare solo argomentazioni persuasive. La rivelazione ci insegna che Dio é libero rispetto alla creazione. Non c'é nulla che vincoli Dio a creare questo mondo, nel quale vige la legge che tutto ciò che é mosso é mosso da altro. La bontà di questa legge dipende soltanto dal fatto che Dio l'ha voluta a preferenza di tutte le altre possibili. Di fatto Dio ha scelto questo mondo, ma sul piano teorico rimane la potenza assoluta di Dio di fare cose diverse da quelle che di fatto avvengono. E' questo che rende il mondo contingente. La distinzione in Dio tra una potenza assoluta e una potenza ordinata (ossia rispondente a una legge o a un criterio) non é reale: é la ragione umana a tracciarla per mostrare che il mondo esistente é soltanto uno degli ordini possibili che Dio avrebbe potuto creare. Ma ciò non significa che Dio intervenga arbitrariamente nell'ordine da lui creato. Il riconoscimento dell'onnipotenza divina conduce a importanti conseguenze nell'ambito della fisica e della cosmologia. Esso permette, infatti, di costruire ipotesi teoriche alternative alle immagini dell'universo, allora diffuse. In primo luogo diventa ammissibile, contro la tesi aristotelica dell'unicità del mondo, la possibilità che esista una pluralità di mondi. Un ipotetico altro mondo avrebbe infatti un altro centro rispetto al nostro mondo, contrariamente a quanto pensava Aristotele, non necessariamente un centro unico. Inoltre Dio, nella sua onnipotenza , potrebbe produrre altra materia, la quale per Ockham si identifica con l'estensione . L'ipotesi della possibilità di altri mondi conferma la contingenza del mondo che Dio ha di fatto creato. Alla base della conoscenza di questo mondo vi é l'esperienza , le cui conclusioni hanno validità soltanto all'interno di esso. Proprio in tale ambito trova ampia applicazione il principio di economia noto come il "rasoio" di Ockham. Così per spiegare il comportamento dei corpi celesti e dei corpi sublunari non é necessario ammettere che essi siano costituiti di materie diverse. Non si può dimostrare che i corpi celesti siano sostanze incorruttibili e, quindi, composte di etere, come aveva sostenuto Aristotele: infatti nella sua onnipotenza Dio potrebbe distruggerli. In tal modo Ockham poneva la premessa per unificare la fisica dei corpi celesti e quella dei corpi terrestri. Ma soprattutto Ockham colpisce al cuore i due cardini della scienza aristotelica: le nozioni di sostanza e causa. L'esperienza ci fa conoscere soltanto le cose individuali e le loro qualità. E' inutile e superfluo introdurre o presupporre l'esistenza, al di sotto di tali qualità, di un presunto sostrato, chiamato sostanza. La nozione di mutamento significa soltanto che una cosa individuale possiede qualcosa che prima non aveva; nè movimento nè tempo hanno una realtà distinta dalle cose che si muovono. Se l'esperienza ci fa conoscere solo le cose individuali, anche quelli che chiamiamo causa ed effetto sono due cose diverse, conosciute con due atti diversi di conoscenza, cosicchè dalla conoscenza di una non si può risalire infallibilmente a quella dell'altra. La relazione di causa e effetto é fondata sulla constatazione empirica di una successione costante tra cose o eventi, ma non é possibile dimostrare che tale relazione abbia un carattere di necessità. Perchè ci sia una causa immediata di un effetto, é sufficiente che, quando é presente una causa, ci sia anche l'effetto e, quando essa non é presente, a parità di tutte le altre