Già nella seconda metà dell'Ottocento si andò sviluppando negli ambienti culturali tedeschi un ritorno a Kant in funzione antipositivistica. A cavallo tra Ottocento e Novecento si andò formando un movimento d'ispirazione kantiana, definito Neocriticismo, rappresentato principalmente dalla Scuola di Marburgo, e dai grandi nomi di Cohen, Natorp, Cassirer. Contemporaneamente al Neocriticismo, e sempre ispirandosi alla filosofia di Kant, fiorì lo Storicismo tedesco, ad opera di Windelband e Rickert, massimi esponenti della Scuola di Baden. Riconducibile tanto alla Scuola di Baden, per l'attenzione alla problema ermeneutico della Storia, quanto alla Scuola di Marburgo, per l'interesse rivolto alla teoria dei valori di marca kantiana, è la filosofia di Dilthey, che, proprio per il progetto di creare una metodica delle "Scienze dello Spirito", rappresenta un passo avanti verso la nascita del pensiero ermeneutico novecentesco, oltre ad essere importante in sé, come modello di riferimento d'ogni matura metodologia delle scienze umane e sociali che non voglia rinunciare alla mediazione filosofica.
Il pensiero filosofico tra Ottocento e Novecento è caratterizzato (soprattutto in Germania, ma anche in Francia) da una serrata polemica antipositivistica, portata avanti soprattutto da due correnti filosofiche abbastanza diverse tra loro: lo spiritualismo di Lotze, Eucken, Spir, Hartmann, che adotta il metodo della riflessione interiore e non quello della costruzione dialettica, approdando verso forme di misticismo religioso, pessimismo cosmico, irrazionalismo inconscio; l'altra corrente è il neo-criticismo delle due scuole di Marburgo (Cohen, Natorp e soprattutto Cassirer) e del Baden, nelle due Università di Heidelberg e Friburgo (Windelband e Rickert).
In entrambe le correnti il tentativo era quello di recuperare quei valori spirituali trascurati dal positivismo e di ribadire l'esigenza di attribuire alla filosofia un compito diverso da quello di una semplice coordinazione unitaria del sapere scientifico ammessa dal positivismo. Ma delle due correnti quella che diede i risultati più fecondi fu la seconda.
Il neo-criticismo rappresenta la sistematica ripresa della filosofia kantiana, nel senso di una riflessione sui fondamenti, metodi e limiti della scienza (in seguito gli ambiti si amplieranno a storia, morale, arte, religione, linguaggio). Mentre per i positivisti l'oggettivo sono i fatti e l'apriori è sinonimo di soggettività/arbitrarietà, per i neo-criticisti
l'apriori è il fondamento dell'oggettività scientifica . La scienza, cioè, non sarebbe progredita tramite l'accumulazione pura e semplice dei fatti, ma piuttosto con l'unificazione di questi fatti in ipotesi, leggi, teorie (gli elementi apriori). Compito della filosofia è appunto quello di studiare criticamente gli elementi apriori (filosofia=logica/metodologia scientifica).
Il neo-criticismo non è solo contrario all'affermazione del carattere assoluto o metafisico della verità scientifica, ma è anche
contrario a ogni tipo di metafisica o di integrazione metafisico-religiosa del sapere scientifico , secondo l'indirizzo dell'idealismo e dello spiritualismo. Il neo-criticismo contesta sia la metafisica della materia (positivismo e naturalismo) sia quello dello spirito (idealismo e spiritualismo).
Per i neo-criticisti, Kant si è proposto anzitutto di criticare il sistema scientifico newtoniano (questo viene detto per superare l'interpretazione psicologistica allora dominante del pensiero kantiano). La filosofia critica vuole diventare la scienza delle determinazioni necessarie e universali di valore (della verità, del bene, del bello). La preoccupazione di questi neo-kantiani è quella di ridimensionare l'assoluta oggettività di ogni scienza o filosofia, valorizzando l'apporto dell'individuo concreto (storicamente determinato) alla conoscenza complessiva delle cose (della cui validità teoretica vanno poste le fondamenta gnoseologiche).
