"Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora."
Guglielmo di Ockham (o Occam) nacque a Ockham nel Surrey, a poche miglia da Londra, in una data imprecisata fra il 1280 e il 1290. Entrò nell'ordine francescano e studiò e insegnò ad Oxford sino al 1324. In questo periodo scrisse un commento alle Sentenze di Pietro Lombardo
Ricapitolando: Ockham é francescano e il francescanesimo é un ordine più mistico che non intellettuale: scarso é l'interesse per la speculazione teologica, forte é invece l'amore per Dio e la mistica. Chiaramente questa concezione ha portato i francescani ad una diversa idea dell'onnipotenza: i domenicani, nella loro visione intellettuale, identificavano di fatto il mondo delle idee con la seconda persona della Trinità, la Sapienza: l'esistenza del mondo per loro dipende dall'essenza divina, l'essenza del mondo dipende invece dalla sapienza divina. Per loro l'onnipotenza era limitata: Dio non può scegliere qualsiasi cosa: io so che 2 + 2 = 4 , per Dio 2 + 2 = 4 perchè lo pensa lui: ma non é che decida che sia così, é limitato dal suo pensiero stesso. Per i francescani, invece, Dio ha onnipotenza totale: tutto dipende da Dio, sia l'essenza sia l'esistenza del mondo; tra quelli che la pensano così vi é appunto Ockham: per loro ciò che é santo lo é perchè piace a Dio; Ockham diceva, riprendendo il primo comandamento che dice di amare Dio, "se Dio avesse decretato che fosse meritevole odiare Dio, allora sarebbe giusto odiarlo" : questa é la cosiddetta
prospettiva voluntarista : Dio ha stabilito ogni cosa: se avesse stabilito che 2 + 2 = 5, allora sarebbe così. Dio può scegliere ciò che vuole, é talmente onnipotente da poter cambiare l'essenza delle cose. Questo discorso si riconnette anche con il radicale nominalismo di Ockham: la volontà di Dio é addirittura più potente dell'intelletto: in Ockham si trovano 3 posizioni che in qualche modo si riconnettono tra loro: a) nominalismo , ossia il negare l'esistenza degli universali; b) separatismo, ossia l'inconciliabilità tra fede e ragione; c) voluntarismo, ossia la prospettiva secondo la quale Dio può tutto e ha stabilito tutto secondo il suo volere. Per quel che riguarda gli universali Ockham nega totalmente la loro esistenza: non esistono nè in re, nè post rem, nè ante rem: per lui gli universali sono una inutile moltiplicazione della realtà: questo é un problema già affrontato da Platone nel Parmenide ed era una delle accuse mossegli da Aristotele: tuttavia anche le idee in re di Aristotele sono per Ockham una inutile moltiplicazione della realtà: per Ockham bisogna evitare tutto ciò che é inutile e questa idea é sintetizzata nel cosiddetto e già citato "rasoio di Ockham", così chiamato perchè con esso si cerca di tagliare via il superfluo: quando si può spiegare una cosa con poco, perchè dilungarsi? Nel Medioevo, poi, ogni minima cosa la si attribuiva ai diavoli o agli angeli, a seconda che fosse positiva o negativa. Chiaramente il "rasoio" Ockham lo applica pure agli universali: se posso spiegare qualcosa con pochi elementi, perchè introdurne di superflui? Ma come si può fare a meno degli universali per spiegare la realtà? Pare assai difficile, ma Ockham ci prova, grazie all' introduzione di due concetti: 1) intentio e 2) suppositio. La intentio é la caratteristica propria dei segni di possedere un significato: gli universali non ci sono, ci sono solo realtà individuali: la parola "uomo" é una realtà individuale, che, scritta, altro non é che un insieme di macchie di inchiostro e si riferisce alla parola detta: se la si legge suona nell'aria "uomo": é una realtà individuale che vibra nell'aria e si riferisce ad un concetto, quello di uomo che io ho nella testa: non é un universale, però si riferisce agli uomini: il concetto uomo, di per sè individuale, si può riferire a più persone: non esistono universali, ma funzioni universali con la caratteristica di potersi riferire e tendere ad altre: la parola scritta "uomo" non si riferisce all'idea di uomo (che non esiste), ma alla parola vibrante nell'aria: dopodichè la parola vibrante nell'aria si riferisce a tanti uomini contemporaneamente: ma tuttavia non é un universale. Ma come possono esistere le funzioni universali se gli universali non esistono? Infatti si passa da una macchia di inchiostro ad una parola e poi a