condizioni, l'effetto non ci sia. Ma non é detto che sia sempre vero l'inverso: infatti, effetti dello stesso tipo possono derivare da cause diverse. L'esperienza non attesta che il comportamento uniforme e regolare degli enti naturali privi di intelligenza e volontà dipenda da una loro tendenza a realizzare fini, nè esistono proposizioni evidenti a partire dalle quali sia possibile dimostrare l'esistenza di un finalismo nella natura. Così anche quest'altro caposaldo della fisica aristotelica risulta espunto da Ockham. Anche ammettendo l'esistenza di un fine come oggetto di desiderio, ciò non significa che tale fine agisca effettivamente. In conclusione, non é possibile dimostrare con assoluta necessità che tutte le cose hanno una causa efficiente o una causa finale. Anche nella concezione dell'anima sono avvertibili gli effetti del principio metodico di economia. Ockham ritiene che intelletto e volontà non siano entità realmente distinte dall'anima. Realmente distinti sono gli atti di intellezione o di volizione, ma ciò non implica una distinzione reale tra le facoltà che li originano. Tali facoltà differiscono tra loro soltanto di nome: ciò che opera é sempre e soltanto l'anima, in quanto capace di intendere e di volere. Puramente verbale é anche la distinzione tra intelletto agente e intelletto possibile. Dal momento che non esistono specie intelligibili intermedie tra le cose individuali e il soggetto che le conosce, per spiegare la formazione dei concetti non é più necessario ammettere l'esistenza di un intelletto agente capace di portare all'atto l'universale presente potenzialmente nelle cose. Nelle cose, infatti, come si é visto, non esistono universali, neppure in potenza. L'anima in quanto volontà non é determinata dall'intelletto, essa é libera non solo di scegliere tra due contrari, ma anche di autodeterminarsi, ossia di volere o no una cosa. L'esistenza della libertà non é dimostrabile, ma l'esperienza attesta ad ognuno che la volontà può rifiutare ciò che la ragione gli comanda. La libertà non é altro che la stessa volontà umana in quanto capace di produrre effetti contrari. L'esperienza ci mostra che esistono uomini che non tendono a un bene infinito e alla felicità, ritenendoli irraggiungibili: ciò significa che non si può dimostrare nè che la tendenza a un bene infinito é costitutiva della natura umana, nè il contrario. E' possibile tuttavia che Dio, se vuole, si ponga come fine delle creature. Proprio questo ci fa conoscere la rivelazione: sulla sua base si costituisce la morale teologica. Un atto morale é tale, in primo luogo, se é orientato verso il fine, cioè verso Dio, e si configura come amore di Dio. E' Dio a stabilire ciò che é bene e ciò che é male: nessuno dei 10 comandamenti é valido di per sè, se si prescinde dal comando di Dio stesso. La regola fondamentale consisterà allora nell'agire in conformità al volere di Dio. Per essere moralmente buono, tale agire deve essere libero e non il risultato di una costrizione, neppure da parte di Dio. Con la retta ragione l'uomo decide la conformità dei singoli atti al comando di Dio e in relazione alle circostanze, mentre il destino ultraterreno degli uomini dipende soltanto da Dio: é Dio a concedere liberamente la sua grazia a chi vuole salvare e nulla esclude che egli possa concederla anche a chi vive soltanto secondo la sua retta ragione. Ma se é così, perde ogni centralità la funzione mediatrice della Chiesa nell'economia della salvezza.