In due punti il neo-criticismo di Marburgo ha corretto l'impostazione kantiana: ha
eliminato il riferimento al noumeno (che lo sviluppo delle scienze esatte aveva reso obsoleto) e ha
eliminato la distinzione tra sensibilità (facoltà passiva) e intelletto (facoltà attiva) . L'oggetto dell'attività scientifica è frutto dell'attività produttiva del pensiero (ad esempio, nel calcolo infinitesimale si fa nascere un ente geometrico senza alcun riferimento a dati intuitivi, ma solo attraverso operazioni logiche). Tuttavia, l'oggetto di studio della filosofia (il pensiero) non è l'attività pensante soggettiva, ma il pensato (non è possibile cogliere l'attività della coscienza, tanto è vero che i marburghesi metteranno la psicologia tra le scienze "generalizzanti", al pari della fisica, chimica, biologia...). Il processo conoscitivo non è più l'analisi di un dato iniziale, ma l'analisi del passaggio da un oggetto indeterminato (per esempio un colore) a uno più determinato (per esempio l'onda luminosa di cui parla la fisica), attraverso un processo di sintesi che non giunge mai a compimento. Il processo/metodo è tutto, mentre l'oggetto/fatto è solo in fieri. In pratica,
il neo-criticismo accetta le esigenze del positivismo di eliminare un noumeno pensabile ma non conoscibile, rifiutandone nel contempo la pretesa di determinare l'essenza delle cose mediante la scienza: l'essenza sta nel rapporto che le collega.
Il neo-criticismo della Scuola di Marburgo cade però nel limite del funzionalismo o relativismo nei nessi relazionali che collegano le cose. Qualunque organizzazione sociale o qualunque enunciato teorico può essere giustificato se se ne trovano i nessi logico-coerenti. Il neo-criticismo si preoccupa soltanto di fissare i criteri di legittimità di una teoria, ma l'unico vero criterio che pone è il rifiuto di considerare possibile la conoscenza vera, esatta, sostanziale della realtà in sé (naturalmente a livello di approssimazioni sempre più vicine alla verità assoluta). Esso ammette unicamente la conoscenza della realtà che ci appare, cioè di quella che in ultima istanza siamo noi stessi a costruire. In tal modo, viene meno la possibilità di contraddire in modo assoluto una determinata teoria sulla base dei fatti. Le teorie per il neo-criticismo si contraddicono da sole quando assolutizzano i fatti, mentre restano coerenti quando mantengono i fatti nella loro relatività (rispetto ad altri fatti). La contraddizione non diventa mai per il neo-criticismo così oggettiva da determinare un ripensamento dei criteri generali di organizzazione della società o della conoscenza. Cassirer dice che "l'uomo non può sottrarsi alle condizioni di esistenza che lui stesso si è creato", cioè l'esistenza può solo essere accettata, non può essere trasformata. "I contrari non si escludono a vicenda ma dipendono l'uno dall'altro". L'uomo insomma, per il neo-criticismo, non può più tornare ad essere un ente di natura, che vive rapporti umani naturali, perché è costretto a pagare il prezzo della sua pretesa manipolativa del reale. L'uomo non può più comprendere la verità delle cose, perché ha di fronte a sé solo le proprie verità. "La" verità non esiste, esistono solo "le" molte verità che l'uomo si dà. Cassirer dice che l'uomo si è circondato di forme linguistiche, di immagini artistiche, di simboli mitici e di riti religiosi a tal punto da non poter vedere e conoscere più nulla se non per il tramite di questa artificiale mediazione. Il rapporto colla natura quindi si è irrimediabilmente perso in questa mediazione culturale artificiale creata dall'uomo. Cassirer esclude categoricamente che da una trasformazione della mediazione culturale si possa tornare a un rapporto più equilibrato dell'uomo con la natura.
Gli esponenti più significativi della Scuola del Baden sono Windelband e Rickert. Ciò che accomuna le due scuole è sia il rifiuto della concezione positivistica della conoscenza come "riproduzione della realtà", sia l'esigenza kantiana di considerare la validità della conoscenza indipendentemente dalle condizioni soggettive/psicologiche in cui la conoscenza si verifica. Tuttavia, diversamente dai marburghesi, l'attenzione di questi neo-kantiani non è volta all'indagine/formulazione di un "metodo" che spieghi l'origine del processo conoscitivo e la funzione logica del pensiero in ogni sua espressione, ma alla ricerca di una "norma/criterio" che determini la verità/falsità di un oggetto conoscitivo. Tale criterio è visto nel "valore" (donde "filosofia dei valori"), considerato indipendente dal soggetto che lo formula (Windelband p.es. è stato il primo a trattare la storia della filosofia per problemi, considerando i problemi stessi nel loro sviluppo come relativamente indipendenti dai filosofi che li pongono).