più cose: come fanno a richiamarsi tra loro? C'é la suppositio (dal latino subpono = metto al posto di): i segni sono ciò che può stare al posto di qualcosa d’altro; dire "Socrate é uomo" per Platone e Aristotele significava che Socrate partecipava dell'idea di uomo per l' uno , e che la forma uomo era in lui per l' altro : una cosa individuale partecipava di una cosa universale. Per Ockham vuol dire che la parola "Socrate" sta al posto di quella particolare cosa che é Socrate in carne e ossa : parlando o scrivendo sostituiamo le realtà di cui parliamo con parole o macchie di inchiostro. Anche per la parola "uomo" é lo stesso: la si usa per sostituire gli uomini in carne e ossa, ossia Socrate più altri: ciò significa semplicemente che esiste una cosa per la quale possono ugualmente stare sia la parola "Socrate" sia la parola "uomo"; alcune cose stanno al posto di altre quando sono un segno o naturale o artificiale di quelle cose; si parla di segni artificiali quando, ad esempio, vediamo un cavallo ed esso ci lascia un "segno" nella nostra testa e questo segno non sarà solo più segno di quel determinato cavallo (segno naturale) , ma anche di tutte le cose simili (gli altri cavalli). E' una questione sia logica (in quanto si occupa del significato) sia ontologica (gli universali non esistono) che porta a delle conseguenze: dire che esistono solo i casi particolari significa di fatto far venir meno la distinzione essenza-esistenza; l'idea generale del Medioevo era che nella mente di Dio vi fosse ab aeterno l'apparato ideale e che Dio ad un certo momento decidesse di creare il mondo con queste idee insite nella sua mente: era sì Dio a decidere se creare o meno il mondo, ma tuttavia non poteva decidere se pensarlo o meno: l'apparato ideale nella sua mente lo vincolava (Dio può tutto, ma non può non essere Dio); per Ockham, invece gli universali (o idee che dir si voglia) non esistono e quindi Dio non ha l'apparato ideale nella sua mente che lo vincola: creando il mondo, crea essenza ed esistenza: non é che crei Adamo seguendo l'idea di uomo (che per Ockham non esiste): Dio crea dal nulla Adamo e gli dà simultaneamente esistenza ed essenza. Il nominalismo si lega radicalmente al volontarismo: implica una onnipotenza totale, dove Dio non é vincolato neanche più dall'apparato ideale della sua mente e può davvero tutto: tutto dipende esclusivamente dalla sua volontà. E' vero che in natura ci sono delle forme di regolarità (le leggi fisiche); queste leggi potrebbero essere pensate come essenze della realtà e si potrebbe dire che non é Dio a decidere che vadano così : per esempio , ogni corpo tende a cadere verso il basso , e quindi anche una penna cadrà verso il basso. Ockham era pienamente cosciente di ciò ma tuttavia arrivava a dire: "é vero che ogni corpo cade verso il basso , ma se Dio volesse non sarebbe così" : Dio può cambiare le regole a suo piacimento perchè non ha vincoli; quella che noi chiamiamo "regolarità naturale" non é però tale perchè presente nella mente di Dio come idea , ossia come essenza di Dio. Ockham arriverà a distinguere il modo di operare divino in potentia absoluta e potentia ordinata: Ockham é consapevole che esistano forme di regolarità in natura, ma é convinto che il fatto che esistano non comporti che esse debbano per forza esistere: se Dio volesse cambiare le regole del gioco potrebbe farlo a suo piacimento: potrebbe benissimo non far cadere in basso gli oggetti, ma farli cadere obliquamente. In altre parole, se una penna cade a terra é così perchè Dio ha deciso che sia così, che ci sia un ordine: tuttavia non é vincolato da quest'ordine. Quindi é vero che per potenza ordinata ci sono delle leggi fisiche, ma tuttavia per potenza assoluta Dio può stravolgerle (pensiamo ai miracoli). Una concezione simile a quella teologica di Ockham sarà quella politica del 1600, il secolo dell'assolutismo: ci sarà chi dirà che esistono leggi, ma che esistono solo perchè il sovrano l'ha decretato. Nel Medioevo invece, per quel che concerne la politica, il sovrano era vincolato, per esempio, dalla consuetudine. Tutto questo ha una conseguenza ancora più importante che porterà Ockham a concepire la filosofia e la religione come inconciliabili: ciò che é necessario é prevedibile, ciò che é volontario (ossia arbitrario) non é prevedibile: per esempio, l'atteggiamento di un cane affamato davanti al cibo é prevedibile, quello di un uomo no, perchè é dotato di libero arbitrio: può decidere se mangiare o trattenersi, e quindi il suo atteggiamento non sarà prevedibile. Se ammettiamo le essenze (le idee) divine che da Dio non dipendono e che sono necessarie é un conto, ma se dico che esse non ci sono allora sarà impossibile effettuare ragionamenti che seguano le strutture della realtà : prendiamo il caso della dimostrazione geometrica dove i vari passaggi hanno legami tra loro: da una verità A passo ad un'altra verità B, poi a una C e così via: si tratta di collegamenti necessari che non dipendono da Dio. Se però, ad esempio, qualcuno (per esempio Dio o il triangolo stesso) potesse decidere che la somma degli angoli interni di un triangolo vale 37, gradi ossia se dipendesse dalla volontà di qualcuno, allora non avrebbe più senso e sarebbe impossibile effettuare i passaggi dimostrativi. Lo stesso vale per quel che riguarda Dio secondo Ockham: siccome le essenze (le idee) non ci sono, allora non si può ragionare sulle strutture della realtà divina: quindi le complesse catene di ragionamenti di Tommaso sono agli occhi di Ockham assurde e inutili. L'esistenza di Dio é indimostrabile. Finchè ragiono sulle regolarità in natura che dipendono dalla potenza ordinata allora io posso ragionare e risalire le varie "catene" di ragionamenti: verità A poi B e poi C; ma quando entro nel campo delle realtà soprannaturali allora entro nel campo di Dio e non posso ipotizzare di argomentare ragionando perchè non esistono concatenazioni (da una verità A a una B e così via); sostenendo il volontarismo di Dio é come se spezzassi l'ipotetica "scala" delle dimostrazioni che mi permettono di dimostrare con la ragione perchè il rapporto tra Dio e la natura non é più necessario (tra Dio e le idee) , ma é un rapporto volontario (tra Dio e Dio). Se ammetto le idee nella mente di Dio , come Tommaso , posso dimostrare razionalmente l' esistenza di Dio e posso risalire la " scala " delle verità , ma se nego gli universali , come Ockham , allora ciò non é più possibile perchè Dio agisce solo secondo la sua volontà. Nella matematica, ad esempio, i pioli della scala argomentativa sono fortissimi perchè tutto é regolato, ma più c'é arbitrio e meno si possono usare i pioli. Secondo Ockham più ci si avvicina a Dio e più ci si allontana dalla realtà: ammettendo il nominalismo elimino l'essenza e la scala non può più funzionare in ambito divino: così allora Ockham arriva a spezzare la scolastica, che altro non era che tentare di dimostrare le realtà divine con la ragione e con la filosofia. La filosofia diventa indipendente dalla religione: la fede allora si rafforza perchè é la sola che può portare a Dio (se infatti l'esistenza di Dio fosse dimostrabile razionalmente nessuno avrebbe più fede). La fede arriva a darmi la "certezza di cose non viste", come diceva san Paolo. Ma senz'altro uno degli aspetti più importanti della filosofia di questo pensatore é l'aver, seppur timidamente, aperto la strada verso la infinitezza dell'universo. Da Aristotele in poi era prevalsa l'idea del mondo visto come finito: partendo dalla presunta constatazione dell'esistenza di luoghi naturali, Aristotele proclamava l'esistenza di alto e basso: una penna cade a terra (il suo luogo naturale), una bottiglia piena d'aria sale in aria (il suo luogo naturale): devono quindi esistere alto e basso nell'universo e quindi quest'ultimo deve essere finito (altrimenti alto e basso non ci sarebbero). Ockham continua a condividere l'idea della finitezza dell'universo (egli é un aristotelico), però con la totale onnipotenza attribuita a Dio mette in crisi questa concezione: egli arriva infatti a dire: "il mondo é finito, ma sarebbe infinito se Dio che può tutto l'avesse voluto infinito". E' un'affermazione di fondamentale importanza per il futuro della storia del pensiero: la finitezza dell'universo non é più una realtà inconfutabile e non a caso nel Rinascimento Cusano partirà dalle affermazioni di Ockham per aprire ulteriormente la strada (seppur in modo timido e poco convinto) verso l'infinitezza dell’universo , che sarà poi finalmente proclamata apertamente da Giordano Bruno: il mondo per lui sarà infinito perchè effetto di una causa infinita (Dio) .