Ricapitolando: Ockham é francescano e il francescanesimo é un ordine più mistico che non intellettuale: scarso é l'interesse per la speculazione teologica, forte é invece l'amore per Dio e la mistica. Chiaramente questa concezione ha portato i francescani ad una diversa idea dell'onnipotenza: i domenicani, nella loro visione intellettuale, identificavano di fatto il mondo delle idee con la seconda persona della Trinità, la Sapienza: l'esistenza del mondo per loro dipende dall'essenza divina, l'essenza del mondo dipende invece dalla sapienza divina. Per loro l'onnipotenza era limitata: Dio non può scegliere qualsiasi cosa: io so che 2 + 2 = 4 , per Dio 2 + 2 = 4 perchè lo pensa lui: ma non é che decida che sia così, é limitato dal suo pensiero stesso. Per i francescani, invece, Dio ha onnipotenza totale: tutto dipende da Dio, sia l'essenza sia l'esistenza del mondo; tra quelli che la pensano così vi é appunto Ockham: per loro ciò che é santo lo é perchè piace a Dio; Ockham diceva, riprendendo il primo comandamento che dice di amare Dio, "se Dio avesse decretato che fosse meritevole odiare Dio, allora sarebbe giusto odiarlo" : questa é la cosiddetta prospettiva voluntarista : Dio ha stabilito ogni cosa: se avesse stabilito che 2 + 2 = 5, allora sarebbe così. Dio può scegliere ciò che vuole, é talmente onnipotente da poter cambiare l'essenza delle cose. Questo discorso si riconnette anche con il radicale nominalismo di Ockham: la volontà di Dio é addirittura più potente dell'intelletto: in Ockham si trovano 3 posizioni che in qualche modo si riconnettono tra loro: a) nominalismo , ossia il negare l'esistenza degli universali; b) separatismo, ossia l'inconciliabilità tra fede e ragione; c) voluntarismo, ossia la prospettiva secondo la quale Dio può tutto e ha stabilito tutto secondo il suo volere. Per quel che riguarda gli universali Ockham nega totalmente la loro esistenza: non esistono nè in re, nè post rem, nè ante rem: per lui gli universali sono una inutile moltiplicazione della realtà: questo é un problema già affrontato da Platone nel Parmenide ed era una delle accuse mossegli da Aristotele: tuttavia anche le idee in re di Aristotele sono per Ockham una inutile moltiplicazione della realtà: per Ockham bisogna evitare tutto ciò che é inutile e questa idea é sintetizzata nel cosiddetto e già citato "rasoio di Ockham", così chiamato perchè con esso si cerca di tagliare via il superfluo: quando si può spiegare una cosa con poco, perchè dilungarsi? Nel Medioevo, poi, ogni minima cosa la si attribuiva ai diavoli o agli angeli, a seconda che fosse positiva o negativa. Chiaramente il "rasoio" Ockham lo applica pure agli universali: se posso spiegare qualcosa con pochi elementi, perchè introdurne di superflui? Ma come si può fare a meno degli universali per spiegare la realtà? Pare assai difficile, ma Ockham ci prova, grazie all' introduzione di due concetti: 1) intentio e 2) suppositio. La intentio é la caratteristica propria dei segni di possedere un significato: gli universali non ci sono, ci sono solo realtà individuali: la parola "uomo" é una realtà individuale, che, scritta, altro non é che un insieme di macchie di inchiostro e si riferisce alla parola detta: se la si legge suona nell'aria "uomo": é una realtà individuale che vibra nell'aria e si riferisce ad un concetto, quello di uomo che io ho nella testa: non é un universale, però si riferisce agli uomini: il concetto uomo, di per sè individuale, si può riferire a più persone: non esistono universali, ma funzioni universali con la caratteristica di potersi riferire e tendere ad altre: la parola scritta "uomo" non si riferisce all'idea di uomo (che non esiste), ma alla parola vibrante nell'aria: dopodichè la parola vibrante nell'aria si riferisce a tanti uomini contemporaneamente: ma tuttavia non é un universale. Ma come possono esistere le funzioni universali se gli universali non esistono? Infatti si passa da una macchia di inchiostro ad una parola e poi a più cose: come fanno a richiamarsi tra loro? C'é la suppositio (dal latino subpono = metto al posto di): i segni sono ciò che può stare al posto di qualcosa d’altro; dire "Socrate é uomo" per Platone e Aristotele significava