WINDELBAND si pone come obiettivo quello di creare una "filosofia critica" che sia scienza delle determinazioni "necessarie e universali" del valore della "verità", del "bene" e del "bello". La filosofia cioè non ha per oggetto dei "giudizi di fatto" -come le scienze naturali- ma dei "giudizi di valore", che hanno validità normativa. Come la legge naturale non è mai un principio di valutazione, così la norma non è mai un principio di spiegazione.
Windelband parte da Kant, sottolineando di questi la scoperta che i principi a priori garantiscono la validità della conoscenza, il che ha distrutto definitivamente la concezione greca che credeva esterna all'uomo la realtà che permette di determinare la verità delle cose. Le categorie kantiane -dice Windelband, chiamandole col termine "valori"- sono valori necessari e universali, aventi carattere normativo indipendente dalla loro effettiva realizzazione. A differenza però dai marburghesi, Windelband e Rickert cercano di applicare questa scoperta kantiana (Kant aveva parlato di valore solo nei confronti del "bene") non solo alla gnoseologia o al sapere fisico-matematico, ma anche all'estetica e all'etica, ovvero a tutto il mondo storico, senza contraddizione tra "scienze della natura" e "scienze dello spirito", che Windelband chiama, rispettivamente, "scienze generalizzanti" o "nomotetiche" (cioè legate alle leggi, e sono la biologia, la fisica, la chimica, la matematica, ecc.) e "scienze individualizzanti" o "idiografiche" (cioè legate alla singolarità, come la filosofia e la storia). Windelband e Rickert propongono una spiegazione della storia a partire dall'interpretazione del fatto singolo e individuale, che abbia naturalmente un valore universale.
Il valore quindi si configura come un a-priori, un "dover essere" (la rappresentazione "vera" come quella che deve essere pensata, l'azione "buona" come quella che deve essere compiuta, la cosa "bella" come quella che deve piacere), indipendente dall'oggetto, in relazione al soggetto, in grado di determinare la validità di qualsiasi tipo di giudizio e che la filosofia deve portare alla coscienza del soggetto.
In polemica con Dilthey, Windelband e Rickert affermano l'unità del sapere umano, ovvero il rifiuto di distinguere (se non a livello metodologico) le scienze della natura da quelle della cultura/spirito. La realtà indagabile è sempre la stessa, anche se cambia il punto di vista (scientifico o storico) dal quale viene considerata.
Rickert accentua però la differenza "oggettiva" dei due tipi di scienza, facendo del valore un'entità trascendente, come un essere per sé, trascendente l'attività umana.
Il neo-criticismo si è diffuso in tutti i paesi, ma le manifestazioni più significative le ha trovate in Francia e soprattutto in Germania. In Italia l'esponente più importante è stato Antonio Banfi (1886-1957), che ha elaborato il "razionalismo critico".
HERMANN COHEN (1842-1918), nel suo "Sistema di filosofia", sviluppò i presupposti metafisici del criticismo kantiano, soprattutto il concetto del noumeno, o "cosa in sé", che avanzava una frattura tra ciò che è in se stesso e ciò che si conosce. Inoltre, la dicotomia tra "estetica" e "analitica", che postulava una distanza non di minore momento tra ciò che si conosce mediante l'intuizione e ciò che si conosce attraverso l'intelletto, limitando successivamente l'oggetto d'intuizione a substrato materiale della conoscenza intellettiva. Nell'interpretazione di Cohen, il pensiero e l'essere sono due concetti coincidenti, tuttavia non nella maniera idealistica, che li unifica nell'Io, ma in quanto essi costituiscono l'oggettività pensabile.
Strettamente collegate a quella che Cohen ha definito "logica della conoscenza pura" sono altre due scienze filosofiche teorizzate dal filosofo neokantiano: un'
etica della volontà pura e un'
estetica del sentimento puro . Dal punto di vista etico, Cohen riprende il kantiano "dover essere" aggiungendo che senza "dover essere" c'è solo desiderio, negatore di ogni volontà autentica. Da Kant egli desume anche il principio etico di scorgere nell'umanità, in sé e negli altri, un fine e non un mezzo, concezione che per Cohen trova un corrispettivo filosofico-politico all'interno della "Weltanschauung" socialista. Nel Socialismo, asserisce il filosofo tedesco, l'uomo è un fine in sé, per cui è un dovere morale rispettarne la libertà personale e la dignità sociale. Tale principio egli vede a fondamento della concezione socialista: per il socialismo, egli dice, l'uomo è fine in sé, e pertanto bisogna rispettarne la libertà e la dignità. Tuttavia Cohen non accetta il socialismo d'ispirazione marxista, in quanto in contraddizione con il kantiano "regno dei fini", cioè verso un valore etico a cui sembra tendere il mondo moderno nella sua evoluzione storica. L'esplicitazione etica del socialismo fu poi delineata ed approfondita anche da Paul Natorp (1854-1924), tra l'altro noto come esperto della filosofia di Platone e dei suoi sviluppi. Tuttavia, se la critica dei valori di Cohen e Natorp rischia di apparire anacronistica nel momento in cui rimane ancorata alla tavola di categorie etico-sociali di stretta ortodossia kantiana, ha una sua importanza decisiva se si considerano gli sviluppi di Cassirer, che fa una brillante ed originale ripresa dell'a priori del filosofo di Köenigsberg, nel senso di una presa di coscienza sull'importanza della realtà simbolica ai fini della gnoseologia, o teoria psichica della conoscenza umana.