IL FILOSOFO E LA POLITICA
Il testo Il filosofo e la politica. Otto questioni circa il potere del papa rappresenta un ottimo accesso al dibattito che ha visto contrapposti il Papato e l’Impero nel corso del Medioevo e in particolare nel XIV secolo. Le prime due questioni sono le più serrate, ma anche le più originali dal punto di vista filosofico perché in esse vengono discussi esaurientemente sia i princìpi della concezione ierocratica che le argomentazioni dei fautori della completa indipendenza ed autonomia del potere secolare. Il pregio delle restanti questioni, invece, consiste nel concentrare la riflessione su tematiche ben precise, ma sempre collegate alle concezioni politiche di fondo delle due massime istituzioni medievali. È significativo che, soprattutto nelle prime due questioni, Ockham riporti tre opinioni: due corrispondenti alle parti in contrapposizione e una terza, condivisa dallo stesso Ockham, secondo la quale le competenze del Papato e quelle dell’Impero dovrebbero essere individuate alla luce del messaggio evangelico e della ragione umana.
In merito alla prima questione, Se una stessa persona può detenere il supremo potere spirituale e il supremo potere temporale, quanti appoggiano la terza opinione affermano che sul piano teorico il sommo potere spirituale e il sommo potere temporale potrebbero coesistere nella stessa persona, ma che nella realtà ciò non debba avvenire. Il sommo potere laicale, infatti, è compatibile sia con l’ordine sacerdotale sia con qualunque funzione amministrativa esercitata da chi detiene il sommo potere spirituale. Se così non fosse, l’individuo divenuto sacerdote, vescovo o papa perderebbe ogni potere temporale su ogni cosa o persona. Inoltre, il sacerdote, in qualità di giudice ecclesiastico, può essere chiamato a giudicare anche i colpevoli di reati secolari. Tuttavia, è preferibile che i due poteri coesistano solo occasionalmente nella stessa persona perché colui che esercita il potere spirituale non dovrebbe occuparsi degli affari secolari, la cui competenza spetta piuttosto a chi detiene il supremo potere temporale. Nella seconda questione, Il supremo potere laicale deriva da Dio, si discute se Dio doni direttamente al rappresentante del sommo potere secolare quanto gli appartiene in modo esclusivo, o si serva invece di mediatori. Ora, dalla Sacra Scrittura si evince che Dio ha affidato a tutti gli uomini il dominio sui beni temporali. Spetta, pertanto, alla volontà dei singoli — e non al papa — accordarsi e scegliere un uomo, a cui assegnare il supremo potere secolare. Ma una volta ricevuto il sommo potere temporale, l’imperatore dipende di fatto solo da Dio. Se cosÏ non fosse, ci sarebbe un uomo o una comunità superiore all’imperatore, il che appunto è impossibile. Le motivazioni portate a sostegno di questa opinione minano le fondamenta della dottrina della plenitudo potestatis papae con la quale il Papato rivendicava la supremazia sul potere secolare e, non a caso, la risposta agli argomenti contrari ribatte ogni assunto della concezione ierocratica. Dai capitoli ad essa dedicati, si possono rilevare i seguenti punti fondamentali: 1) il potere secolare era legittimo anche prima dell’avvento del Cristo; 2) l’esame, l’unzione, la consacrazione e l’incoronazione sono cerimonie per sottolineare l’investitura, ma non dimostrano che l’impero derivi dal papa né che egli debba essere confermato dal pontefice; 3) l’imperatore non è vassallo del papa; semmai il papa, in quanto possessore di beni materiali, è vassallo dell’imperatore e deve prestargli giuramento; 4) il papa non può deporre l’imperatore perché tale potere spetta solo al popolo, che lo ha eletto; 5) il papa non può essere giudice supremo delle cause secolari e non può impugnare entrambe le spade.