che Socrate partecipava dell'idea di uomo per l' uno , e che la forma uomo era in lui per l' altro : una cosa individuale partecipava di una cosa universale. Per Ockham vuol dire che la parola "Socrate" sta al posto di quella particolare cosa che é Socrate in carne e ossa : parlando o scrivendo sostituiamo le realtà di cui parliamo con parole o macchie di inchiostro. Anche per la parola "uomo" é lo stesso: la si usa per sostituire gli uomini in carne e ossa, ossia Socrate più altri: ciò significa semplicemente che esiste una cosa per la quale possono ugualmente stare sia la parola "Socrate" sia la parola "uomo"; alcune cose stanno al posto di altre quando sono un segno o naturale o artificiale di quelle cose; si parla di segni artificiali quando, ad esempio, vediamo un cavallo ed esso ci lascia un "segno" nella nostra testa e questo segno non sarà solo più segno di quel determinato cavallo (segno naturale) , ma anche di tutte le cose simili (gli altri cavalli). E' una questione sia logica (in quanto si occupa del significato) sia ontologica (gli universali non esistono) che porta a delle conseguenze: dire che esistono solo i casi particolari significa di fatto far venir meno la distinzione essenza-esistenza; l'idea generale del Medioevo era che nella mente di Dio vi fosse ab aeterno l'apparato ideale e che Dio ad un certo momento decidesse di creare il mondo con queste idee insite nella sua mente: era sì Dio a decidere se creare o meno il mondo, ma tuttavia non poteva decidere se pensarlo o meno: l'apparato ideale nella sua mente lo vincolava (Dio può tutto, ma non può non essere Dio); per Ockham, invece gli universali (o idee che dir si voglia) non esistono e quindi Dio non ha l'apparato ideale nella sua mente che lo vincola: creando il mondo, crea essenza ed esistenza: non é che crei Adamo seguendo l'idea di uomo (che per Ockham non esiste): Dio crea dal nulla Adamo e gli dà simultaneamente esistenza ed essenza. Il nominalismo si lega radicalmente al volontarismo: implica una onnipotenza totale, dove Dio non é vincolato neanche più dall'apparato ideale della sua mente e può davvero tutto: tutto dipende esclusivamente dalla sua volontà. E' vero che in natura ci sono delle forme di regolarità (le leggi fisiche); queste leggi potrebbero essere pensate come essenze della realtà e si potrebbe dire che non é Dio a decidere che vadano così : per esempio , ogni corpo tende a cadere verso il basso , e quindi anche una penna cadrà verso il basso. Ockham era pienamente cosciente di ciò ma tuttavia arrivava a dire: "é vero che ogni corpo cade verso il basso , ma se Dio volesse non sarebbe così" : Dio può cambiare le regole a suo piacimento perchè non ha vincoli; quella che noi chiamiamo "regolarità naturale" non é però tale perchè presente nella mente di Dio come idea , ossia come essenza di Dio. Ockham arriverà a distinguere il modo di operare divino in potentia absoluta e potentia ordinata: Ockham é consapevole che esistano forme di regolarità in natura, ma é convinto che il fatto che esistano non comporti che esse debbano per forza esistere: se Dio volesse cambiare le regole del gioco potrebbe farlo a suo piacimento: potrebbe benissimo non far cadere in basso gli oggetti, ma farli cadere obliquamente. In altre parole, se una penna cade a terra é così perchè Dio ha deciso che sia così, che ci sia un ordine: tuttavia non é vincolato da quest'ordine. Quindi é vero che per potenza ordinata ci sono delle leggi fisiche, ma tuttavia per potenza assoluta Dio può stravolgerle (pensiamo ai miracoli). Una concezione simile a quella teologica di Ockham sarà quella politica del 1600, il secolo dell'assolutismo: ci sarà chi dirà che esistono leggi, ma che esistono solo perchè il sovrano l'ha decretato. Nel Medioevo invece, per quel che concerne la politica, il sovrano era vincolato, per esempio, dalla consuetudine. Tutto questo ha una conseguenza ancora più importante che porterà Ockham a concepire la filosofia e la religione come inconciliabili: ciò che é necessario é prevedibile, ciò che é volontario (ossia arbitrario) non é prevedibile: per esempio, l'atteggiamento di un cane affamato davanti al cibo é prevedibile, quello di un uomo no, perchè é