ERNST CASSIRER (1874-1945), noto come uno dei più importanti storici delle idee, va annoverato tra i principali filosofi del Novecento soprattutto grazie alle brillanti intuizioni esposte in due opere: "Concetto di sostanza e concetto di funzione" e in "Filosofia delle forme simboliche". La scienza, dice il grande filosofo tedesco, non è capace di mostrarci l'immagine di oggettive entità di natura. Le strutture che sottostanno ai contenuti della conoscenza sono "funzioni". In questa filosofia il linguaggio assume una sua peculiare "funzione costitutiva" degli enti della conoscenza. La dimensione linguistica non rappresenta solo una modalità di approccio comunicativo, ma organizza l'esperienza tipicamente umana della conoscenza, è anzi la stessa organizzazione del pensiero a dover fare continuamente i conti con l'attivo uso del linguaggio e delle sue dinamiche. È la dimensione linguistica che fa da tramite tra le nostre impressioni dettate dal momento e il livello dell'oggettività razionale. Questa operazione è mediata dal simbolo che svolge un suo ruolo specifico come un mezzo necessario e imprescindibile del pensiero per realizzarsi come tale. Non è un semplice agente formale che permette di veicolare, comunicandolo, un contenuto di pensiero preformato nella nostra mente, ma è lo strumento che rende possibile determinare concettualmente lo stesso contenuto. Per Cassirer l'atto di determinare concettualmente un contenuto di pensiero va di pari passo con l'atto del suo riconnotarsi in un non meglio precisato simbolo caratteristico. Dal momento che spetta al simbolo di costituire i concetti, esso determina anche l'"oggetto" della realtà spirituale.
Quando con Aristotele si afferma che "l'uomo è un animale razionale", si è certamente nel giusto. Ma l'aggettivo "razionale" richiama il sostantivo corrispondente, "ragione", che a Cassirer sembra una parola inadeguata. L'uomo, infatti, si realizza in moltissime forme nella sua vita spirituale, nella sua cultura. La cultura non dà vita soltanto al mondo scientifico, informa di sé una civiltà multiforme, poliedrica e complessa, che crea arti, religioni, istituzioni, etc. Parimenti alla dimensione conoscitiva umana, anche qualsiasi altra forma della sua creazione spirituale è una "forma simbolica". Per il filosofo tedesco l'uomo andrebbe a ragione definito "animale simbolico", in tal modo correggendo l'impostazione filosofica tradizionale, sia di marca empiristica che razionalistica, che poneva principalmente l'accento sulla razionalità umana, almeno da Socrate e Platone in poi. Da questo principio si ricava che la comprensione della storia umana non può essere se non ermeneutica dei simboli, quei simboli che rendono possibile la realizzazione e l'oggettivazione della vita culturale, che costituisce una parte essenziale della più ampia vita umana. La filosofia di Cassirer, che rivaluta il simbolo anche in senso linguistico come garanzia della conoscenza, sembra anticipare il cognitivismo e la filosofia della mente che, in corrispondenza analogia con l'indagine sui sistemi informatici, viene a determinare i processi conoscitivi della mente umana tramite l'uso inconscio dei codici simbolici, in questo riconoscendo una qualche corrispondenza tra la mente e il computer, il cui funzionamento richiede un linguaggio peculiare fondato su una rete di simboli alfanumerici. L'interesse per la teoria della conoscenza, d'altra parte, si lega in Cassirer ad un forte interesse per la storia delle idee e dei fatti umani, che, se non concorre direttamente alla costruzione di una propria filosofia della storia, si intreccia con altre coeve teorie della storia, con due filosofi importanti anche per gli sviluppi successivi che ne daranno gli ermeneuti successivi: Windelband e Rickert.
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