Come si può dedurre anche dai titoli, la quarta, la quinta, la sesta e la settima questione riprendono i punti elencati; la discussione, tuttavia, non è più incentrata sui princìpi teorici, ma sugli avvenimenti storici. Infatti, nelle quaestiones menzionate il confronto con i difensori della plenitudo potestatis pontificia e con quanti considerano il popolo mediatore tra Dio e l’imperatore riguarda più in particolare la successione degli eventi che dall’impero romano conducono all’incoronazione di Carlo Magno.
Sulla base della precedente definizione di proprietà, inoltre, nell’ottava questione (Elezione e legittima successione. Il ruolo dei Prìncipi Elettori) Ockham dichiara eretico Giovanni XXII per aver affermato nelle sue bolle (nella questione vengono citati passi della Cum inter nonnullos, della Quia quorundam e della Quia vir) che Cristo ebbe delle proprietà terrene e che Pietro e gli altri apostoli del Cristo possedettero beni materiali.
Tanto nella terza quanto nell’ottava questione, infine, Ockham si propone di delineare come dovrebbero configurarsi, rispettivamente, il sommo potere temporale e il sommo potere spirituale all’interno della società. Dal quarto al dodicesimo capitolo della terza questione (La giurisdizione dei prìncipi e il potere spirituale) il filosofo inglese descrive le caratteristiche del principato regio, ritenuto la forma migliore di governo per la comunità dei fedeli. Collocandosi nell’ambito delle discussioni tradizionali sul buon governo, Ockham ricorda che può detenere il principato quell’uomo che si rivolge alla ricerca di ciò che è utile per la comunità e non per sé. In linea con lo spirito francescano, invece, il maestro inglese individua lo scopo della sovranità regia nel garantire ai sudditi dei rapporti umani equi, fondati sull’amicizia, sulla carità e sulla pace evangelica. Le leggi emanate dall’imperatore sono reputate l’unico strumento valido per perseguire un intento così elevato, a patto che esse custodiscano e difendano i diritti naturali degli uomini (che sono inalienabili perché ricevuti per volontà divina al momento della creazione), e puniscano quanti li violano. Rientra nel diritto naturale di ogni uomo e di ogni popolo poter eleggere (l’elezione è preferita da Ockham alla successione ereditaria) la propria guida politica ed è altrettanto legittimo delegare la scelta all’esercito o ai prìncipi elettori. Dopo aver delineato i princìpi cardine del supremo potere secolare, il Venerabilis Inceptor passa a tratteggiare i capisaldi del supremo potere spirituale, che a maggior ragione dovranno ricalcare lo stile di vita del Cristo. In polemica con lo sfarzo della corte di Avignone, nell’ottava questione Ockham, richiamandosi anche al De consideratione ad Eugenium papam di Bernardo di Chiaravalle, si sofferma sulla povertà evangelica e sullo spirito di servizio con cui andrebbero vissute le cariche istituzionali.
Come si vede, il testo propone molteplici spunti di riflessione e di approfondimento intorno alle diverse tematiche del pensiero politico medievale, e risulta utile anche ai non specialisti, grazie soprattutto agli elementi forniti dal curatore per agevolare e guidare la lettura. Il saggio introduttivo, infatti, offre una buona contestualizzazione storico-filosofica delle otto questioni, mentre i titoli redazionali assegnati alle suddivisioni del testo facilitano la consultazione del volume.