dotato di libero arbitrio: può decidere se mangiare o trattenersi, e quindi il suo atteggiamento non sarà prevedibile. Se ammettiamo le essenze (le idee) divine che da Dio non dipendono e che sono necessarie é un conto, ma se dico che esse non ci sono allora sarà impossibile effettuare ragionamenti che seguano le strutture della realtà : prendiamo il caso della dimostrazione geometrica dove i vari passaggi hanno legami tra loro: da una verità A passo ad un'altra verità B, poi a una C e così via: si tratta di collegamenti necessari che non dipendono da Dio. Se però, ad esempio, qualcuno (per esempio Dio o il triangolo stesso) potesse decidere che la somma degli angoli interni di un triangolo vale 37, gradi ossia se dipendesse dalla volontà di qualcuno, allora non avrebbe più senso e sarebbe impossibile effettuare i passaggi dimostrativi. Lo stesso vale per quel che riguarda Dio secondo Ockham: siccome le essenze (le idee) non ci sono, allora non si può ragionare sulle strutture della realtà divina: quindi le complesse catene di ragionamenti di Tommaso sono agli occhi di Ockham assurde e inutili. L'esistenza di Dio é indimostrabile. Finchè ragiono sulle regolarità in natura che dipendono dalla potenza ordinata allora io posso ragionare e risalire le varie "catene" di ragionamenti: verità A poi B e poi C; ma quando entro nel campo delle realtà soprannaturali allora entro nel campo di Dio e non posso ipotizzare di argomentare ragionando perchè non esistono concatenazioni (da una verità A a una B e così via); sostenendo il volontarismo di Dio é come se spezzassi l'ipotetica "scala" delle dimostrazioni che mi permettono di dimostrare con la ragione perchè il rapporto tra Dio e la natura non é più necessario (tra Dio e le idee) , ma é un rapporto volontario (tra Dio e Dio). Se ammetto le idee nella mente di Dio , come Tommaso , posso dimostrare razionalmente l' esistenza di Dio e posso risalire la " scala " delle verità , ma se nego gli universali , come Ockham , allora ciò non é più possibile perchè Dio agisce solo secondo la sua volontà. Nella matematica, ad esempio, i pioli della scala argomentativa sono fortissimi perchè tutto é regolato, ma più c'é arbitrio e meno si possono usare i pioli. Secondo Ockham più ci si avvicina a Dio e più ci si allontana dalla realtà: ammettendo il nominalismo elimino l'essenza e la scala non può più funzionare in ambito divino: così allora Ockham arriva a spezzare la scolastica, che altro non era che tentare di dimostrare le realtà divine con la ragione e con la filosofia. La filosofia diventa indipendente dalla religione: la fede allora si rafforza perchè é la sola che può portare a Dio (se infatti l'esistenza di Dio fosse dimostrabile razionalmente nessuno avrebbe più fede). La fede arriva a darmi la "certezza di cose non viste", come diceva san Paolo. Ma senz'altro uno degli aspetti più importanti della filosofia di questo pensatore é l'aver, seppur timidamente, aperto la strada verso la infinitezza dell'universo. Da Aristotele in poi era prevalsa l'idea del mondo visto come finito: partendo dalla presunta constatazione dell'esistenza di luoghi naturali, Aristotele proclamava l'esistenza di alto e basso: una penna cade a terra (il suo luogo naturale), una bottiglia piena d'aria sale in aria (il suo luogo naturale): devono quindi esistere alto e basso nell'universo e quindi quest'ultimo deve essere finito (altrimenti alto e basso non ci sarebbero). Ockham continua a condividere l'idea della finitezza dell'universo (egli é un aristotelico), però con la totale onnipotenza attribuita a Dio mette in crisi questa concezione: egli arriva infatti a dire: "il mondo é finito, ma sarebbe infinito se Dio che può tutto l'avesse voluto infinito". E' un'affermazione di fondamentale importanza per il futuro della storia del pensiero: la finitezza dell'universo non é più una realtà inconfutabile e non a caso nel Rinascimento Cusano partirà dalle affermazioni di Ockham per aprire ulteriormente la strada (seppur in modo timido e poco convinto) verso l'infinitezza dell’universo , che sarà poi finalmente proclamata apertamente da Giordano Bruno: il mondo per lui sarà infinito perchè effetto di una causa infinita (Dio) .

 

IL FILOSOFO E LA POLITICA

Il testo Il filosofo e la politica. Otto questioni circa il potere del papa rappresenta un ottimo accesso al dibattito che ha visto contrapposti il Papato e l’Impero nel corso del Medioevo e in particolare nel XIV secolo. Le prime due questioni sono le più serrate, ma anche le più originali dal punto di vista filosofico perché in esse vengono discussi esaurientemente sia i princìpi della concezione ierocratica che le argomentazioni dei fautori della completa indipendenza ed autonomia del potere secolare. Il pregio delle restanti questioni, invece, consiste nel concentrare la riflessione su tematiche ben precise, ma sempre collegate alle concezioni politiche di fondo delle due massime istituzioni medievali. È significativo che, soprattutto nelle prime due questioni, Ockham riporti tre opinioni: due corrispondenti alle parti in contrapposizione e una terza, condivisa dallo stesso Ockham, secondo la quale le competenze del Papato e quelle dell’Impero dovrebbero essere individuate alla luce del messaggio evangelico e della ragione umana.
In merito alla prima questione, Se una stessa persona può detenere il supremo potere spirituale e il supremo potere temporale, quanti appoggiano la terza opinione affermano che sul piano teorico il sommo potere spirituale e il sommo potere temporale potrebbero coesistere nella stessa persona, ma che nella realtà ciò non debba avvenire. Il sommo potere laicale, infatti, è compatibile sia con l’ordine sacerdotale sia con qualunque funzione amministrativa esercitata da chi detiene il sommo potere spirituale. Se così non fosse, l’individuo divenuto sacerdote, vescovo o papa perderebbe ogni potere temporale su ogni cosa o persona. Inoltre, il sacerdote, in qualità di giudice ecclesiastico, può essere chiamato a giudicare anche i colpevoli di reati secolari. Tuttavia, è preferibile che i due poteri coesistano solo occasionalmente nella stessa persona perché colui che esercita il potere spirituale non dovrebbe occuparsi degli affari secolari, la cui competenza spetta piuttosto a chi detiene il supremo potere temporale. Nella seconda questione, Il supremo potere laicale deriva da Dio, si discute se Dio doni direttamente al rappresentante del sommo potere secolare quanto gli appartiene in modo esclusivo, o si serva invece di mediatori. Ora, dalla Sacra Scrittura si evince che Dio ha affidato a tutti gli uomini il dominio sui beni temporali. Spetta, pertanto, alla volontà dei singoli — e non al papa — accordarsi e scegliere un uomo, a cui assegnare il supremo potere secolare. Ma una volta ricevuto il sommo potere temporale, l’imperatore dipende di fatto solo da Dio. Se cosÏ non fosse, ci sarebbe un uomo o una comunità superiore all’imperatore, il che appunto è impossibile. Le motivazioni portate a sostegno di questa opinione minano le fondamenta della dottrina della plenitudo potestatis papae con la quale il Papato rivendicava la supremazia sul potere secolare e, non a caso, la risposta agli argomenti contrari ribatte ogni assunto della concezione ierocratica. Dai capitoli ad essa dedicati, si possono rilevare i seguenti punti fondamentali: 1) il potere secolare era legittimo anche prima dell’avvento del Cristo; 2) l’esame, l’unzione, la consacrazione e l’incoronazione sono cerimonie per sottolineare l’investitura, ma non dimostrano che l’impero derivi dal papa né che egli debba essere confermato dal pontefice; 3) l’imperatore non è vassallo del papa; semmai il papa, in quanto possessore di beni materiali, è vassallo dell’imperatore e deve prestargli giuramento; 4) il papa non può deporre l’imperatore perché tale potere spetta solo al popolo, che lo ha eletto; 5) il papa non può essere giudice supremo delle cause secolari e non può impugnare entrambe le spade.
Come si può dedurre anche dai titoli, la quarta, la quinta, la sesta e la settima questione riprendono i punti elencati; la discussione, tuttavia, non è più incentrata sui princìpi teorici, ma sugli avvenimenti storici. Infatti, nelle quaestiones menzionate il confronto con i difensori della plenitudo potestatis pontificia e con quanti considerano il popolo mediatore tra Dio e l’imperatore riguarda più in particolare la successione degli eventi che dall’impero romano conducono all’incoronazione di Carlo Magno.
Sulla base della precedente definizione di proprietà, inoltre, nell’ottava questione (Elezione e legittima successione. Il ruolo dei Prìncipi Elettori) Ockham dichiara eretico Giovanni XXII per aver affermato nelle sue bolle (nella questione vengono citati passi della Cum inter nonnullos, della Quia quorundam e della Quia vir) che Cristo ebbe delle proprietà terrene e che Pietro e gli altri apostoli del Cristo possedettero beni materiali.
Tanto nella terza quanto nell’ottava questione, infine, Ockham si propone di delineare come dovrebbero configurarsi, rispettivamente, il sommo potere temporale e il sommo potere spirituale all’interno della società. Dal quarto al dodicesimo capitolo della terza questione (La giurisdizione dei prìncipi e il potere spirituale) il filosofo inglese descrive le caratteristiche del principato regio, ritenuto la forma migliore di governo per la comunità dei fedeli. Collocandosi nell’ambito delle discussioni tradizionali sul buon governo, Ockham ricorda che può detenere il principato quell’uomo che si rivolge alla ricerca di ciò che è utile per la comunità e non per sé. In linea con lo spirito francescano, invece, il maestro inglese individua lo scopo della sovranità regia nel garantire ai sudditi dei rapporti umani equi, fondati sull’amicizia, sulla carità e sulla pace evangelica. Le leggi emanate dall’imperatore sono reputate l’unico strumento valido per perseguire un intento così elevato, a patto che esse custodiscano e difendano i diritti naturali degli uomini (che sono inalienabili perché ricevuti per volontà divina al momento della creazione), e puniscano quanti li violano. Rientra nel diritto naturale di ogni uomo e di ogni popolo poter eleggere (l’elezione è preferita da Ockham alla successione ereditaria) la propria guida politica ed è altrettanto legittimo delegare la scelta all’esercito o ai prìncipi elettori. Dopo aver delineato i princìpi cardine del supremo potere secolare, il Venerabilis Inceptor passa a tratteggiare i capisaldi del supremo potere spirituale, che a maggior ragione dovranno ricalcare lo stile di vita del Cristo. In polemica con lo sfarzo della corte di Avignone, nell’ottava questione Ockham, richiamandosi anche al De consideratione ad Eugenium papam di Bernardo di Chiaravalle, si sofferma sulla povertà evangelica e sullo spirito di servizio con cui andrebbero vissute le cariche istituzionali.
Come si vede, il testo propone molteplici spunti di riflessione e di approfondimento intorno alle diverse tematiche del pensiero politico medievale, e risulta utile anche ai non specialisti, grazie soprattutto agli elementi forniti dal curatore per agevolare e guidare la lettura. Il saggio introduttivo, infatti, offre una buona contestualizzazione storico-filosofica delle otto questioni, mentre i titoli redazionali assegnati alle suddivisioni del testo facilitano la consultazione del volume.


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